La Soglia Oscura
Monografie,  Mitologia

GLI ANTICHI DEI DELLA GRECIA – POSEIDONE
di Daniele Bello

Comincio a cantare Poseidone, dio potente,
che fa sussultare la terra e il mare infecondo,
re dell’oceano, signore dell’Elicona e dell’ampia Ege.

Inni omerici, XXII, Inno a Poseidone, vv. 1-3
(traduzione di G. ZANETTO)

1.
Attributi della divinità

Nella mitologia greca POSEIDONE, ovvero POSEIDON o POSIDONE (in greco: Ποσειδῶν), è il dio del mare e dei terremoti. Il nume trova il suo equivalente nel dio RODON della religione illirica, in NETHUNS nella cultura etrusca e in NETTUNO nella mitologia romana.

Il simbolo tipico di Poseidone era il tridente; gli animali a lui sacri erano invece il cavallo ed il delfino. Nell’iconografia classica, il dio veniva in genere ritratto alla guida del suo carro trainato da Hippokampoi (“mostri cavallini”, esseri metà cavalli e metà pesci di forma serpentina), ovvero da destrieri in grado di correre sopra i flutti; spesso veniva rappresentato in compagnia di delfini e con in mano il suo tridente.

Poseidone era venerato come divinità principale in molte città: ad Atene era considerato secondo soltanto ad Atena, mentre a Corinto e in molte città della Magna Grecia era considerato il protettore della polis. Secondo PAUSANIA, inoltre, egli sarebbe stato uno dei custodi dell’Oracolo di Delfi prima di APOLLO1.

Le celebrazioni in onore di Poseidone si tenevano, all’inizio della stagione invernale, in molte città del mondo greco; in suo onore venivano anche celebrati i giochi Istmici.

I marinai rivolgevano in genere le proprie preghiere al dio del mare perché concedesse loro un viaggio sicuro e talvolta come sacrificio annegavano dei cavalli in suo onore. Poseidone, infatti, aveva il potere di offrire ai naviganti un mare calmo e senza tempeste e addirittura di creare nuove isole come approdo; quando invece veniva offeso e si sentiva ignorato, egli colpiva la terra con il suo tridente ed era in grado di provocare mari tempestosi e terremoti, affondando le imbarcazioni e facendo annegare chi si trovasse per mare.

Al pari di DIONISO, inoltre, il nume aveva la capacità di provocare forme di disturbo mentale: negli antichi testi di medicina dei Greci (IPPOCRATE) si riportano alcune forme di epilessia e se ne attribuisce la causa all’opera del dio.

L’epiteto ricorrente di Poseidone è quello di Enosigeo (“scuotitore della terra”, in greco Ἐ(ν)νοσίγαιος), ovvero causa dei terremoti. Egli veniva chiamato anche semplicemente Pater, ma era frequente l’appellativo di Gaiaochos, nel significato di “sposo della terra”.

È proprio quest’ultimo attributo che getta una luce interessante sull’origine della figura divina di Poseidone: in età micenea, infatti, il nome del dio ricorreva con grande frequenza e sembra avere una dignità addirittura maggiore rispetto a quella dello stesso Zeus.

Nella sua formulazione arcaica, il dio del mare veniva chiamato PO-SE-DA-WO-NE, che può essere interpretato come “sposo della dea Da”. Secondo autorevoli studiosi (KERENYI), DÂ era un nome antichissimo per indicare la madre terra che si sarebbe poi evoluto in DA-MATER e in DE-METER (la dea Demetra).

Si può quindi dedurre che nell’età del bronzo (II millennio a.C.) Demetra avesse una rilevanza particolare nel pantheon ellenico come dea madre e divinità del frumento, di cui Poseidone sarebbe stato lo sposo2. In tale epoca, il nume era già identificato come lo “scuotiterra” (e quindi come dio dei terremoti), ma non veniva ancora associato al mare; è quindi presumibile che il compagno della dea terra fosse inizialmente una divinità legata agli elementi naturali e come tale spesso raffigurato come un animale3.

