
DRUSY
di Beatrice Olivieri
Amava molto gli insetti … tutti gli insetti.
Drusy viveva sola nella sua piccola casetta incastonata tra due palazzoni gemelli, cresciuti come due “funghi velenosi”.
Il costruttore aveva progettato nell’area i due palazzi con al centro un supermercato.
Drusy non aveva accettato, però, la generosa offerta del costruttore per l’acquisto della sua casa e del terreno, così erano stati costruiti solo i due palazzi.
Certo ora la casetta stonava proprio in quel quartiere moderno.
L’abitazione aveva un bel giardino fiorito sul davanti ed un piccolo praticello dietro, il tutto circondato da uno steccato di legno bianco.
A ben vederla sembrava un’oasi d’aria pura in mezzo al deserto, dove le dune erano di cemento armato.
Quell’angoletto di Paradiso era il ritrovo di tanti animaletti.
Durante i mesi caldi e quelli non troppo freddi era un brulichio di vita.
Gli uccellini facevano il nido sull’odorosa magnolia, le lucertole prendevano il solo sullo steccato,le api si posavano sull’alicanto fiorito, le formichine indaffarate lavoravano in fila indiana ed i ragni tessevano la loro tela nella casetta, sia dentro che fuori.
Drusy proteggeva questa moltitudine di vita.
La sera le cicale e i grilli cantavano le loro melodie e il giardino era un pullulare di lucciole sfavillanti.
Ogni essere vivente aveva un proprio spazio, era una convivenza naturale e protettiva.
Drusy era in pensione da oramai cinque anni; aveva lavorato come Dirigente Ospedaliero ed ora godeva di un bel gruzzolo messo da parte e di un’ ottima pensione.
Aveva sempre avuto una salute di ferro e tutt’ora era in ottima forma, a parte qualche problema di udito risolto con l’apparecchio acustico, il quale toglieva solo al momento di coricarsi.
Era una donna che apprezzava e amava profondamente la vita e, per questo, aiutava con dedizione gli altri più sfortunati di lei: collaborava nella mensa della Caritas e, inoltre, organizzava la distribuzione gratuita degli alimenti del Banco Alimentare.
Faceva tutto questo con grande umiltà ed era conosciuta e amata da tante persone.
Il suo impegno durava tutta la settimana, si riposava solo il sabato e la domenica nell’oasi felice della sua casetta.
Le sere d’estate dalla veranda ammirava le api che tornavano all’alveare, le lucertole che godevano degli ultimi raggi di sole prima di nascondersi tra l’edera o il ragnetto che finiva di tessere la tela, di mille colori, al sole del tramonto.
Questa pace silenziosa, molto spesso, veniva infranta dalle urla dei ragazzi nel piazzale di fronte ai due “funghi velenosi”, che, con i loro assembramenti, schiamazzavano fino a tarda sera disturbando anche il suo sonno.
In varie occasioni aveva ripreso i ragazzi riguardo il loro comportamento, chiedendo rispetto dell’orario, senza ottenere nulla anzi subendo, anche, gli sberleffi e le prese in giro da parte dei giovani coinvolti.
In modo particolare due ragazzi, Max e Lucy, i più spregiudicati, l’avevano persino minacciata di causarle dei danni alla sua casetta se non avesse smesso di intervenire per tacitarli.
Drusy, allora, rientrava in casa dispiaciuta per quel loro atteggiamento incivile.
In una serata calda di fine luglio, Drusy era nel suo salottino e e stava guardando un documentario sugli animali, che tanto amava.
Nello stesso momento Max e Lucy si trovavano al “Rodeo Pub” e stavano prendendo un aperitivo con gli amici.
Nelle loro infruttuose e superficiali discussioni entrò in argomento proprio Drusy “La rompiscatole”, dicevano loro.
Già da tempo Max , l’istigatore del gruppo, aveva in mente di spaventarla con qualche brutto scherzo.
Sembrava la sera giusta a detta di lui, bastava attendere che la vecchietta andasse a dormire.
Nessuno degli amici era d’accordo nel seguirlo in questa “bravata”, solo Lucy lo accordò.
Max aveva notato, giorni prima che l’abbaino sul tetto della casetta di Drusy era aperto, quindi, pensava di entrare da lì, rompere qualche oggetto e magari rubare anche qualcosa di valore e poi scappare di corsa.
