La Soglia Oscura
Mitologia

Ecate – di Daniele Bello

  1. Origini

La figura di Ecate è una delle più affascinanti e, allo stesso tempo, misteriose della mitologia ellenica. Secondo gli studiosi, si tratterebbe di una divinità pre-indoeuropea (forse originaria della Tracia, ma alcuni sostengono che provenga dall’Anatolia) che si sarebbe poi inserita nel complesso pantheon greco derivante dalla fusione tra i popoli autoctoni e quelli indoeuropei (Achei, Ioni, Eoli e – in seguito – Dori).

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  1. Etimologia

L’etimologia del nome significherebbe, secondo alcuni, “colei che opera da lungi“, (sarebbe l’equivalente femminile di Hekatos, un epiteto di Apollo). Secondo altri, il nome deriverebbe dal termine greco per “desiderio, volere”, in riferimento al suo potere di realizzare i desideri dei mortali. Per altri ancora il suo nome avrebbe la stessa radice della parola greca “cento” e sarebbe sinonimo di “multiforme”.

  1. Parallelismi

La figura di Ecate presenta interessanti analogie con una divinità della mitologia egizia: Heqet o Heket, risalente all’Egitto pre-dinastico, essa era raffigurata con la testa di rana ed era una delle levatrici che assistono ogni giorno alla nascita del Sole.

Secondo alcuni studiosi, la dea egizia era legata ai riti connessi al ciclo della nascita, della morte e della successiva rinascita[1]. In numerosi siti archeologici (in Grecia, a Roma e nell’Egitto ellenizzato) sono state ritrovate lampade di terracotta dipinte con il sigillo della rana, e portanti l’iscrizione: “Io sono la resurrezione”. Amuleti a forma di rana venivano spesso posti sui cadaveri per trasferire ad essi il potere della rinascita. Più tardi, le tombe dei cristiani copti recarono l’incisione di una rana accanto a quella della croce.

Tutte queste analogie con Ecate, al di là del nome, farebbero pensare ad un originario archetipo comune.

  1. Fonti letterarie

Non menzionata in Omero, Ecate fa la sua prima apparizione ‘ufficiale’ nella mitologia greca con la Teogonia di Esiodo, che le dedica un vero e proprio Inno all’interno del poema.

Febe l’amabile talamo ascese di Ceo,

concepì e poi, dea per l’amore di un dio,

partorì Leto dal peplo azzurro, la sempre dolce,

benigna agli uomini e agli dei immortali,

lei mite fin dall’inizio, la più clemente dentro l’Olimpo.

Generò Asteria famosa, che Perse una volta

condusse nella sua grande casa perché fosse chiamata sua sposa.

Costei concepì e generò Ecate, che fra tutti

Zeus Cronide onorò, e a lei diede illustri doni,

che potere avesse sulla terra e sul mare infecondo,

anche nel cielo stellato ha una parte d’onore

e dagli dei immortali è sommamente onorata.

E infatti anche ora, quando qualcuno degli uomini

che abitano la terra fa sacrifici secondo le leggi e implora la grazia,

invoca Ecate e grande favore lo segue;

facilmente, a lui benevola, la dea accoglie le preghiere,

a lui la ricchezza concede, perché di ciò pure ha potere.

Quanti infatti da Gea e da Urano nacquero

e ricevettero onore, partecipa dei privilegi di tutti costoro;

lei nemmeno il Cronide d’alcuna cosa privò con violenza

di quelle che aveva ottenuto fra i Titani, i primi degli dei,

bensì la possiede, come dapprima all’inizio fu la spartizione;

né, perché unigenita, la dea ricevette onori minori,

e ha potere in terra e nel cielo e nel mare,

molto di più, perché Zeus le fa onore.

A chi essa vuole largo favore e aiuto concede;

e nel tribunale essa siede presso i re rispettati

e nell’assemblea fra le genti fa brillare ciò che lei vuole;

o quando alla guerra assassina si armano

i guerrieri, la dea assiste colui che lei vuole

ornare, benigna, della vittoria e offrirgli la fama;

benigna assiste anche i cavalieri, quelli che vuole;

benigna anche quando gli uomini lottano in gara:

là la dea li assiste e soccorre;

e chi con forza e vigore consegue vittoria, bello il premio

coglie felice e i genitori orna di gloria.

E a coloro che l’azzurro tempestoso con fatica lavorano

e pregano Ecate e il profondo tonante Ennosigeo,

facilmente una preda la nobile dea fornisce copiosa,

ma facilmente anche se la porta via,

non appena essa appare, se così vuole il suo cuore.

E con Hermes benigna nelle stalle le greggi fa crescere,

le schiere dei buoi e i branchi grandi di capre

e i branchi di lanose pecore, se così vuole il suo cuore,

da piccoli li fa grandi e da molti riduce a pochi.

