GLI ANTICHI DEI DELLA GRECIA – DIONISO
di Daniele Bello
Capitolo 10
Canterò Dioniso, il figlio dell’illustre
Semele. Apparve su un promontorio, lungo la riva
del mare infecondo, con l’aspetto di un giovane
nel fiore dell’età: aveva bei capelli scuri
e fluenti, e un manto purpureo gli copriva
le forti spalle.
Inni omerici, VII, Inno a Dioniso, vv. 1-6
(traduzione di G. ZANETTO)
Parlami, dea, dell’anelito del fulmine,
messaggero dell’unione fiammante del Cronide,
che provocò con le sue scintille nuziali
un parto doloroso,
parlami della folgore, ancella di Semele;
dimmi la doppia nascita di Bacco,
che Zeus sollevò bagnato dal fuoco,
feto incompiuto di una madre senza levatrice;
dopo essersi incisa la coscia con le mani attente
il dio lo generò con il suo ventre maschile,
padre e madre veneranda.
NONNO, Dionisiache, Libro I, vv. 1-7
(traduzione di D.G. PICCARDI)
Quando Bacco mi scorre le vene
Alle pene — alle cure dà bando;
Di dovizie allor mi pare
Agguagliare — il re di Lidia,
E men vo lietamente cantando.
Ghirlandetta al crin mi faccio
Intrecciata di fresch’edere,
E riposatamente indi mi giaccio;
E coll’animo scarco e giocondo
Vo di sopra alle cose del mondo.
Altri adopri aste e corazze,
Io guerreggio colle tazze;
O fanciul, dammi il bicchiere,
Mesci, mesci di quel nettare,
Io voglio, anzi che morto, ebbro giacere.
ANACREONTE, Frammenti
(traduzione tratta dal sito www.miti3000.it)
1.
Attributi del nume
DIONISO (in greco: Διόνυσος o anche Διώνυσος) è una delle divinità più importanti della religione greca. Il dio veniva identificato a Roma con BACCO e in Etruria con FUFLUNS, ma era venerato presso le popolazioni italiche anche come LIBER PATER.
Le prerogative di questa divinità ci vengono rammentate nel lungo ed imponente poema epico, interamente dedicato alle sue gesta.
Zeus concesse a Febo l’alloro profetico
e alla rosea Afrodite la rosa rossa,
ad Atena dagli occhi glauchi il glauco ramoscello d’ulivo,
a Demetra le spighe e le viti a Dioniso.
NONNO, Dionisiache, Libro XII, vv. 110-113
(traduzione di D.G. PICCARDI)
Il culto di Dioniso era dunque collegato alla pianta della vite e al vino; più in generale, egli poteva venire considerato come il dio dell’estasi e della liberazione dei sensi, l’essenza stessa del creato nel suo fluire perenne, frenetico e selvaggio.
Il nume, in altre parole, rappresentava quell’energia naturale che, per effetto del calore e dell’umidità, porta i frutti delle piante alla piena maturità; egli era dunque visto come una divinità benefica per gli uomini, da cui dipendevano i doni che la terra stessa offriva.
Poiché la fecondità della natura tende a scomparire durante l’inverno, l’immaginazione degli antichi sviluppò l’idea di un dio costretto a patire sofferenze e persecuzioni1.
Quale divinità della vegetazione, Dioniso era legato soprattutto alla vite (e, quindi, anche alla vendemmia e al vino) e alle piante rampicanti: uno dei suoi attributi era infatti il sacro tirso, un bastone con attorcigliati pampini, pigne e foglie di edera; era associato al nume anche il kantharos, una coppa per bere caratterizzata da due alte anse che si estendevano in altezza oltre l’orlo.
Dioniso veniva spesso rappresentato nelle arti figurative vestito di pelle di leopardo, su di un carro di trionfo assieme alla sua compagna ARIANNA (v. par. 7); solitamente egli si accompagnava in gioiose processioni con bestie feroci, SATIRI e SILENI2, accompagnati dal suono di flauti (gli auloi e le siringhe). Il corteo che seguiva il dio era detto tiaso. Le sue sacerdotesse erano le BACCANTI (dette anche MENADI, LENE, TIADI o BASSARIDI), donne invasate in preda alla frenesia estatica e all’ebbrezza.
Assai spesso, la divinità veniva rappresentata attraverso l’utilizzo di uno strumento che – pur essendo tipico di altri culti ellenici – divenne presto una caratteristica peculiare del dio Dioniso: la maschera. Essa non rappresentava solamente una delle tante possibili raffigurazioni del nume ma era una vera e propria “epifania”, l’immagine e l’essenza stessa del dio, tanto è vero che alcune maschere venivano realizzate secondo misure e proporzioni superiori al normale: segno che esse non erano destinate ad essere indossate, ma a celebrare la presenza del nume3.
La venerazione di Dioniso era diffusa in tutta la Grecia ma era particolarmente viva in Beozia (a Delfi i tre mesi invernali erano sacri a Dioniso) e in Attica. Ad Atene, particolare importanza avevano le Dionisiache urbane, nel corso delle quali venivano celebrate le gesta del dio attraverso la rappresentazione teatrale: fu da questo nucleo iniziale che si sviluppò, successivamente, il teatro greco (nella forma della tragedia, della commedia e del dramma satiresco), che raggiunse il suo apogeo nel V-IV sec. a.C. con le opere di ESCHILO, SOFOCLE, EURIPIDE, ARISTOFANE e MENANDRO.
Il culto del dio del vino e dell’ebbrezza venne introdotto dalle colonie della Magna Grecia anche nella penisola italica e, in particolare, a Roma: inizialmente oggetto di provvedimenti repressivi (come il Senatus Consultum del 186 a.C., che vietava le feste in onore del dio, dette “Baccanali”), esso alla fine si impose ed ebbe sempre grande importanza sino all’età imperiale. Nella tarda antichità il culto dionisiaco, soprattutto nella sua versione collegata ai riti misterici, assurse a religione cosmica e si espanse in maniera del tutto spontanea.
In effetti, la religione dionisiaca per il mondo antico era principalmente quella dei Misteri4. Elemento tipico del suo culto era la massiccia partecipazione delle donne, nel corso delle cerimonie che si celebravano in onore del dio: le Baccanti invocavano il nume e ne cantavano la presenza, riproducendo ritualmente il mitico corteo di Sileni, Satiri e Ninfe; esse si identificavano con il dio e ne acquisivano il “furore”, inteso come stato di ebbrezza e di invasamento divino: scopo del rito era quello di ricordare le vicende mitologiche di Dioniso, ma anche quello di liberare la “scintilla divina” all’interno di ciascun essere umano.
Nei rituali dionisiaci venivano stravolte le strutture logiche, morali e sociali del mondo abituale: le donne erano incoronate da frasche di alloro, tralci di vite e pampini, si cingevano con pelli di animali selvatici e reggevano il tirso; gli uomini erano invece camuffati da satiri (vi partecipavano anche gli schiavi). Ebbri di vino, i componenti del corteo si abbandonavano alla vorticosa suggestione musicale del ditirambo, un genere della lirica greca precipuamente dedicato a Dioniso e caratterizzato dalla danza ritmica, ossessiva ed estatica.