Sembrava facile salire sul tetto perché aveva visto una scala appoggiata al muro di fianco alla porta d’entrata.
Drusy l’aveva lasciata lì perché la usava di tanto in tanto per curare il roseto rampicante arrivato ormai al sottotetto.
Era già mezzanotte e il documentario era finito: Drusy si avviò verso la camera da letto, si tolse l’apparecchio acustico e si coricò.
Ora aveva lasciato il mondo fuori, solo il silenzio era padrone assoluto.
Max vide tutte le luci della casetta spente, la piazza era deserta ed anche le luci degli appartamenti vicini erano spente; era il momento buono per entrare.
Scavalcò con Lucy lo steccato ed entrò nel giardino dove le lucine notturne creavano un alone di mistero.
Posizionò la scala dirimpetto l’abbaino, Lucy rimase in fondo alla scala e Max cominciò a salire.
Arrivato di fronte l’abbaino, udì un suono sordo come provenire da molto lontano, ma era troppo eccitato per dargli importanza e, con tanta adrenalina in circolo, proseguì senza indugio.
Calandosi dall’abbaino nel solaio, inciampò in un oggetto e cadde con la faccia in avanti perdendo la torcia.
Tentò di rialzarsi ma venne punto alla caviglia da qualcosa: si trattenne dall’urlare dal dolore acuto, per non svegliare Drusy.
Si sedette per calmarsi ma sentì che qualcos’altro strisciava lungo la gamba e ricevette un altro pizzico che lo fece sobbalzare.
Vide la torcia che era rimasta accesa e riuscì a recuperarla ma in quel mentre avvertì un’altra puntura sul braccio.
Ora era tutto dolorante e il suono che aveva udito si faceva sempre più forte. Indirizzò la torcia per capire cosa stesse succedendo e vide una miriade di api che camminavano verso di lui.
Terrorizzato si rialzò zoppicando, la caviglia gli doleva e pulsava tremendamente e sentiva brividi in tutto il corpo.
Riuscì ad issarsi verso l’uscita, ma un pipistrello gli volò tra i capelli strappandone una ciocca.
A questo punto non si trattenne più e urlò di dolore, chiamando Lucy di sotto.
Non riusciva neanche a riprendere fiato per lo spavento.
Lucy lo aiutò e scavalcarono lo steccato, per dirigersi verso le loro abitazioni (“funghi velenosi “).
Nel tragitto raccontò a Lucy quello che era accaduto, respirando a fatica e attribuendo il fatto allo spavento subito.
Max rincasò in silenzio per non svegliare i genitori che dormivano e si mise a letto.
Continuava a respirare con fatica e la gola sembrava chiudersi….chiudersi….chiudersi.
Intanto nella soffitta di Drusy l’allarme era rientrato, l’invasione era terminata, l’intruso era stato cacciato.
Ora si poteva riposare tranquilli.
Al mattino Drusy si svegliò riposata e contenta.
Sorseggiando il caffè si affacciò dalla finestra e vide che era una bella giornata di sole, ma, vide anche un’ambulanza nel piazzale che stava portando via qualcuno.
Uscì per chiedere informazioni al gruppetto di persone che si era formato e venne a sapere che un ragazzo del terzo piano del palazzo di fronte il piazzale, un certo Max, si era sentito male la notte e i genitori lo avevano trovato morto nel suo letto.
Non si conoscevano le cause della morte e, per questo, avrebbero dovuto fargli l’autopsia..
Che peccato! Pensò Drusy con un sorriso ironico.
Il medico legale notò le punture sul corpo del ragazzo e le attribuì a tre insetti, un’ape, una scutigera ed un ragno, pensando anche che era molto strano: tre veleni insieme su un soggetto che non sapeva di essere allergico.
Dove poteva essere accaduto tutto questo?
Drusy salì in soffitta, le ragnatele scintillavano alla luce del giorno, una scutigera era ferma all’angolo buio vicino al battiscopa, un pipistrello dormiva attaccato ad una trave.
Con un sorriso beffardo guardò fuori dall’abbaino le nuvole che si susseguivano nel cielo limpido e, nel silenzio della vendetta, pensò: ” Ma che brave le mie bestioline sono già al lavoro”.