Follie di primavera

Diana chiuse dolcemente la porta dietro di sé, incamminandosi poi sulla strada lungo le mura di Lucca. Era primavera. Di nuovo il cielo tornava a splendere d’azzurro e nuvole sulla città e rasserenava l’animo della giovane donna, convincendola a riprendere la via. Le accadeva ogni anno: allo scoccare del solstizio di primavera si concedeva una lunga pausa dal lavoro. Lasciare la casa in cui era vissuta in affitto era una benedizione. Non programmava nulla a primavera. Non la durata, non la meta. Per Diana, primavera significava l’oroscopo al contrario: il futuro senza pronostici, la sua ricarica senza farmaci. Alzò il volto alla carezza dolce del sole di mezzogiorno. – Memento audere semper, dubium sapientiae initium – disse poi in un sussurro. La regola non obbligava a pronunciarla ad alta voce. Serviva solo all’animo del viaggiatore per preparare il corpo alle nuove esperienze che avrebbe fatto lungo la strada e a salutare senza rimpianti le persone che l’avevano accompagnata durante l’anno trascorso. I ricordi appena vissuti cominciavano già a sbiadire, passo dopo passo, mentre lasciava l’area urbana per dirigersi verso il sentiero che portava alle dolci colline senesi. Issò sulle sue esili spalle l’enorme zaino che le avrebbe garantito la sopravvivenza all’aperto, in attesa di trovare una nuova casa. La lunga treccia color ebano e dai riflessi di rame ondeggiò per lo sforzo. Ogni anno le persone che salutava non capivano il suo bisogno di partire, di ricominciare altrove, ma Diana non si lasciava distrarre da nessuno. Aveva uno scopo e la primavera era il suo richiamo. – Non ci credo! – la voce maschile le arrivò al fianco, costringendola a girare la testa. – Non scherzo mai sul viaggio, Luca. – Io vengo con te. Diana si fermò, guardando nel caldo di due occhi nocciola per poi scuotere la testa. – Non sai quello che dici. – Invece sì. Posso farlo anch’io. – E il tuo lavoro? Il sorriso dell’amico la sorprese. – Ne ho parlato con il capo. Dice che è una cosa da pazzi, quindi si aspetta un articolo strepitoso. – Fammi capire bene… vorresti scrivere di me? – Non solo. Documentare le follie di primavera. Ecco… adesso ho pure il titolo.
Cosa posso volere di più? Per un istante, Diana soppesò le parole di Luca, indecisa, poi sbuffò. Un lieve alito di vento le accarezzò la pelle mentre alzava le spalle in segno di resa. – Decido io le tappe. Se i piedi ti fanno male, non voglio sentire lamentele. Intesi? – Certo. E lo pensava davvero Luca mentre salutava con gli occhi la sua città natale. Porta San Gervasio era ormai alle spalle e la Via Romana si estendeva davanti a loro placida e serena. Una bella passeggiata all’aria aperta con una nuova amica, comode scarpe da trekking e un articolo che prometteva faville galvanizzarono il suo umore. Follie di primavera: il titolo voleva essere scherzoso, dipingere il percorso bizzarro di una donna insolita alla ricerca di se stessa. Dopo sei ore di cammino, interrotto solo da brevi pause per dissetarsi, però, Luca non la pensava più così. Aveva smesso di parlare. Diana non rispondeva nemmeno e le gambe, non abituate allo sforzo, gli cedevano per la fatica. Aveva bisogno di riposo. Voleva mangiare un doppio cheeseburger e patatine. Desiderava una doccia e un letto dove sdraiarsi, invece si ritrovava a camminare in mezzo alla campagna, senza nemmeno poterle chiedere di fermarsi e solo perché l’aveva promesso. Il sole del crepuscolo già faceva capolino dietro le nuvole, quando i rintocchi di una campana suonarono un lamento funebre. Luca si toccò i genitali. – Stanco e persino superstizioso, adesso? – Oh, lei parla! – nel dirlo, l’uomo si portò una mano al cuore. Diana scoppiò a ridere. – Pentito? – Sentire il rintocco della “Smarrita” mi ha sconvolto. Siamo arrivati a piedi ad Altopascio, ti rendi conto? – Fra poco ci fermiamo. – Dove? Non ci sono alloggi qui intorno. – Ho una tenda nello zaino, Luca. – Tu cosa? – Non dormo mai dentro mura durante il viaggio. Il giornalista chiuse gli occhi, mentre continuava a camminarle al fianco. – Ok, a me lo puoi dire… E’ un fatto religioso che ti obbliga al pellegrinaggio? Diana gli sorrise. – Non mi ero accorta che fossi spiritoso … sarà l’effetto della primavera? – Ah ah ah… ahia! – le rispose Luca, inciampando in una radice e strattonandosi la caviglia destra nel tentativo di liberarsene. Si massaggiò poi la parte lesa, approfittandone per riposarsi. Diana alzò le spalle in un gesto di resa, fermandosi a sua volta. – Non è una religione. Le comodità rischiano di distogliermi dalla meta. Così le evito.