Evidentemente, le antiche popolazioni che abitavano la penisola ellenica si erano stanziate inizialmente in zone lontano dal mare e basavano la loro sussistenza prevalentemente sull’agricoltura; di qui la divinizzazione della fecondità della terra e dei fenomeni ambientali (anche quelli distruttivi). Quando gli Elleni mutarono la loro fonte di sostentamento principale e cominciarono a sfruttare le risorse del mare (attraverso la pesca e i commerci marittimi), Poseidone mutò – per così dire – la propria veste e divenne una divinità acquatica.

2.
Nascita ed imprese di Poseidone

Al pari di tutti gli altri membri della prima generazione degli dei olimpi, Poseidone era figlio di Crono e Rea (e quindi fratello di Zeus, ADES, HESTIA, DEMETRA ed HERA). Secondo OMERO egli sarebbe stato il secondogenito dei due Titani, mentre ESIODO ne fa il fratello maggiore di Zeus.

Nella Teogonia si legge che Poseidone venne divorato dal padre Crono e, successivamente, rigurgitato grazie all’astuzia di Zeus, che era riuscito a sfuggire al terribile genitore grazie alla madre Rea.

Secondo un’altra tradizione riferita da PAUSANIA, invece, Rea riuscì a salvare Poseidone dando in pasto al marito un puledro e nascondendo il figlio in un gregge di pecore. DIODORO SICULO sostiene inoltre che Rea in seguito portò al sicuro Poseidone nell’isola di Rodi affidandolo alle cure dei TELCHINI, i magici abitanti dell’isola, e dell’Oceanina CAFIRA (le fonti menzionano anche ALIA, “la dea del mare”, sorella dei Telchini4).

Di questo popolo misterioso, che avrebbe allevato il futuro dio del mare, sappiamo ben poco, se non che erano una stirpe primordiale che era riuscita a salvarsi dal diluvio; essi avevano fama di stregoni cattivi che custodivano gelosamente i loro segreti; di loro si racconta che forgiarono il tridente dello “scuotiterra” e che sarebbero stati annientati dal dio Apollo, cui erano ostili.

Al pari dei Cabiri, dei Cureti e dei Dattili, i Telchini erano probabilmente figure antichissime, servitori di quella Madre Terra che nelle isole del Mediterraneo aveva molti nomi come ECATE, CABIRA e DEMETRA CABIRA.

Durante la Titanomachia, Poseidone si schierò al fianco di Zeus, armato del suo tridente che, secondo ESIODO, venne forgiato dai Ciclopi. Quando i Titani furono sconfitti e scaraventati nel Tartaro, l’Enosigeo costruì le mura di bronzo che circondavano l’oscura regione in cui erano stati confinati Crono e i suoi seguaci.

     Essi non possono uscire perché Poseidone vi pose
     intorno una muraglia e delle porte di bronzo.

     ESIODO, Teogonia, vv. 732-733

In seguito, quando Zeus volle dividere le timai con i suoi fratelli, a Poseidone toccò il regno del mare e delle acque. Il dio del mare partecipò anche alla guerra con i Giganti, nella quale combatté e sconfisse il gigante POLIBOTE.

Nei poemi omerici, Poseidone ha una dignità quasi pari a quella del fratello Zeus, di cui tuttavia anche il dio del mare riconosceva la somma autorità; nell’Iliade si legge anche che in un’occasione il nume osò ribellarsi al dio del tuono e del fulmine, spalleggiato da HERA e PALLADE ATENA: fu l’intervento del gigante BRIAREO (uno dei Centimani), richiamato dalla Nereide TETI, a dissuadere i tre dei dal loro progetto di ribellione.

3.
La contesa per Atene

I miti greci raccontano che spesso Poseidone rivaleggiò con altre divinità per avere l’onore di essere il nume tutelare di alcune città della penisola ellenica: racconta AGOSTINO nel De civitate dei che il dio del mare venne a contesa con Pallade Atena per dare il proprio nome ad un centro urbano sorto nell’Attica.

Secondo la leggenda, in quel luogo spuntò all’improvviso un ulivo e sgorgò dell’acqua; gli abitanti del luogo consultarono allora l’oracolo di Delfi e la Pizia rispose che l’ulivo simboleggiava la dea Atena e l’acqua il dio Poseidone: per dare il nome alla città, la popolazione poteva scegliere se dedicarla ad una delle due divinità.