In riferimento alle origini di questa divinità, alcune ricerche hanno messo in rilievo l’esistenza di elementi comuni tra il Dioniso ellenico e alcune entità appartenenti alla religione dei popoli della Tracia; è stato quindi dedotto quindi che il nume fosse originario di quella regione e in seguito “incorporato” nel pantheon greco.
Altri studi hanno evidenziato i rapporti reciproci e gli influssi con figure divine provenienti dall’Egitto o dall’Asia Minore (già autori antichi sostenevano l’origine “frigia” del dio). D’altro canto, il culto di Dioniso in Grecia risale a tempi molto antichi, vista la presenza del nome del dio sulle tavolette micenee in lineare B e il carattere orgiastico dei culti della vegetazione nella religione minoica (a Creta).
La molteplicità di tradizioni mitiche riguardanti Dioniso, unitamente alla sua somiglianza con pratiche religiose provenienti da regioni diverse, può far desumere (come sostenne, tra gli altri, CICERONE) che inizialmente esistessero più divinità con caratteristiche simili, in seguito riunificate in un’unica figura.
Moltissimi erano gli epiteti del dio; i più importanti fra tutti erano quelli di Iackhos5(nome e grido al tempo stesso), Bromio (dio del chiasso nelle processioni) e Bacco; ma il dio veniva invocato anche come:
• Dimetor (“colui che ha due madri”) o Trigenos (“tre volte nato”), per le circostanze legate alla sua nascita (v parr. 2-3);
• Ortos, “l’eretto”;
• Enorches, “provvisto di testicoli”;
• Pseudanor, “lo pseudo-maschio”;
• Gymnis, “il femmineo”;
• Arsenothelys, “l’androgino”;
• Dyalos, “l’ibrido”;
• Dendreus, Dendrites e Endendros, il “dio albero”;
• Omestes e Omadios, “colui che mangia la carne cruda”;
• Erifo, “il dio capretto”;
• Aigobolos, “colui che uccide le capre”;
• Melanaigis, “colui che porta una nera pelle di capra”;
• Kissos, il dio dell’edera;
• Sykites e Sykeates, il dio del fico;
• Omfacite, il dio dell’uva immatura;
• Lysios o Lyeo, “colui che scioglie”;
• Nyktelios, il dio delle feste notturne;
• Mystes, l’iniziato;
• Eues o Euios, dio del grido euoi o evohè.
A questi appellativi OVIDIO (Metamorfosi, Libro IV, vv. 13-17) aggiunge quelli di Libero, Niseo, Tioneo (“l’intonso”), Leneo (“inventore dei piaceri che dà la vite”), Nictelio e di padre Eleleo.
Per reperire notizie relative alle vicende di Dioniso non è sufficiente fare riferimento alle citazioni contenute in OMERO ed ESIODO, che in genere risultano essere le fonti più antiche ed autorevoli della mitologia greca: il dio del vino viene menzionato tra i figli di ZEUS nella parte finale della Teogonia, mentre merita appena qualche cenno nell’Iliade e nell’Odissea.
L’epopea del nume può essere ricostruita attingendo principalmente alla religione misterica: le testimonianze più preziose di questa cultura alternativa a quella degli dei olimpici sono contenute negli Inni orfici, componimenti poetici che trovarono la loro sistemazione definitiva in età imperiale, ma che si rifacevano ad una tradizione molto più antica (i seguaci di questo culto ne attribuivano la paternità al mitico ORFEO).
La concezione filosofica degli “Orfici” ha ispirato anche il poeta NONNO di Panopoli, che nel V sec. d.C. dedicò al dio dell’ebbrezza il poema epico più lungo della storia della letteratura: le Dionisiache.
L’epopea di Dioniso deve quindi tenere conto principalmente dell’apporto di queste fonti; non mancano, tuttavia, riferimenti interessanti nelle opere di EURIPIDE, OVIDIO e APOLLODORO. Anche ESCHILO scrisse alcune tragedie ispirate alle vicende del nume, ma esse sono andate purtroppo perdute; un’ultima citazione merita la figura di CICERONE, che dedicò importanti studi filologici alla figura di Bromio.
Quanto alla cronologia esatta delle vicende del dio, caratterizzate da una enorme complessità, in questa sede si è deciso di seguire principalmente la versione di NONNO, come omaggio al poeta dionisiaco per eccellenza.
2.
Zagreo, il primo Dioniso
Le leggende relative alla nascita di Dioniso sono intricate e contrastanti tra di loro. Sebbene il nome di suo padre, ZEUS, sia indiscusso, quello di sua madre è invece oggetto di numerose interpretazioni da parte dei mitografi6.
Secondo la versione tramandata dagli Orfici, il dio del fulmine si sarebbe congiunto in forma di serpente con la sorella DEMETRA (ovvero, secondo altri, con la madre REA CIBELE), generando così PERSEFONE.
Poiché la fanciulla era bramata da tutti gli dei, ella venne rinchiusa dalla madre in una grotta, sorvegliata a vista da due rettili; qui, Persefone trascorreva il suo tempo lavorando la lana e tessendo un mantello che raffigurava l’intero universo. Il figlio di Crono, tuttavia, riuscì a sedurre la figlia assumendo ancora una volta la forma di un serpente: da questa unione nacque un figlio, cui venne dato il nome di ZAGREO.
Per l’unione con il serpente celeste,
il ventre di Persefone si gonfia di un frutto fecondo
e genera Zagreo, bambino munito di corna, che sale, lui solo,
sul trono celeste di Zeus; con la sua piccola mano
vibra il fulmine, è nelle mani puerili
di un neonato che si librano le saette.
NONNO, Dionisiache, Libro VI, vv. 163-168
(traduzione di D.G. PICCARDI)
Secondo questa versione del mito, Zeus aveva deciso di farne il suo successore nel dominio del mondo: Zagreo sarebbe così diventato il sesto sovrano degli dei7. Ciò provocò, tuttavia, la gelosia della dea HERA.
Ma [Zagreo] non occupa per molto il trono di Zeus, perché i Titani,
astuti, cosparso il volto con del gesso ingannatore,
spinti dalla rabbia profonda e spietata di Hera,
lo uccidono con un pugnale venuto dal Tartaro.
NONNO, Dionisiache, Libro VI, vv. 169-172
(traduzione di D.G. PICCARDI)
I Titani, figli della Terra, aizzati dalla gelosia della moglie del dio del fulmine, cominciarono ad insidiare Zagreo, mentre il fanciullo si divertiva nei campi. Essi lo attirarono con dei doni e poi cercarono di catturarlo, ma il figlio di Zeus cercò di sfuggire alla loro presa utilizzando il potere della metamorfosi.