– Oppure hai paura di affezionarti a qualcosa o a qualcuno.

Lei non rispose, limitandosi a lanciargli un’occhiata di sottecchi. – Lo fai per me? Diana sorrise e annuì. – Fossi stata da sola, sarei già sulla Via Francigena. La stoccata raggiunse Luca al petto, spronandolo a riprendere l’andatura oscillante per la stanchezza. Strana lo era sempre stata. Luca l’aveva conosciuta a una festa nel centro cittadino di Lucca sei mesi prima e da allora non aveva più smesso di parlarle. Aveva una luce nello sguardo che non brillava in altre. Decidere di seguirla era stato un gesto impulsivo, dettato dalla voglia di provare l’emozione delle avventure che Diana gli aveva raccontato nel poco tempo trascorso insieme. Ma di certo non si aspettava di dormire all’addiaccio. Si allacciò il piumino da montagna che all’ultimo momento aveva infilato nello zaino, borbottando fra sé. Avrebbe potuto chiamare un taxi e tornare alla civiltà, ma l’istinto gli diceva di resistere. Forse lei lo stava solo mettendo alla prova. Montarono la tenda canadese e mangiarono in silenzio. Diana aveva panini a sufficienza per entrambi, per fortuna. Dopo mezz’ora di riposo accanto al fuoco, i pensieri di Luca ricominciarono a fluire e con loro anche i rumori che li circondavano. O meglio, la mancanza di rumori. Durante il cammino, erano molteplici i suoni della campagna che li avevano accompagnati. Si guardò intorno. Anche il frinire dei grilli era cessato. – Si chiama pace, Luca. Scommetto che non hai mai provato a staccare la spina dalle comodità. – In effetti, no. Perché avrei dovuto? – disse estraendo il tablet e collegandosi a internet. – E’ questo che non capisco. Perché hai deciso di partire. – Intanto, ti posso dire che stanotte e domani non pioverà, grazie alla mia tecnologia. Ti sembra poco? – Mmh… la tenda è impermeabile. E poi io adoro la pioggia. Mi fa riflettere. Nonostante le sue parole, anche Diana era preoccupata. Il silenzio attorno a loro ghiacciava l’atmosfera, non le era mai capitato prima, ma stanziavano su una via lontana dal passaggio di viandanti. Per quanto ne sapeva, poteva essere la norma. Così, spense il fuoco in pochi, abili, movimenti e si diresse verso la tenda. – Che fai? Non vieni? – disse, poi, continuando a camminare. Luca scattò come una molla, precedendola all’interno. – Adesso dormiamo. Domani la sveglia sarà alle cinque. – A proposito di dormire… Non ho il sacco a pelo. – Mmh… si limitò a borbottare lei, girandosi su un fianco e fingendo di dormire. Il sacco a pelo a due piazze della donna aveva provvidenzialmente risolto il problema della notte, ma altri pensieri tormentavano Diana. Un brivido le corse lungo la schiena. Di solito era un presagio nefasto, ma questa volta decise di non ascoltare l’istinto. Il mattino sorse troppo in fretta. Luca si svegliò bruscamente al trillo della sveglia. I capelli corvini gli scompigliavano ancora il volto dai lineamenti delicati mentre usciva dalla tenda. Sul fuoco, una caffettiera da campo emanava già un robusto profumo di caffè. Con rapidi movimenti, Diana smontò la tenda e la ripose nel suo zaino. Il cinguettio degli uccellini non era ancora cominciato, nonostante il cielo fosse sereno. La sensazione di disagio durante la notte si era acuita. Voleva andarsene il prima possibile da quel posto. – Andiamo? Lo sguardo impaziente di Diana spinse Luca a terminare la frugale colazione da campo e a seguirla. Ripresero la strada in