Il re CECROPE allora convocò tutti i cittadini per risolvere la diatriba: sembra che tutti i maschi si schierarono per Poseidone, mentre le donne diedero il loro voto ad Atena. A vincere fu la figlia di Zeus e Metis e la città, da quel giorno, prese il nome di Atene.

APOLLODORO narra invece che a giudicare della disputa furono gli dei dell’Olimpo, i quali decretarono la vittoria di Atena poiché Cecrope aveva testimoniato che quest’ultima aveva piantato l’albero dell’olivo prima che intervenisse il dio del mare.

Furioso, Poseidone devastò l’Attica sommergendo la regione con un maremoto; gli abitanti della città riuscirono a placare l’ira del nume dedicandogli un santuario a Capo Sounion.

Gli antichi Elleni ci raccontano altri episodi, legati alla fondazione di città della Grecia, che vedono come protagonista l’Enosigeo. Poseidone, infatti, reclamò anche l’onore di essere il dio protettore di Corinto ed in questo caso riuscì ad aggiudicarsi tale privilegio, ambito anche dal dio del Sole, HELIOS; il nume condivise invece il ruolo di protettore della città di Trezene con la dea Atena.

La città di Argo era altresì bramata sia dal dio del mare che dalla dea Hera; poiché il re INACO testimoniò che l’intera regione era possesso della consorte di Zeus, Poseidone si vendicò facendo seccare tutte le sorgenti dell’Argolide.

4.
L’ira del nume

Al pari degli altri numi dell’Olimpo, Poseidone era noto anche per le sue esplosioni d’ira, che colpivano i mortali colpevoli di empietà.

Nelle leggende che ruotano attorno alla figura dell’eroe PERSEO si legge che nel regno di Etiopia regnavano CEFEO e CASSIOPEA; quest’ultima era stata così impudente da sostenere che la loro figlia ANDROMEDA poteva competere in bellezza con le NEREIDI, le ninfe del mare.

Le figlie di Nereo, offese, si rivolsero al dio dei terremoti, il quale si infuriò e mandò un’inondazione a devastare tutto il territorio; non pago di tutto ciò, Poseidone mandò un mostro marino a tormentare la popolazione dell’Etiopia; il solito vaticinio predisse che l’unico modo per far cessare quel flagello era quello di offrire la bella Andromeda in pasto alla orrenda creatura: Cefeo, spinto dai suoi sudditi, fu costretto ad obbedire al terribile comando dell’ oracolo e incatenò la fanciulla ad uno scoglio.

La fanciulla venne però salvata da Perseo, il quale uccise il mostro e liberò Andromeda, che divenne sua sposa.

Assai celebre fu anche l’episodio che vide come protagonista MINOSSE, figlio di Zeus e di EUROPA. Alla morte di ASTERIO, re di Creta e padre adottivo dello stesso Minosse, quest’ultimo si propose come suo successore, ma il trono gli venne negato; egli sostenne allora che gli dei stessi gli avevano affidato il regno e per provarlo dichiarò che avrebbe ottenuto dai numi tutto quanto avesse richiesto.

Il figlio di Europa preparò quindi un rituale sacro in onore di Poseidone e pregò che dalle onde del mare apparisse un toro, promettendo al dio che l’avrebbe offerto in sacrificio: ed ecco che dai flutti apparve subito un bellissimo animale. Minosse ottenne così il regno, ma preferì tenere per sé quello splendido esemplare che gli era stato donato dagli dei, sacrificandone un altro al suo posto.

Poseidone, infuriato, fece in modo che PASIFAE (moglie di Minosse) si accendesse di una insana passione per il toro emerso dai flutti. La donna trovò un alleato in DEDALO, un architetto che era stato bandito da Atene per un omicidio e che si era quindi rifugiato a Creta; questi costruì una mucca di legno montata su ruote, con l’interno cavo e ricoperta da una pelle bovina; la collocò nel prato dove il toro era solito pascolare e Pasifae vi entrò dentro. Quando il toro le si avvicinò, la montò come se fosse stata una mucca vera. La donna partorì un bambino che aveva la testa di un toro e il corpo di un uomo, cui venne dato il nome di ASTERIO; ma nelle leggende dell’antichità la creatura era tristemente nota come il MINOTAURO, odiosissima fiera che si nutriva di carne umana e che venne uccisa dal coraggio e dalla forza dell’eroe TESEO.