I Titani riuscirono infine a catturarlo proprio quando Zagreo aveva assunto la forma di un toro, lo fecero a pezzi e lo divorarono crudo. La dea ATENA riuscì però a salvarne il cuore e lo portò a Zeus, il quale lo trangugiò e lo fece rivivere generando Dioniso dopo essersi unito con una mortale: SEMELE, figlia del re CADMO (secondo un’altra versione, Zeus avrebbe fatto mangiare il cuore di Zagreo alla stessa Semele, la quale avrebbe poi partorito il futuro dio della vite)8.
3.
Il dio “nato tre volte”
La versione generalmente più conosciuta sulla nascita di Dioniso è quella che ci viene tramandata da APOLLODORO, secondo la quale la madre del nume sarebbe stata Semele, figlia di ARMONIA e di Cadmo, il fondatore della città di Tebe.
A quanto ci riferisce il celebre mitografo, il figlio di Crono si innamorò della fanciulla, si unì in amore con lei (di nascosto dalla moglie Hera) e la mise incinta9.
L’ennesimo tradimento di Zeus con una mortale non lasciò indifferente la sua legittima consorte, che organizzò un piano per vendicarsi: la dea ispirò nelle altre figlie di Cadmo (AGAVE, INO e AUTONOE) una perfida invidia nei confronti di Semele: la sventurata dovette così subire le crudeli beffe da parte delle sorelle, le quali criticavano il fatto che, nonostante il concepimento, il padre del bambino non si fosse ancora deciso a venire allo scoperto e a dichiararsi.
Nel frattempo, la regina degli dei, approfittando di questi contrasti, assunse l’aspetto di una vecchia anziana, BEROE (nutrice della fanciulla): Hera si presentò quindi a Semele, che cominciò a parlare con lei fino a quando il discorso non cadde sul suo amante.
La vecchia consigliò alla figlia di Cadmo di fare una singolare richiesta al suo innamorato: quella di manifestarsi a lei allo stesso modo in cui egli si presentava al cospetto della consorte (secondo un’altra versione, Hera la esortò ad esigere dall’amante una prova della sua vera identità).
Dopo qualche tempo, quando Zeus tornò nuovamente da Semele per godere le gioie dell’amore, egli promise alla fanciulla di concederle qualunque cosa ella desiderasse: la figlia di Cadmo chiese allora al re degli dei di manifestarsi in tutta la sua potenza.
Zeus non poté rifiutare: egli si accostò quindi al letto di Semele sul suo carro, tra fulmini e saette, e scagliò il suo fulmine; l’infelice venne così folgorata e morì miseramente.
Il figlio di Crono tirò allora fuori dal fuoco il bambino di sette mesi che la fanciulla portava in grembo, ancora immaturo, e se lo cucì in una coscia. Trascorso il tempo debito, Zeus si incise l’arto inferiore e partorì un figlio cui venne dato il nome di Dioniso: il nome sembra significhi appunto “nato due volte” o anche “fanciullo dalla doppia porta”10. Il nume era soprannominato anche Trigonos, in quanto “nato tre volte”: dapprima come Zagreo, poi dal ventre della madre ed infine dalla coscia di Zeus.
4.
Infanzia e giovinezza di Dioniso
Svariate sono le leggende che parlano dell’infanzia del nume: secondo il racconto di APOLLODORO, egli venne affidato dal padre al dio HERMES, il quale si recò da Ino (sorella di Semele) e dal marito ATAMANTE, convincendoli ad allevarlo come se fosse stata una bambina.
La dea Hera, sdegnata, li colpì entrambi con la pazzia: si dice che Atamante diede la caccia al suo figlio maggiore, LEARCO, e lo uccise scambiandolo per un cervo; Ino gettò invece l’altro figlio MELICERTE in un pentolone d’acqua bollente e poi, stringendo il cadavere del figlio, si gettò nel profondo del mare11.
Per nascondere Dioniso dalla rabbia della moglie, Zeus trasformò Dioniso in un capretto: Hermes lo condusse quindi dalle ninfe che abitavano a Nisa, le quali accudirono ed educarono il nume; per questo, esse vennero ricompensate dal dio del fulmine, che le trasformò poi nella costellazione delle IADI.
Raggiunta la maturità, Dioniso venne rintracciato da Hera, che lo punì rendendolo folle: egli andò così ramingo per l’Egitto (dove venne accolto dal dio marino PROTEO) e per l’Asia Minore; giunto infine in Frigia, il nume venne accolto da Rea Cibele, che lo purificò e lo iniziò ai Misteri12.
Lievemente diversa, invece, è la versione che ci viene fornita dal poeta NONNO (Dionisiache, Libri IX-XII): secondo questo Autore il giovane dio, sotto la protezione di Hermes, venne accudito dapprima dalle ninfe figlie del fiume LAMO, poi dagli zii Ino ed Atamante (che lo affidarono ad un’ancella, la giovane MYSTIS di Sidone).
I tutori del nume furono tuttavia tormentati dall’ira della consorte di Zeus, che li fece impazzire: per farlo sfuggire da questa persecuzione, Hermes condusse Dioniso sulle cime boscose della Frigia, dove venne accolto dalla dea Rea Cibele.
Circondato dalle premure della madre di Zeus e dei suoi seguaci, i CORIBANTI, il dio crebbe sano e forte e cominciò a circondarsi della compagnia dei Satiri, dei Sileni e dei PANI (discendenti del dio PAN); costituivano parte del suo seguito anche gli animali selvatici e uno stuolo di donne destinate a diventare le sue devote sacerdotesse: le Baccanti.
Risale a questo periodo la scoperta, da parte di Dioniso, della pianta della vite e dei grappoli dell’uva. Secondo la versione tramandata da NONNO, il nume si era follemente innamorato di un giovane satiro, AMPELO, il quale tuttavia morì prematuramente, disarcionato da un toro selvatico.
Il dolore del nume per la morte del suo amato commosse a tal punto gli dei che essi decisero di renderlo in qualche modo immortale, trasformandolo nella pianta che porta il suo nome (in greco, i rami di vite vengono chiamati ampèloeis).
La scoperta della deliziosa ed inebriante bevanda che deriva dalla fermentazione dei grappoli dell’uva (il vino) fu l’occasione, per Dioniso ed il suo seguito, di celebrare il primo dei Baccanali, destinati a diventare un elemento caratteristico del suo culto.
E Dioniso dopo la festa per il suo dolce frutto
si reimmerse orgoglioso nell’antro della dea Cibele,
reggendo tralci di vite nelle mani amanti dei fiori
e insegnando alla Meonia13 i suoi riti insonni.
NONNO, Dionisiache, Libro XII, vv. 394-397
(traduzione di D.G. PICCARDI)
5.
La spedizione contro gli Indiani14
Quando Dioniso raggiunse la piena maturità, gli venne richiesto dal padre Zeus di compiere imprese tali da renderlo degno di essere accolto nell’Olimpo.
Zeus padre manda allora Iris nelle sale divine di Rea,
che annunci a Dioniso suscitator di guerra
di cacciare dall’Asia col tirso punitore
i prepotenti Indiani, ignari di giustizia,
e di falciare il bicorne figlio fluviale
in battaglia navale, il re Deriade, per insegnare a tutti i popoli
le orge di notturne danze e il frutto vinoso di vendemmia.
