Tempi Perduti

«E’ da molto che non ci vediamo…» esordì Martina con un sospiro, quasi che stesse buttando fuori il fumo di una sigaretta immaginaria.
Il giovane, dall’altra parte del tavolo, l’osservava con aria neutra, come se fosse un elemento architettonico del salone. Con un tono ostentatamente distaccato, continuò: «Ti ringrazio per avermi accolto nella tua dimora… E’ veramente passato molto tempo…».
L’atmosfera non sembrava cordiale e un imbarazzato, lungo silenzio gravava come la cappa del boia, mentre la lama della ghigliottina era lì, sospesa, un attimo prima di scattare. Un istante congelato.
Martina sfiorò il bicchiere sopra il vassoio ma l’anello che portava all’anulare non fece tintinnare il cristallo di Boemia. Avrebbe potuto sortire l’effetto di un diapason atto ad accordare gli umori irrigiditi e imprigionati ma ciò non avvenne. Sembrava un filmato d’altri tempi, privo di sonoro, e niente di più.
Lui riprese a parlare.
«Sarebbe interessante raccontarti cosa ho fatto in tutti questi anni… Di te sono bene al corrente poiché la tua carriera teatrale è stata scrupolosamente documentata… Al contrario di me, che ho preferito restare nell’ombra…» concluse il giovane.
«Hai scritto delle commedie molto brillanti, mio caro… Certo, tutti quegli pseudonimi… Hai sempre evitato di metterti troppo in gioco, soprattutto con me…» completò con tono accusatorio.
«Semplicemente, ho evitato che i riflettori fossero puntati, permettendomi così una maggior libertà e frammentando la mia produzione letteraria, senza giustificare i cambi di rotta che contraddistinguono l’iter di un artista…» si giustificò lui. Mentre lo diceva, era consapevole che era una frase costruita e senz’anima. Martina meritava ben altro.
«Mi lasciasti senza alcuna spiegazione… E ora ti presenti qui dicendo che vuoi scrivere la mia biografia?» rise amaramente lei.
«E con quale pseudonimo? Se è lecito domandare» incalzò ancora la donna, con lo stesso impeto di un giaguaro ferito.
«Adesso sto scrivendo alcuni articoli come Alfredo Dantoni…» dichiarò con un sorriso obliquo.
«Un nome d’altri tempi… Mi sono spesso domandata se l’identità che dichiarasti quando ti amai fosse quella autentica…» concluse cercando di non incrociare il suo sguardo.
«Credo t’importi maggiormente sapere se i sentimenti lo fossero…» rintuzzò lui, rendendosi ben conto che si stava avventurando su un terreno scivoloso.
«É un ottimo quesito. Ma non so se conoscere la risposta possa trovare il mio gradimento.» sentenziò altezzosa.
Martina si sentiva una vecchia belva col cacciatore nella tana.
Guardingo, l’autore tentava di non cedere al fascino dei ricordi.
«Forse saprai che questa casa è stata messa in vendita…»- irruppe improvviso, quasi per disorientarla.
Un silenzio palpabile calò nel salone. Un’assenza di suoni s’impossessò dell’ambiente.
«L’ho acquistata io… – continuò Alfredo – Dovevo farlo…».
La parola cadde greve come un sasso lanciato in uno stagno addormentato.
«Dovevo farlo…» ripeté lui guardandola negli occhi. Non li ricordava così cerulei.
Altera, lei sostenne lo sguardo che indugiava. Scampoli di vita insieme. E poi lui se n’era andato. Dannato demone. L’aveva lasciata sola.
Alfredo sorrise amaramente, mostrando i suoi canini pronunciati che spiccavano nella bocca rossa. Troppo rossa su quell’incarnato algidamente pallido.
«Ero disposta ad offrirti tutto di me… La mia anima, il mio sangue» bisbigliò Martina. Ma non era un rimprovero. Solo una disperata considerazione.
Forse non avrebbe dovuto tornare da lei, con quella scusa. Non c’era alcuna biografia da realizzare. Solo il desiderio insopprimibile di vederla ancora, dopo tutti quegli anni. Lo doveva fare… liberarla dal ricordo di lui. Un atto di misericordia verso una amore remoto.
«Come noterai non ho più cura di me, dimenticata in questa dimora vetusta come i miei fasti di attrice.» si giustificò, convinta di apparire sciatta.
Al contrario, lui si stava nuovamente smarrendo nello charme di Martina. L’ostentata freddezza iniziale stava lasciando posto al rimpianto.
Alfredo la osservava e i ricordi si sovrapponevano al momento, nonostante l’orologio che portava al polso macinasse incessantemente i secondi. Da lì a poco se ne sarebbe dovuto andare. Per l’ultima volta.
Eppure, ora si sentiva sospeso, come quando l’aveva raggiunta dopo una ‘Prima’.
A quei tempi, il volto perfetto dell’attrice seduceva dai manifesti affissi ovunque.
Il passato stava irrompendo con prepotente vigore.
Gli applausi alla fine della rappresentazione.
L’interminabile tributo del pubblico ad uno spettacolo davvero coinvolgente.
E ancora l’attesa davanti al suo camerino.
Lei che sopraggiungeva sommersa dal suo entourage fin troppo invadente.
I loro sguardi che si incrociavano.
…E Lei che si fermava a parlare, accettando l’invito a cena, con gran disappunto del bellimbusto in marsina che stava arrivando.
Ma quelli erano tempi perduti e si ritrovò lì, con Martina che voleva una spiegazione. La domanda galleggiava nell’aria appena lui aveva varcato la porta. Sapeva benissimo che si sarebbe manifestata.
Per quanto ancora sarebbe riuscito a rinviare l’ineluttabile istante?
E con la risposta che avrebbe dovuto dare, sarebbe giunta anche la Verità. Entrambi erano disposti ad accettarla? Ormai non c’era più tempo…
Lui guardò attorno. La polvere dominava I preziosi mobili rendendoli quasi inconsistenti e gli anni trascorsi avevano divorato con la loro densa ombra ogni particolare della dimora.
Infine, la domanda arrivò. Prese consistenza e divenne reale, superando gli argini della convenienza e del galateo.
«Perché non mi hai mai voluta ‘prendere’? – sussurrò flebilmente Martina, quasi temendo la replica – Non mi amavi abbastanza? Avremmo vissuto insieme una notte eterna…»
«Lo desideravo tanto… – concluse lui – Ma non ho potuto. Quando mi decisi, ti trovai morta nel tuo camerino… Pugnalata al cuore dalla seconda attrice della rappresentazione, esattamente un anno dopo l’inizio della nostra relazione…»
La frase rimase sospesa nella stanza vuota, mentre la figura di lei diventava evanescente. Poco prima, lui aveva percepito un bagliore provenire da un punto remoto. Altrove.

Tratto dall’Antologia dell’Autore
Di corvi e di ombre