In un’altra occasione, Poseidone si trovò assieme ad Apollo a servire il re di Troia LAOMEDONTE, come punizione per avere messo in discussione l’autorità di Zeus. Il sovrano chiese ai due numi di costruire un’enorme cinta muraria attorno alla sua città e promise di ricompensarli per questo servizio.

Il re troiano, tuttavia, quando venne a sapere che i due dei non erano venuti di loro spontanea volontà ma su ordine del dio del fulmine, si rifiutò di mantenere la parola data.

Per vendicarsi, Poseidone mandò a devastare la città un mostro marino, la cui sete di sangue (ancora una volta) poteva essere placata solo con il sacrificio di una fanciulla dal sangue regale: ESIONE, figlia di Laomedonte; ad uccidere la creatura evocata da Poseidone, stavolta, fu il poderoso ERACLE, figlio di ALCMENA, l’eroe più famoso di tutto il mondo ellenico.

L’ira di Poseidone perseguitò anche ODISSEO, figlio di LAERTE ed eroe della guerra di Troia, colpevole di aver accecato POLIFEMO, figlio del dio del mare e della ninfa marina TOOSA.

L’Enosigeo scatenò tutta la sua furia nei confronti del re di Itaca, costretto a vagare per ben dieci anni lontano dalla sua patria; per punire i Feaci, che avevano riportato a casa Odisseo, Poseidone trasformò in pietra la nave e gli uomini che avevano aiutato il figlio di Laerte.

Va citato, da ultimo, l’episodio che vede il dio del mare protagonista ma solo indirettamente: quello relativo alla morte di IPPOLITO, figlio di Teseo e della regina delle Amazzoni IPPOLITA.

Il fanciullo era un devoto della dea ARTEMIDE e aveva fatto voto di castità; di lui si invaghì la matrigna FEDRA, figlia di Minosse e moglie in seconde nozze di Teseo; poiché Ippolito la respinse, la donna calunniò il figliastro presso il marito sostenendo che era stata oggetto di violenza. Il re di Atene credette alle menzogne della moglie e scacciò suo figlio dalla città; non contento, egli chiese vendetta al dio Poseidone (che secondo alcuni era il suo vero padre).

Quanto accadde dopo ci viene riferito in prima persona da Ippolito, nel Libro XV delle Metamorfosi di OVIDIO (la leggenda viene raccontata anche nella famosa tragedia di EURIPIDE, Ippolito), che narra quanto segue alla ninfa EGERIA:

“Forse è giunta alle vostre orecchie la notizia che un certo Ippolito morì a causa della credulità del padre e della perfida matrigna: orbene ne sarai sorpresa, ma quel tale sono io anche se a stento potrò provarlo.
Un giorno la figlia di Pasifae tentò invano di farmi profanare il talamo paterno: la sciagurata rovesciando la colpa mi accusò (più per paura di una mia denuncia o per l’offesa fattale con il mio rifiuto?) di aver preteso ciò che pretendeva lei, e il padre mi scacciò dalla città pur senza mia colpa e, mentre mi allontanavo, fece piovere sulla mia testa una terribile maledizione.
Fuggiasco su un cocchio, mi dirigevo a Trezene, la città di Pitteo, e già costeggiavo il lido del mare di Corinto, quand’ecco che il mare si sollevò e si vide una massa enorme assumere l’aspetto ricurvo di un monte e ingigantirsi tra muggiti e spaccarsi in cima alla cresta.
Dopo, dalle onde così divise balzò fori un toro armato di corna, che sollevatosi al petto verso l’aria sottile, vomita dalle narici e dalla larga bocca una parte di mare.
Furono atterriti i compagni, mentre il mio animo rimase impavido, già sconcertato per l’esilio, ma ecco che i cavalli focosi volgono il collo verso il mare e drizzando le orecchie per l’orrore si imbizzarriscono per la paura del mostro e trascinano a precipizio il cocchio per l’alta scogliera”.