NONNO, Dionisiache, Libro XIII, vv. 1-7
(traduzione di F. GONNELLI)
Il figlio di Semele riuscì ben presto a radunare un numeroso e variegato esercito: ne facevano parte divinità come PAN e FAUNO15; condottieri famosi, come ERETTEO di Atene, EACO di Egina, EAGRO (che, secondo una tradizione alternativa, era il padre di ORFEO), ARISTEO (figlio di Apollo e zio di Dioniso) e suo figlio ATTEONE. Erano al seguito del nume anche valorosi eroi come IMENEO, ACATE ed ASTERIO (Dionisiache, Libro XIII).
Della spedizione facevano parte anche DATTILI, CABIRI, Coribanti, TELCHINI, CENTAURI, CICLOPI16, Satiri, Sileni e Pani, oltre ad un numeroso stuolo di Baccanti e di animali selvatici: leoni, leopardi, pantere, serpenti, cinghiali, cerbiatti, tori, orsi e linci (Dionisiache, Libro XIV).
Dioniso ed il suo seguito si diressero così in oriente ed avanzarono lungo l’immenso territorio dell’Asia: in molte occasioni l’esercito guidato dal figlio di Semele venne accolto con benevolenza (come avvenne in Assiria, presso il re STAFILO); in tali casi, il nume faceva omaggio ai suoi anfitrioni della bevanda che allietava l’animo di uomini e dei: il vino.
In altre circostanze, la spedizione capeggiata da Dioniso incontrò invece l’ostilità delle popolazioni locali17. L’esercito bacchico dovette attaccare battaglia a più riprese: i nemici vennero ripetutamente sbaragliati da un esercito pressoché disarmato; ora, infatti, il figlio di Semele utilizzò le sue arti magiche (come quando trasformò l’acqua del lago Astacide in vino, inebriando il nemico), ora fece ricorso alla forza bruta: il suo tirso, infatti, si dimostrò essere un’arma imbattibile per distruggere le armature e terrorizzare gli avversari. Dioniso ed il suo esercito sconfissero a più riprese gli Indi nel corso di cruente battaglie, presso il fiume Tauro18 e presso il fiume Idaspe19. Durante la spedizione, Dioniso fondò anche numerose città, come Nicea (dal nome di una ninfa che egli sedusse).
Dopo sette lunghi anni di guerra, sulle rive dell’Indo e del Gange20 avvenne lo scontro finale tra l’esercito di Dioniso e le truppe del re indiano DERIADE, il quale vantava degli antenati molto illustri: suo padre era il dio fluviale IDASPE (figlio a sua volta del dio primordiale TAUMANE, che generò anche IRIS e le ARPIE); sua madre era invece ASTRIS, figlia del dio del sole HELIOS.
Questa battaglia costituisce il nucleo più importante delle Dionisiache di NONNO, tanto è vero che ad essa sono dedicati i Libri XXV-XL del poema. Inizialmente, l’esercito di Dioniso (armato unicamente di tirsi, rami di edera e rami appuntiti) sembrò avere facilmente la meglio sul nemico: ma Hera colpì ancora una volta il figlio di Semele con la pazzia; privi della loro guida, i seguaci del nume furono costretti a subire il ritorno degli Indiani, guidati dal loro sovrano Deriade e da suo genero MORREO21.
Dopo una breve tregua, i due eserciti si fronteggiarono nuovamente in una terribile naumachia (termine greco per indicare una battaglia navale); rinfrancati dalla presenza del loro capo, rinsavito dalla follia, i seguaci di Dioniso sconfissero duramente le truppe degli Indi in un’epica battaglia, che culminò nel duello finale tra i capi dei due schieramenti: colpito a morte, Deriade precipitò nel fiume Idaspe, che era suo padre22.
Una volta sconfitte le milizie avversarie e collocato sul trono dell’India un principe fedele (MODEO), Dioniso ed il suo seguito decisero di tornare in Grecia, con un ricco bottino di tesori, schiavi ed animali selvatici (tigri ed elefanti).
Sulla via del ritorno, il figlio di Semele si fermò a Tiro, la patria d’origine del suo avo Cadmo, e a Beroe (l’odierna Beirut)23. Durante il viaggio, Dioniso dovette affrontare anche le Amazzoni24 (che egli aveva già precedentemente respinto ad Efeso): le donne guerriere vennero nuovamente sbaragliate dal dio e dal suo seguito.
Finalmente, il figlio di Semele ed il suo seguito giunsero in Meonia, dove vennero accolti dalla dea Rea Cibele.
6.
Dioniso in Beozia
Dioniso decise infine di tornare in terra di Grecia in tutta la sua gloria divina, come figlio di Zeus. Dopo aver percorso il territorio della Tracia, il dio arrivò in Beozia (secondo NONNO, egli attraversò prima l’Illiria e la Tessaglia) e raggiunse quindi la città di Tebe, dalla cui famiglia reale egli discendeva.
Il ritorno in patria del nume viene così descritto nei mirabili versi di EURIPIDE:
“Ho lasciato le contrade ricche d’oro di Lidia e di Frigia, le terre arse di Persia, le rocche della Battriana, la gelida terra dei Medi. Ho percorso l’Arabia felice e tutta l’Asia che giace lungo il mare: vi abitano i Greci e Barbari insieme, e possiede molte cinta di mura. Là ho fondato i miei riti e le sacre danze, e sono giunto qui a Tebe, prima tra le città greche, per rivelarmi come dio ai mortali”25.
EURIPIDE, Le Baccanti, vv. 13-22
(traduzione di G. GUIDORIZZI)
In questo modo, il dio dell’ebbrezza intendeva anche vendicare le offese alla memoria della madre: nella città, infatti, circolavano voci (messe in giro, si dice, dalle stesse figlie di Cadmo), secondo cui Semele era stata sedotta da un uomo mortale e aveva poi attribuito la paternità a Zeus che, indignato per la menzogna, l’avrebbe poi incenerita.
Quando Dioniso giunse nella sua città natale, constatò che un ormai vecchio e stanco Cadmo aveva ceduto il trono a suo nipote PENTEO, figlio di AGAVE (anche se certuni sostenevano che il nuovo sovrano aveva sottratto lo scettro allo zio POLIDORO; condannandolo all’esilio); ATTEONE, figlio di ARISTEO e di AUTONOE e compagno del nume nella spedizione in India, era stato invece trasformato dalla dea Artemide in un cervo e sbranato dai suoi stessi cani.
