La Soglia Oscura
Misteri,  Esoterismo e Magia

S’ACCABADORA – di Andrea Marongiu

Con il termine sardo femina accabadora, si soleva indicare una donna che uccideva persone anziane in condizioni di malattia tali da portare i familiari, o la stessa vittima, a richiederne l’eutanasia. Il fenomeno avrebbe riguardato alcune regioni sarde come Marghine, Planargia e Gallura.
La pratica non doveva essere retribuita dai parenti dell’anziano poiché il pagare per dare la morte era contrario ai dettami religiosi e della superstizione.
Di solito si trattava di una donna anziana, che viveva un po’ isolata dalla locale comunità, forse una sorta di “sciamana” del villaggio.
In Barbagia questo compito era affidato alle donne, in Campidano agli uomini, i quali venivano quindi chiamati Accabadoris.
Diverse sono le pratiche di uccisione utilizzate dalla femina accabadora: si dice che entrasse nella stanza del morente vestita di nero, con il volto coperto, e che lo uccidesse tramite soffocamento con un cuscino, oppure colpendolo sulla fronte tramite un bastone d’olivo (su mazzolu) o dietro la nuca con un colpo secco, o ancora strangolandolo ponendo il collo tra le sue gambe.
Non c’è unanimità storica su questa figura: alcuni antropologi ritengono che la femina accabadora non sia mai esistita. Si hanno prove di pratiche della femmina accabadora fino a pochi decenni fa; pare che negli anni venti del ‘900 vi siano state le ultime due pratiche di una Femmina Accabbadora, precisamente una a Luras(1929), una a Orgosolo (1952) e una a Oristano.
Una delle teorie per giustificare questo tipo di pratica è basata sulle difficoltà di spostamento e di sussidio nei tempi passati, per cui nei paesi isolati e molto distanti da qualsiasi ospedale la famiglia di un soggetto anziano non autosufficiente e quindi in bisogno di cure assidue avrebbe avuto numerosi problemi ad assisterlo, dal momento che il lavoro agricolo era l’unica loro possibilità di sussistenza.
Alcuni non descrivono come strumento principale dell’accabadora una mazza, ma un piccolo giogo in miniatura che veniva poggiato sotto il cuscino del moribondo, al fine di alleviare la sua agonia. Questo si spiega con uno dei motivi principali per cui si credeva che un uomo fosse costretto a subire una lenta e dolorosa agonia in punto di morte: se lo spirito non voleva staccarsi dal corpo era palese la colpa del moribondo, il quale si era macchiato di un crimine vergognoso, aveva bruciato un giogo, o aveva spostato i termini limitari della proprietà altrui, oppure aveva ammazzato un gatto.
Altro rito che veniva compiuto era quello di togliere dalla stanza del moribondo tutte le immagini sacre e tutti gli oggetti a lui cari: si credeva in questo modo di rendere più semplice e meno doloroso il distacco dello spirito dal corpo.
Quella della accabadora non è l’unica traccia di forme di eutanasia in Sardegna, difatti alcuni classici latini riportano che in Sardegna gli anziani, raggiunta l’età di 75 anni, venissero portati in prossimità di un alto dirupo e buttati di sotto. La motivazione ancora non è chiara, ma è possibile che il rito fosse un’invenzione degli autori per rispondere al problema della straordinaria longevità dei sardi.
Quello dell’accabadora non era considerato il gesto di un’assassina ma era visto dalla comunità come un gesto amorevole e pietoso di chi aiuta il destino a compiersi. Il suo atto è la fine benevola di una vita diventata troppo sofferente; lei è considerata l’ultima madre.

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