Così, per quanto sia nata unigenita da sua madre,

fra tutti gli immortali è onorata di doni;

costei fece il Cronide nutrice di giovani, quanti a lei fedeli

videro con gli occhi la luce dell’aurora onniveggente.

Così fu, fin dall’inizio, nutrice di giovani e questi i suoi onori.

ESIODO, Teogonia, vv. 404-452

(traduzione di G. Arrighetti)

Ecate compare anche negli Inni omerici (una serie di componimenti poetici composti con il metro omerico) e, precisamente, nell’Inno a Demetra. E’ a lei che si rivolge la figlia di Crono nella sua disperata ricerca della figlia Persefone.

Ma nessuno degli immortali o degli uomini mortali

udì la sua voce e nemmeno gli olivi dai frutti lucenti.

Solo la figlia di Perse, la sentì nel suo antro,

Ecate dalla candida mente, dal velo splendente,

anche il divino Helios, luminoso figlio di Iperione,

la sentì invocare il nome del padre Cronide.

Inni omerici, II, Inno a Demetra, vv. 22-27

E’ ancora Ecate ad accompagnare Demetra nel regno dei morti nella sua ricerca della figlia rapita.

Ma quando infine giunse per la decima volta la fulgente aurora

le venne incontro Ecate reggendo con la mano una torcia;

e, desiderosa di informarla, le rivolse la parola, e disse:

“Demetra veneranda, apportatrice di messi, dai magnifici doni,

chi fra gli dei celesti o fra gli uomini mortali

ha rapito Persefone, e ha gettato l’angoscia nel tuo cuore?

Infatti, io ho udito le grida ma non ho visto con i miei occhi

chi fosse il rapitore: ti ho detto tutto, in breve e sinceramente”.

Così dunque parlò Ecate; e non le rispose

la figlia di Rea dalle belle chiome; invece, rapidamente, con lei

mosse, stringendo nelle mani fiaccole ardenti.

Inni omerici, II, Inno a Demetra, vv. 51-61

Anche nella tradizione orfica la dea ha un ruolo importante e viene per questo celebrata nei componimenti poetici ispirati a questa scuola filosofico-religiosa.

Celebro Ecate trivia, amabile protettrice delle strade,

terrestre e marina e celeste, dal manto color croco

sepolcrale, baccheggiante con le anime dei morti,

figlia di Crio, amante della solitudine superba dei cervi,

notturna protettrice dei cani, regina invincibile,

annunciata dal ruggito delle belve, imbattibile senza cintura,

domatrice di tori, signora che custodisce le chiavi del cosmo,

frequentatrice dei monti, guida, ninfa, nutrice dei giovani,

della fanciulla che supplica di assistere ai sacri riti,

benevola verso i suoi devoti sempre con animo gioioso.

Inni Orfici, ed. Lorenzo Valla

(trad. Gabriella Ricciardelli)

La documentazione letteraria che riguarda Ecate è in effetti scarsa e nell’ambito della mitologia greca sono pochi i collegamenti che ebbe con le altre divinità.

  1. Attributi della dea

Dalla testimonianza di Esiodo (anche se certuni sostengono che l’Inno ad Ecate sia una interpolazione successiva degli Orfici) apprendiamo che la dea apparteneva alla generazione delle divinità pre-olimpiche: il poeta della Beozia ci riferisce che essa faceva parte della stirpe dei Titani, in quanto figlia di Perse e di Asteria (secondo un’altra tradizione, era figlia di Zeus e di una figlia di Eolo, chiamata Ferea; altri la considerano figlia di Zeus e di Asteria, ovvero di Demetra, di Hera o del Tartaro).

Da Esiodo apprendiamo che i suoi privilegi (timai) si estendevano sulla terra, nel mare e nel cielo (circostanza piuttosto rara tra le divinità della Teogonia) e che essa aveva mantenuto le sue prerogative anche quando Crono venne detronizzato dal figlio: ella aveva evidentemente preso le parti di Zeus durante la Titanomachia (da Apollodoro e altri mitografi apprendiamo anche che Ecate combatté al fianco degli dei Olimpi durante la ribellione dei Giganti: ella uccise con le sue torce il terribile Clizio).

La figlia di Perse e Asteria, inoltre, veniva invocata dagli uomini per ottenerne i favori, avendo ella il potere di esaudire i desideri dei mortali; da ultimo, essa si presenta anche come dea protettrice della gioventù.

Un ruolo, quello di Ecate, piuttosto importante nel pantheon ellenico, che giustifica la particolare devozione che Esiodo volle tributare a questa divinità nella sua Teogonia.