Il figlio di Semele instillò la follia, la frenesia e l’ebbrezza nelle donne della Beozia, che si unirono alle Baccanti sul monte Citerone celebrando i riti in onore di Dioniso. Ecco la descrizione fatta da un messaggero del re di Tebe:
“Era uno spettacolo vedere il loro ordine: giovani, vecchie, ragazze ancora inesperte di nozze. Subito sciolsero i capelli facendoli ricadere sulle spalle, e riannodarono le nebridi26, quelle che si erano allentate, e cinsero le pelli maculate con serpenti che lambivano loro le gote. Altre, che erano da poco madri e avevano lasciato a casa i piccini, tenevano al seno cerbiatti e lupacchiotti selvaggi e li allattavano offrendo loro mammelle gonfie, e tutti s’inghirlandarono il capo con corone d’edera, di quercia, di smilace27 fiorito. Una percosse una roccia con il tirso, e ne sgorgò una sorgente d’acqua fresca. Un’altra piantò il bastone al suolo, e di lì fece zampillare una fonte di vino”.
EURIPIDE, Le Baccanti, vv. 693-707
(traduzione di G. GUIDORIZZI)
Invano il re Penteo cercò di opporsi al culto del nuovo dio, che egli riteneva immorale e blasfemo; egli imprigionò alcune delle Baccanti e tentò anche di catturare il figlio di Semele, ma non riuscì ad impedire il protrarsi delle celebrazioni, cui aderirono anche l’anziano Cadmo e l’indovino TIRESIA.
Esasperato, il sovrano di Tebe si recò sul monte Citerone per spiare il nemico, travestito da seguace di Dioniso; egli venne però fatto a pezzi da un gruppo di Baccanti invasate (guidate dalla madre del sovrano, Agave), convinte di assalire una belva feroce. Vane furono le grida di disperazione del re:
“Madre, sono tuo figlio Penteo, che hai generato nella casa di Echione. Abbi pietà, mamma, non uccidere tuo figlio per le sue colpe”.
EURIPIDE, Le Baccanti, vv. 1118-1121
(traduzione di G. GUIDORIZZI)
Quando Agave ritornò nella reggia di Tebe, ella reggeva in mano un tirso, in cima al quale era stato fissato il capo mozzato di Penteo; al vecchio Cadmo toccò l’ingrato compito di far rinsavire la figlia e di mostrarle la mostruosità del suo gesto:
CADMO – Quale testa rechi tra le braccia?
AGAVE – Un leone: così dicevano le mie compagne di caccia.
CADMO – Osservalo bene: non è una grande fatica
AGAVE – Ah, che vedo? Cos’è questo che porto tra le mani?
CADMO – Guardalo. Capirai meglio.
AGAVE – Sventurata! Vedo un dolore immenso.
CADMO – Ti pare ancora che somigli ad un leone?
AGAVE – No, sventurata che sono: nelle mani ho il capo di Penteo.
CADMO – Sul quale ho pianto, prima che tu lo riconoscessi.
EURIPIDE, Le Baccanti, vv. 1277-1285
(traduzione di G. GUIDORIZZI)
Dioniso ottenne così la sua terribile vendetta: egli venne definitivamente riconosciuto come una divinità in tutta la regione della Beozia e gettò la famiglia reale tebana nella disperazione: Cadmo ed Agave andarono in esilio e il nume proseguì nelle sue peregrinazioni.
Dioniso si recò anche nella città di Orcomeno, per diffondere il suo culto: le figlie del re MINIA, tuttavia, si rifiutarono di unirsi al tiaso e preferirono dedicarsi alla filatura della lana (OVIDIO, Metamorfosi, Libro IV, vv. 1-415). Il dio si vendicò anche in questa occasione, trasformando il telaio in una vite e mutando le superbe Mineidi in pipistrelli.
7.
Apoteosi del nume
Dopo le sue imprese in Beozia, Dioniso giunse in Attica (all’epoca del re PANDIONE), dove venne accolto da ICARIO, un semplice contadino; questi ricevette dal dio un tralcio di vite e imparò il modo di fare il vino28.
In seguito, il nume si imbarcò su una nave ma venne fatto prigioniero da alcuni pirati Tirreni, che intendevano vendere il dio come schiavo in Asia29; Dioniso si salvò tramutando in vite l’albero maestro della nave.
Poi dall’alto della vela germogliò una vite,
da entrambi i lati, e penzolavano giù molti
grappoli; attorno all’albero si avvolgeva un’edera scura,
densa di fiori, e vi crescevano amabili frutti.
Inni omerici, VII, Inno a Dioniso, vv. 38-41
(traduzione di G. ZANETTO)
Il nume si trasformò quindi in un leone, creando nel contempo l’immagine prodigiosa di un orso dal collo villoso. Tutti i marinai, terrorizzati, si gettarono in mare: il dio li trasformò così in delfini, fatta eccezione per il timoniere (l’unico a mostrarsi pietoso), che non subì metamorfosi e divenne poi sacerdote del culto dionisiaco.
Il dio giunse quindi nell’isola di Nasso, dove incontrò la bellissima Arianna, figlia del re di Creta MINOSSE; la principessa aveva aiutato l’eroe ateniese TESEO (di cui si era invaghita) a sconfiggere il terribile Minotauro ed era quindi fuggita con il suo innamorato alla volta dell’Attica. La fanciulla era stata tuttavia abbandonata, in circostanze misteriose di cui nessuno è mai riuscito a comprendere le ragioni, in uno scoglio dell’arcipelago delle Cicladi; il lamento di Arianna è stato oggetto di numerose citazioni letterarie, per cui lasciamo volentieri la parola ai versi di CATULLO.
Chiama ella e grida, e insana e furibonda
Per greppi e balze angosciosa ascende,
E nell’immensa azzurrità dell’onda
L’arse pupille immobile protende;
Poi corre all’orlo dell’ondosa sponda,
Nè di calzare il piè molle difende;
E singhiozzando e lacrimando insieme,
Queste muove dal sen querele estreme:
“Così, perfido, me ch’al natio lito
Strappasti, così me, perfido, in questa
Piaggia hai lasciata? E sei, Teseo, partito?
E pensiero di me nullo a te resta?
Il giuramento dagli Dei sancito
Così l’anima tua dunque calpesta?
E rechi, in pegno di cotanto affetto,
Gli esacrandi spergiuri al patrio tetto?”.
CATULLO, Carme LXIV, str. 20-21
(traduzione di M. RAPISARDI)
Quando Dioniso vide la principessa, se ne innamorò perdutamente, la portò nell’isola di Lemno e la sposò; dalla loro unione nacquero quattro figli: TOANTE, STAFILO, ENOPIONE e PEPARETO. Le nozze di Bacco e Arianna furono celebrate da poeti di tutte le epoche come fulgido esempio di felicità e spensieratezza.
Quest’è Bacco e Arianna,
belli, e l’un dell’altro ardenti:
perchè ‘l tempo fugge e inganna,
sempre insieme stan contenti.
Queste ninfe ed altre genti
sono allegre tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.
LORENZO DE’ MEDICI, Il trionfo di Bacco e Arianna, vv. 5-12
Il figlio di Semele, quindi, riprese di nuovo il mare e sbarcò nella città di Argo, dove il nume dovette affrontare ancora una volta l’ostilità della popolazione; racconta APOLLODORO che Dioniso si vendicò facendo impazzire tutte le donne e, in particolar modo, le figlie del re PRETO; secondo questa versione del mito, l’indovino MELAMPO accettò di guarirle in cambio di una parte di regno e si stabilì così in quella regione, insieme al fratello BIANTE.