silenzio, ognuno immerso nei suoi pensieri finché un urlo dilaniò l’aria, seguito dal grido rauco di un uccello predatore che li sorvolava da vicino. – E’ un biancone – disse Luca, alzando gli occhi al cielo. Uno splendido rapace stava eseguendo un volo battuto senza spostamenti. – Lo chiamano lo spirito santo – proseguì poi, osservandone il volo ad ali spiegate. Devono esserci serpenti – continuò, guardando per terra alla ricerca di un bastone. Diana, invece, dopo aver gridato, si era fermata pochi passi più indietro e stava osservando il terreno. – Tutto bene? – le disse Luca, ma la donna non rispose, costringendolo a tornare sui suoi passi. Ai margini della strada, seminascosto da cespugli selvatici, s’intravedeva il corpo nudo di una ragazza in posizione prona. Sugli arti vi erano incise alcune parole che le pieghe abbondanti della pelle non lasciavano intuire. – Oh, dio! – esclamò, poi, Luca quando finalmente se ne accorse. – La conosci? – Cosa? No… non credo. Era difficile intuire chi si celasse dietro la folta e riccia capigliatura color ebano della ragazza stesa a terra. – E adesso? Luca non le rispose, estraendo il cellulare. – Aspetta… – Diana…. Non possiamo evitarlo. L’hai trovata tu. Meglio chiarire subito i fatti. – Non c’è nessuno qui che lo possa dire! – A Lucca sanno che siamo partiti. Credimi, non è una buona idea lasciare che ci trovino. A proposito, sai dove siamo? Diana si guardò intorno. 08
– Quando ci siamo fermati per la notte, avevamo superato da un’ora Altopascio. Adesso fatico a orientarmi. Luca compose il 118, attendendo istruzioni. L’operatrice al telefono fu gentile e disponibile. In pochi minuti il danno era fatto. – Ci localizzano – disse Luca al termine della chiamata – chiedono di allontanarci dal cadavere e di sorvegliare il sito fino all’arrivo della prima pattuglia disponibile. Lo sguardo arrabbiato di Diana lo spronò a continuare. – Avevi mai visto un cadavere? – No – mentì Diana. Io sì. Ho scritto di cronaca nera per anni prima che mi soffiassero il posto. Il solito raccomandato di merda –proseguì Luca, cercando di stordirla di chiacchiere. Diana era pallida, silenziosa e si torceva frequentemente le mani. Dopo mezz’ora, avvertirono il suono di sirene che si avvicinavano. Luca alzò le mani per indicare la posizione. – Agente, dove ci troviamo? – chiese Luca, dopo i primi rilevamenti al sito. – Nella campagna di San Miniato. La conoscevate? – riprese poi il carabiniere. Entrambi scossero la testa. – La vostra destinazione? Luca guardò Diana in attesa di suggerimenti, ma la donna non parlò. – Eravamo diretti a Siena – mentì Luca. – Potrebbe essere necessario che facciate una sosta. Per ora, salite in macchina. Vi porto in caserma per le deposizioni. – San Miniato – mormorò Diana, prima di salire in auto. Non l’aveva mai visitata, ma il nome della città le ricordava qualcosa. – Pensi sia un segno? Luca la guardava intensamente dal sedile accanto al suo, in attesa della risposta. – La vita è il viaggio che ci porta ai segni, se solo la lasciamo agire indisturbata. Il giornalista scrisse la frase e aggiunse una sua annotazione, pronunciandola poi ad alta voce – San Miniato: fine del viaggio. Diana lo ascoltava, senza replicare. I suoi pensieri tornavano ancora al corpo senza vita della ragazza sconosciuta e alla nuova città dove avrebbe abitato per un anno. Non ne capiva ancora il nesso, ma non poteva esimersi, la meta era raggiunta.