Dalle fonti successive, apprendiamo altresì che ella era in grado di viaggiare liberamente tra il mondo degli uomini, quello degli dei ed il regno dei morti; per questo motivo, Ecate accompagnò la dea Demetra durante la ricerca della figlia Persefone, rapita dal signore dell’oltretomba Ades.

Proprio per questa sua prerogativa di poter dominare sul cielo, sulla terra e sul mondo sotterraneo, ella veniva spesso invocata come “Trivia”.

Ecate veniva anche associata in alcuni casi al ciclo lunare (insieme ad altre divinità come Artemide e Selene), a simboleggiare la luna calante.

In seguito, si accentuò il carattere “lunare” di questa divinità e per questo ella divenne la signora della notte: lo stesso Ades, si diceva, pur essendo sposato con Persefone preferiva la compagnia di Ecate; tra le ombre, la dea esercitava il suo terribile e violento dominio, mandando demoni (le Empuse e le Lamie) a tormento degli uomini e vagando fra le tombe e i crocevia.

Le Empuse, figlie di Ecate, terrorizzavano i viandanti, assumendo l’aspetto di cagne, di vacche o di belle fanciulle; in quest’ultima forma, esse giacevano con gli uomini la notte o durante la siesta pomeridiana e poi succhiavano le loro forze vitali portandoli alla morte; si poteva scacciarle prorompendo in insulti, poiché udendoli esse fuggivano con alte strida.

Come dea notturna dei fantasmi, Ecate presiedeva alle arti occulte ed era maestra delle maghe negli incantesimi, negli scongiuri e nelle evocazioni dei morti.

In età ellenistica, Ecate aveva ormai consolidato la sua connotazione di dea della stregoneria e il suo ruolo di regina degli spettri; in queste vesti fu poi trasmessa alla cultura post-rinascimentale.

  1. Iconografia

Le prime rappresentazioni di Ecate risalgono all’età arcaica e raffigurano spesso la dea nell’atto di reggere una o due torce. Il monumento più antico dedicato a questa divinità è una piccola terracotta trovata ad Atene: la dea è seduta su un trono e ha una corona attorno alla testa.

In epoca classica, la dea veniva spesso raffigurata mentre reggeva una torcia, una chiave ed un serpente.

In altre rappresentazioni più tarde, Ecate veniva descritta come una creatura dall’aspetto terribile, con serpi fra i capelli, piedi di serpente e tre teste: una di cane, una di serpente ed una di cavallo.

I simboli collegati al culto della dea erano, come si è visto, la torcia e la chiave. Erano sacri ad Ecate il cavallo, il serpente, la colomba e il gatto nero; la civetta era spesso una sua messaggera. L’animale maggiormente associato all’immagine della dea, tuttavia, era il cane: Ecate viene spesso descritta o raffigurata in compagnia di esseri infernali ululanti: la sua presenza era manifestata dai latrati lontani dei cani.

Erano particolarmente sacri alla dea Ecate i crocevia (trivi) ed in particolare i punti di incrocio fra tre vie: statue, edicole o effigi della venivano poste in suo onore, a protezione dei viandanti. Proprio in questi luoghi venivano portate le offerte in suo onore.

  1. Culto

Ecate fu venerata particolarmente in Samotracia, a Lemno, nell’Asia Minore, nella Tessaglia e nella Beozia; le furono dedicati templi a Egina, ad Argo, a Samotracia e in moltissime città dell’Asia Minore; gli Ateniesi le eressero una statua sull’Acropoli. Alla fine d’ogni mese le sue immagini erano adornate di fiori e di offerte di cibi vari; le si offrivano sacrifici di agnelle nere e doni di latte e miele.

I Romani accolsero questa divinità greca, anche se ebbe minore importanza che in Grecia.

Maggiore diffusione Ecate acquistò negli ultimi secoli del paganesimo, insieme col rifiorire delle arti magiche nell’età imperiale.

  1. Appellativi

Chtonia (Del mondo sotterraneo)

Antaia (Colei che incontra)

Apotropaia (Protettrice)

Enodia (La dea che appare sulla via)

Kourotrophos (Nutrice di fanciulli)

Propulaia/Propylaia (Colei che sta davanti alla porta)

Propolos (Colei che serve)

Phosphoros (Portatrice di luce)

Soteira (Sapiente)

Triodia/Trioditis (Che frequenta i crocicchi)

Klêidouchos (Che porta le chiavi)

Trimorphe (Triplice)

[1] Secondo l’archeologa Marija Gimbutas, i manufatti che indicano una devozione alla dea rana risalgono a circa diecimila anni fa: probabilmente, questa figura mitica incarnava i poteri della dea della morte e della rigenerazione.

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Daniele Bello – Scheda dell’Autore