NONNO riferisce, invece, di un vero e proprio scontro tra le truppe argive, guidate dal re PERSEO30, e i seguaci di Dioniso, durante il quale la sventurata Arianna venne pietrificata, avendo rivolto lo sguardo verso la testa della terribile Medusa. L’ostilità tra i due fratellastri (sia Bromio che il re d’Argo erano, infatti, figli di Zeus) si placò solo con l’intervento del dio Hermes.
Altre imprese attendevano il figlio di Semele, prima della sua apoteosi finale: egli prese infatti parte alla Gigantomachia, schierandosi accanto agli dei dell’Olimpo e uccidendo il terribile EURITO31. In seguito, Bromio scese nell’Ade per sottrarre la madre dal regno dei morti e la condusse con sé in cielo, dove Semele venne accolta tra gli dei con il nome di TIONE (ESIODO, Teogonia, vv. 940-942); anche sua moglie Arianna32 venne divinizzata, ovvero (secondo altri) trasformata in una costellazione. Al termine delle sue grandi imprese, Dioniso poté ascendere al monte Olimpo ed essere finalmente accolto tra i numi.
E il dio della vite, salendo all’etere paterno,
divide una stessa tavola col padre
che l’ha felicemente partorito,
e, dopo il mortale banchetto,
dopo la primiera effusione di vino,
celeste nettare in più gloriose coppe beve,
con Apollo assiso in trono,
col figlio di Maia al focolare seduto vicino.
NONNO, Dionisiache, Libro XLVIII, vv. 974-978
(traduzione di D. ACCORINTI)
Appendice:
Il tocco d’oro
Qui di seguito viene narrata quella che, forse, è l’unica leggenda dal sapore comico di tutta la mitologia greca.
Re Mida
La versione più nota di questo mito ci viene narrata da OVIDIO nelle sue Metamorfosi (Libro XI, vv. 85-193); durante le sue peregrinazioni in Lidia, un giorno il dio Dioniso aveva perso di vista il suo maestro e tutore SILENO, il quale si era attardato a bere vino e si era perso ubriaco nei boschi.
Alcuni contadini della Frigia lo ritrovarono e lo condussero dal loro re MIDA, che lo ospitò nella sua reggia per dieci giorni e notti.
L’undicesimo giorno, il sovrano condusse Sileno nei campi della Lidia e lo riportò al suo pupillo Dioniso, il quale (felice di aver ritrovato colui che lo aveva allevato), offrì al re la facoltà di chiedere un dono. Mida, allora, esclamò:
“Fa’ che tutto quanto toccherò con il corpo si trasformi in lucente oro”.
OVIDIO, Metamorfosi, Libro XI, vv. 102-103
(traduzione in prosa di N. SCIVOLETTO)
Il re, tuttavia, si accorse ben presto che con il “tocco d’oro” non poteva né sfamarsi, né bere, né lavarsi in quanto tutto ciò che entrava in contatto con il suo corpo diventava istantaneamente di metallo prezioso. Rendendosi conto che la sua cupidigia lo stava distruggendo, Mida implorò Dioniso di privarlo di quel potere prima tanto agognato. Il nume, impietosito dal pentimento del re, esaudì la richiesta.
“L’abbondanza non riesce a lenire la fame, una sete ardente gli brucia la bocca e meritatamente è tormentato dall’oro divenutogli odioso: alzando in cielo le mani e le braccia scintillanti esclama: <Perdonami, padre Bacco, ho peccato, ma tu muoviti a pietà, ti prego, e liberami da questo male così bello in apparenza>. Sono pietosi gli dei: Bacco, poiché il re ammetteva di aver sbagliato, lo restituisce alla condizione di prima”.
OVIDIO, Metamorfosi, Libro XI, vv. 129-135
(traduzione in prosa di N. SCIVOLETTO)
Successivamente, Mida venne punito da Apollo, in quanto non lo aveva nominato vincitore in una gara musicale con Pan; il figlio di Leto gli fece crescere un paio di orecchie d’asino. Mida cercò di nascondere quell’ignominia coprendosi il capo con una tiara di porpora, ma il servitore che era addetto a tagliargli i capelli si era accorto di questo difetto; questi, non osando rivelare la deformità del re, ma non riuscendo neppure a mantenere il segreto, si appartò e scavò una fossa nel terreno: alla terra scavata egli confidò la natura delle orecchie del padrone, poi ricoprì la buca. Ma in quel luogo cominciò a crescere una fitta macchia di canne, che per un prodigio rivelarono il terribile segreto del re Mida.
“Una volta che fu trascorso un anno [la macchia] rese manifesta l’azione del seminatore: infatti, mossa leggermente dall’Austro ripete le parole seppellite e svela il difetto delle orecchie del re”.
OVIDIO, Metamorfosi, Libro XI, vv. 129-135
(traduzione in prosa di N. SCIVOLETTO)
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1 Divinità enigmatica ed ammaliante, Dioniso sconvolgeva le coscienze, sgretolava regole e inibizioni riconducendo gli uomini al loro stato di purezza primordiale. Per il filologo W. OTTO egli rappresenta “lo spirito divino di una realtà smisurata” che si manifesta in un eterno deflagrare di forze opposte: estasi e terrore, vita e morte, creazione e distruzione, fragore e silenzio; una pulsione vitale dirompente e selvaggia, che affascina ed allo stesso tempo inquieta. Quale divinità della forza vitale, dell’impulso, dell’ebbrezza e dell’estasi, Dioniso divenne oggetto di analisi da parte di numerosi studiosi, come il filosofo NIETZSCHE, il quale nella sua analisi della cultura ellenica evidenziò le differenze tra l’armonia dello spirito “apollineo” e il carattere primordiale ed orgiastico dello spirito “dionisiaco”.
2 Nella religione greca i Satiri ed i Sileni erano divinità dei boschi e dei campi. I satiri erano i compagni di Dioniso e di PAN; venivano raffigurati come esseri umani ma con elementi animaleschi: orecchi, corna e piedi di capra; conducevano una vita spensierata ed inseguivano le ninfe che spesso cadevano nelle loro imboscate. I sileni erano imparentati con i centauri ed avevano orecchi, coda e piedi di cavallo
3 Non è inutile ricordare che la rappresentazione attraverso la maschera è tipica, nelle culture primitive, sia delle divinità legate alla natura che degli spiriti primordiali.
4 Come si è già avuto modo di osservare, i Misteri erano una vera e propria religione parallela a quella olimpica, la cui fondazione veniva fatta risalire ad ORFEO: essa si basava sulla fede nel ciclo continuo della nascita e della morte (compresa la credenza nella reincarnazione). Nel corso dei riti misterici, cui venivano ammessi gli adepti dopo una serie di gradi di iniziazione, si svolgevano cerimonie assai complesse, il cui scopo era la purificazione dell’anima, per farla ricongiungere con l’elemento divino. I rituali prevedevano spesso il raggiungimento di momenti di estasi ed eccitazione.
