La Soglia Oscura
Racconti

Sogni? – di Yluna

Lo vidi in lontananza. Si avvicinava camminando lentamente in un campo sterminato di alte spighe dorate. Indossava un paio di jeans che cadevano lenti sulle sue gambe magre, una camicia bianca aperta a metà sul torace possente e del tutto depilato, un gilet nero aperto anch’esso a lasciar intravedere i lacci che pendevano dal collo della camicia egiziana. Aveva i capelli più lunghi di quanto ricordassi, neri, abboccolati, che scivolavano morbidi sul collo e sulla fronte. Riconobbi subito il suo modo ciondolante di camminare ed i meravigliosi tatuaggi sulle spalle che avevo sempre ammirato ed amato. Su entrambi i polsi file di bracciali di cuoio facevano, come al solito, bella mostra. Io mi trovavo su un piccolo balcone con il parapetto di legno grezzo, tipico delle baite tirolesi, ma il paesaggio che faceva da contorno al suo arrivo non era tipicamente montano, direi più simile ad una di quelle campagne toscane che in pieno ottobre si vedono spesso nelle pubblicità, dove il sole si riflette, abbagliante, sui campi di grano accentuandone la doratura. Gli corsi incontro e ci trovammo una di fronte all’altro. Non ci furono domande sul lungo periodo di separazione, non ci furono spiegazioni sulla sua repentina scomparsa, non ci furono parole sulla mia sicurezza che fosse stata tutta una messa in scena, ci fu solo un lungo sguardo silenzioso. Il suo viso era esattamente come otto anni fa, come lo avevo sempre ricordato nei profondi solchi da lui lasciati nella mia anima, gli occhi, il naso, la bocca, i denti, era dinanzi a me, di nuovo, vivo, con il suo atteggiamento da pulcino spavaldo, con le sue grandi mani che per lungo tempo avevano conosciuto il mio corpo in ogni singolo centimetro. Ricordo solo che in seguito ci trovammo di fronte ad una finestra che col buio della notte rifletteva le nostre immagini vicine. Volle mostrarmi con fierezza il suo nuovo tatuaggio, un disegno indefinito ed indefinibile che si era fatto realizzare sulla pancia, come una serie di puntini multicolore con una prevalenza di rosso e celeste. Gli riabbassai subito la camicia e cominciai a slacciare la mia per soddisfare a mia volta la sete che avevo di fargli vedere le mie nuove crezioni e dovetti pensare un attimo a quali, in questi anni di lontananza, si fosse perso. Gli porsi la spalla e lui non esitò, sempre in silenzio, ad accarezzare quell’edera con cui avevo voluto simboleggiare la mia rinascita e la mia ricrescita. La sfiorò appena, delicatamente, provocandomi un brivido lungo la schiena, una sensazione di eccitazione ma al tempo stesso mista ad una sorta di familiarità, come quando all’improvviso, un suono, un odore o un’immagine ti riporta alla memoria scene della tua adolescenza e rimani ferma, quasi a voler prolungare quel ricordo tanto caro ma ormai lasciato andare da tempo. Mi girai e tirai su i capelli. Disse solo: “Una P.” Le sue mani scesero sulle mie spalle, mentre dal vetro della finestra, il riflesso della nostra pelle di nuovo in contatto mi metteva i brividi. Era dietro di me, alto, bello, rassicurante e mi stringeva tenendomi forte per le spalle. Non avevo dubbi, non avevo mai avuto dubbi sul fatto che avrebbe capito al volo il significato di quell’ultimo tatuaggio; forse, nascosto, aveva osservato gli ultimi avvenimenti della mia vita, ed era tornato, ora, ora che ne avevo maggiormente bisogno. Quel contatto fece rivivere in me tutte le emozioni ed i sentimenti del nostro breve trascorso, placò il mio senso di solitudine, riscaldò il mio cuore, e mi sentii nuovamente protetta.