5 Secondo alcuni mitografi IACKHOS era inizialmente una divinità autonoma (in seguito “assorbita” da Dioniso); egli andrebbe identificato con IASIO (o IASIONE), amante della dea DEMETRA.
6 La madre del nume viene, di volta in volta, identificata con SEMELE (figlia di CADMO), DEMETRA, PERSEFONE, IO, DIONE o LETE.
7 Secondo la cosmogonia orfica, la sovranità dell’universo spettò prima a FANETE, che la passò poi alla dea NOTTE; lo scettro venne poi assegnato alle divinità della teogonia esiodea: URANO, CRONO e ZEUS.
8 Per punizione, i Titani vennero folgorati da Zeus per la loro empietà: dalle ceneri dei figli della Terra e del corpo di ZAGREO si formò il genere umano. Secondo la cosmogonia orfica, quindi, nell’umanità si trovano riuniti due elementi: il bene e il male, il dionisiaco e il titanico. Tutta la disciplina orfica consiste appunto nella liberazione dell’elemento luminoso, celeste e dionisiaco (l’anima) dall’elemento oscuro, materiale e titanico (il corpo). Da evidenziare che, secondo il poeta NONNO, sarebbe stata proprio l’uccisione di Zagreo a provocare l’ira del padre Zeus, che inviò sulla terra il Diluvio.
9 Secondo questa versione del mito (seguita anche da ESIODO), Dioniso venne generato unicamente dall’amore di Zeus per Semele; come abbiamo visto, invece, la religione orfica riteneva che questo concepimento fosse la seconda incarnazione del nume, dopo la nascita e la morte di Zagreo.
10 Secondo altri, invece, il termine Dioniso sarebbe da ricollegare al Monte Niso, una non meglio identificata località che avrebbe dato i natali al nume: questo mitico luogo è stato, di volta, collocato in Beozia, nel Mare Egeo, in Egitto o in una regione dell’Asia (Fenicia, Arabia o India). Una diversa tradizione, originaria della Laconia, riferisce che il nume sarebbe stato partorito normalmente da Semele, ma Cadmo volle esporre il bambino con la madre in una cassa, che venne poi gettata in mare e spinta dai flutti sulla costa lacone: Semele, che era morta, venne sepolta; Dioniso, invece, rimasto miracolosamente in vita, venne accolto dagli abitanti del posto ed allevato.
11 Secondo NONNO ed OVIDIO, INO si gettò in mare assieme al figlio MELICERTE per sfuggire all’ira del marito, reso folle da HERA; la dea AFRODITE (madre di Armonia e quindi nonna di Ino) ottenne da POSEIDONE il privilegio di poter accogliere la figlia di Cadmo e il suo rampollo tra gli dei marini, dando ad Ino il nome di LEUCOTEA e a Melicerte quello di PALÈMONE. In onore di quest’ultimo, si dice che vennero istituiti anche i Giochi Istmici.
12 Altre fonti riferiscono invece che fu la ninfa MYSTIS ad iniziarlo alla religione misterica.
13 Regione dell’Asia Minore, da identificarsi con la Lidia.
14 L’epopea di Dioniso in India è l’argomento principale delle Dionisiache di NONNO, che probabilmente si ispirò – sia pur genericamente – alle imprese di ALESSANDRO MAGNO.
15 Antichissima figura della regione italica, legata alla campagna e ai boschi; veniva descritto in genere come un essere dalla forma umana, ma con piedi di antilope e corna di capra.
16 Esseri giganteschi con un solo occhio sulla fronte; il poeta NONNO riferisce che ne esistevano due stirpi, di cui una discendeva da Urano mentre l’altra derivava direttamente dalla dea Terra. Apparteneva alla seconda il celebre POLIFEMO: secondo i poeti greci (TEOCRITO) e latini (OVIDIO, Metamorfosi; Libro XIII, vv. 740-897), egli si innamorò della ninfa GALATEA ma non venne corrisposto, in quanto la fanciulla gli preferiva il pastore ACI: per vendicarsi, il ciclope scagliò una roccia addosso al rivale; il sangue del giovane pastore si trasformò in un sorgente e Aci divenne un dio fluviale. Del successivo incontro tra Polifemo e ODISSEO, si parla nell’Odissea.
17 Secondo il poeta NONNO, nel corso della sua spedizione contro gli Indiani Dioniso incontrò LICURGO, figlio di Ares e re dell’Arabia (che, nella geografia del poema, coincide forse con la Siria): egli era un sovrano assai crudele ed era solito uccidere senza pietà gli stranieri, ornando il suo palazzo con le teste delle vittime. Istigato da Hera, il subdolo re dapprima inviò un’ambasciata al nume dichiarando che lo avrebbe accolto pacificamente, poi lo mise in fuga con il suo esercito; Dioniso fuggì terrorizzato e si gettò in mare, dove venne accolto da TETI e NEREO.
Licurgo, nel frattempo, combatté con le Baccanti, ma una di esse (AMBROSIA) venne trasformata dalla Terra in una vite che avviluppò il sovrano in un groviglio di rami, tralci e foglie; le altre seguaci di Dioniso si scagliarono allora contro di lui. La dea Hera riuscì a liberarlo ma Zeus lo colpì con la sua ira, rendendolo cieco, mentre Poseidone fece impazzire tutte le donne del luogo, che uccisero i loro figli. Quando il figlio di Semele ritornò dal suo momentaneo esilio nei mari, egli decise di muovere guerra contro il re degli Indiani, DERIADE.
Secondo un’altra versione del mito (APOLLODORO), invece, Licurgo era un sovrano della Tracia (“figlio di Driante e re degli Edoni che abitano lungo il fiume Strimone”): l’incontro con Dioniso sarebbe quindi avvenuto poco prima della spedizione contro gli Indiani. Licurgo fu dunque il primo a oltraggiare Dioniso e a cacciarlo fuori dal paese (il dio si rifugiò allora nel mare, presso Tetide, figlia di Nereo); le sue Baccanti vennero fatte prigioniere, insieme allo stuolo di Satiri del suo corteggio.
Dioniso, tuttavia, fece ritorno in Tracia ed instillò la follia nel crudele Licurgo, il quale colpì ed uccise con la scure suo figlio (convinto di troncare un tralcio di vite), prima di ritrovare la ragione. Tutto il paese divenne allora sterile e il nume profetizzò che la terra avrebbe di nuovo dato frutto solo se Licurgo fosse stato messo a morte. Sentito questo, gli Edoni lo portarono sul monte Pangeo e lo immolarono a Dioniso. Il nume tolse il senno anche al fratellastro di Licurgo, il pirata BUTE, che aveva violentato una delle Menadi.
18 Nel corso di questa battaglia, Dioniso affrontò il condottiero ORONTE, genero del re degli Indi Deriade (in quanto marito della principessa PROTONOE): il nume sfiorò la corazza con il ramo di vite e quest’ultima andò in pezzi. Il prodigio fece comprendere al guerriero indiano la natura divina del suo avversario; Oronte si allontanò terrorizzato e si uccise sulla sponda del fiume che prenderà il suo nome.
19 Da identificarsi, forse, con il fiume Indo.
20 Come ricorda anche OVIDIO, Metamorfosi, Libro IV, vv. 20-21: “Tu hai domato l’Oriente fin dove la terra degli abbronzati Indi viene cinta dal lontano Gange” (traduzione in prosa di N. SCIVOLETTO).
21 Per riuscire a fronteggiare la furia devastatrice di MORREO (consorte della principessa CHIROBIA), la dea Afrodite chiese ad EROS di instillare nel guerriero una passione amorosa nei confronti della Baccante CALCOMEDA, attenuandone in qualche modo l’ardore guerresco; il sentimento del condottiero indiano non venne tuttavia corrisposto e Morreo tornò a combattere con rinnovato vigore nelle file degli Indiani.
22 Alla guerra tra gli Indi e i seguaci di Dioniso non furono estranei neppure gli dei dell’Olimpo, che si schierarono chi con l’una chi con l’altra parte dello schieramento. Sostenevano Bromio (oltre a Zeus) REA, PALLADE ATENA, EFESTO, Afrodite, APOLLO ed ARTEMIDE; erano invece alleati degli Indi Hera, Poseidone, Demetra, ARES ed i suoi figli.
23 Nella città di Beroe, il figlio di Semele si innamorò della ninfa AMIMONE, figlia di Afrodite e ADONE; poiché la fanciulla era bramata anche dal dio Poseidone, la dea dell’amore indisse una gara nuziale tra i due dei facendo giurare loro che lo sconfitto avrebbe accettato l’esito dello scontro, rinunciando così ad Amimone. Entrambi gli schieramenti combatterono valorosamente, ma Zeus assegnò la vittoria al dio del mare.
24 Un popolo di donne guerriere della mitologia greca.
25 Le vicende di Dioniso a Tebe ci vengono narrate da numerosi autori: oltre ad EURIPIDE (Le Baccanti), si rammentano le opere di OVIDIO (Metamorfosi, Libro III, vv. 511-733), APOLLODORO (Biblioteca) e NONNO (Dionisiache, Libri XLIV-XLVI).
26 Vestimento di Dioniso e dei suoi seguaci, usato anche dai sacerdoti durante le cerimonie del culto (dal greco nèbris, la “pelle del cerbiatto”).
27 Pianta arbustiva del Mediterraneo con portamento lianoso, cosparso di spine acutissime; le foglie sono a forma di cuore, mentre i fiori, molto profumati, sono piccoli (giallicci o verdastri); i frutti sono bacche rosse riunite in grappoli.
28 Secondo APOLLODORO, fu invece OINEO, re di Calidone, il primo a ricevere da Dioniso una pianta di vite.
29 Secondo NONNO ed OVIDIO l’impresa dei pirati Tirreni è antecedente alle vicende del nume in Beozia; nella versione di OVIDIO, l’unico a scampare dall’ira del nume fu il timoniere ACETE, che divenne in seguito sacerdote di Dioniso ma venne imprigionato da Penteo; APOLLODORO, invece, colloca questi eventi in una fase successiva.
30 Si osserva che il mito di Dioniso non ha sempre una sua coerenza interna: il dio della vite, infatti, in alcune occasioni viene descritto come un contemporaneo di TESEO (come visto a proposito delle nozze con ARIANNA) o di ERACLE (che partecipò alla Gigantomachia), mentre qui viene messo in relazione con PERSEO, che di Eracle era il bisnonno!
31 Secondo NONNO, il nume affrontò ed uccise anche altri giganti, tra cui il terribile ALPO.
32 Il poeta NONNO di Panopoli ci riferisce che Dioniso convolò a nozze anche con PALLENE, figlia di SITONE, e con AURA, figlia di LELANTO (della stirpe dei Titani); quest’ultima si era consacrata al culto della dea Artemide e aveva fatto voto di castità, ma il figlio di Semele la inebriò e la sedusse nel sonno. La fanciulla partorì due gemelli: presa dalla disperazione per aver perso la verginità (“Mi vergogno di avere, io che ero vergine, il nome di sposa”; NONNO, Dionisiache, Libro XLVIII, v. 905), ella uccise uno dei suoi figli e poi si tolse la vita; il bimbo sopravvissuto venne affidato alle cure di Atena e delle Baccanti di Eleusi: l’erede di Bromio venne chiamato IACCO, destinato a diventare il terzo Dioniso (e come tale venerato in Attica).
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Fonti:
https://www.theoi.com/Olympios/Dionysos.html
o Homer, The Odyssey – Greek Epic C8th B.C.
o The Homeric Hymns – Greek Epic C8th-4th B.C.
o Hesiod, Works & Days – Greek Epic C8th-7th BC
o Hesiod, Shield of Heracles – Greek Epic C8th-7th BC
o Hesiod, Catalogues of Women – Greek Epic C8th-7th BC
o Greek Lyric II Anacreon, Fragments – Greek Lyric BC
o Greek Lyric II Anacreontea, Fragments – Greek Lyric BC
o Euripides, Bacchae – Greek Tragedy C5th BC
o Plato, Cratylus – Greek Philosophy C4th B.C.
o Plato, Laws – Greek Philosophy C4th B.C.
o Apollodorus, The Library – Greek Mythography C2nd BC
o The Orphic Hymns – Greek Hymns BC
o Strabo, Geography – Greek Geography C1st BC – C1st AD
o Herodotus, Histories – Greek History C5th BC
o Pausanias, Guide to Greece – Greek Geography C2nd AD
o Diodorus Siculus, The Library of History – Greek History C1st BC
o Plutarch, Lives – Greek Historian C1st-2nd AD
o Athenaeus, Deipnosophistae – Greek Cullinary Guide C3rd AD
o Aelian, Historical Miscellany – Greek Rhetoric C2nd-3rd A.D.
o Philostratus the Elder, Imagines – Greek Rhetoric C3rd A.D.
o Philostratus, Life of Apollonius of Tyana – Greek Biography C2nd AD
o Hyginus, Fabulae – Latin Mythography C2nd AD
o Hyginus, Astronomica – Latin Mythography C2nd AD
o Ovid, Metamorphoses – Latin Epic C1st BC – C1st AD
o Virgil, Georgics – Latin Idyllic C1st BC
o Cicero, De Natura Deorum – Latin Philosophy C1st BC
o Pliny the Elder, Natural History – Latin Natural History C1st AD
o Seneca, Hercules Furens – Latin Tragedy C1st AD
o Seneca, Oedipus – Latin Tragedy C1st AD
o Seneca, Phaedra – Latin Tragedy C1st AD
o Oppian, Cynegetica – Greek Poetry C3rd AD
o Nonnos, Dionysiaca – Greek Epic C5th AD
o Suidas – Byzantine Lexicographer C10th AD