OVIDIO, Metamorfosi, Libro XV, vv. 497-518
(traduzione in prosa di N. SCIVOLETTO)

Ippolito venne sbalzato dal cocchio e perì miseramente; troppo tardi, il padre Teseo venne a sapere delle calunnie della moglie, che per la vergogna si impiccò. Per intercessione di Artemide, tuttavia, il giovane ritornò alla vita grazie all’intervento di ASCLEPIO, figlio di Apollo ed esperto nell’arte della medicina; in seguito, egli divenne una divinità agreste con il nome di VIRBIO.

5.
Amori e figli di Poseidone

Al pari del fratello Zeus – circostanza piuttosto rara, questa, tra gli dei dell’Olimpo -, Poseidone aveva una sposa che aveva il nome di ANFITRITE5, una delle Nereidi (le ninfe del mare figlie di Nereo e Doride). Da questa unione nacquero tre figli: BENTESICIME, che fu poi regina degli Etiopi, RODO6 e TRITONE, un essere metà uomo e metà pesce (fonti successive riferiscono invece che i Tritoni fossero un intero popolo e che vi fossero creature sia di sesso maschile che di sesso femminile):

Da Anfitrite e da Ennosigeo che profondo rimbomba
nacque Tritone, vigoroso e grande, nume terribile,
che ha un’aurea dimora nel fondo del mare
presso la madre ed il padre, re degli abissi.

ESIODO, Teogonia, vv. 930-933

L’Enosigeo, tuttavia, ebbe numerose altre storie d’amore con donne di stirpe divina e con delle mortali. Si narra, ad esempio, che egli chiese in sposa la sorella Hestia ma quest’ultima ottenne da Zeus il dono di rimanere sempre vergine.

Poseidone si innamorò anche della Nereide Teti, ma quando venne a sapere della profezia di Prometeo, desistette dall’idea di unirsi con la dea.

Il dio del mare tentò inoltre di sedurre Asteria, della stirpe dei Titani, ma questa per sfuggire alle sue brame amorose preferì trasformarsi in quella che poi divenne l’isola di Delo.

Fonti antichissime attribuiscono allo “scuotiterra” una storia con la sorella Demetra, che egli conquistò prendendo le sembianze di un cavallo: dalla unione delle due divinità nacque il destriero ARIONE e una figlia il cui nome poteva essere pronunciato solo dagli iniziati ai misteri di Eleusi7.

Secondo un’altra tradizione, pure assai risalente, Poseidone ebbe una relazione con MEDUSA, una delle Gorgoni,

Stenno, Euriale e Medusa dal triste destino;
le prime due erano immortali e sempre giovani,
mentre l’ultima era mortale: con lei si unì, su un morbido prato
tra i fiori di primavera, il nume dalla chioma azzurrina.
E quando Perseo le recise la testa dal collo,
balzò fuori Crisaore il grande e Pegaso.

ESIODO, Teogonia, vv. 276-281

Le due creature che uscirono dal sangue della Gorgone uccisa erano quindi figlie del dio Poseidone. Vi è inoltre chi sostiene (OVIDIO) che i capelli di Medusa vennero trasformati in serpenti dalla dea ATENA, furiosa perché l’unione con il dio del mare era avvenuta all’interno di un tempio a lei dedicato.

OMERO riferisce anche di un legame affettivo che univa l’Enosigeo alla dea dell’amore, AFRODITE: il dio del mare era stato infatti l’unico a difenderla quando venne scoperta in flagrante adulterio; tradizioni più tarde parlano invece di una vera e propria relazione, da cui nacque ERICE, un tiranno della Sicilia ucciso da Eracle.

Dall’unione con Gea, la dea della terra, nacquero invece il gigante ANTEO, che venne affrontato anch’esso da Eracle, nonché – secondo alcuni – il mostro CARIDDI, di cui parleremo in Appendice.

Tra i numerosi amori che Poseidone ebbe con donne mortali, vanno citati almeno i più importanti.

Il dio del mare sedusse AMIMONE, una delle figlie di DANAO: ella venne mandata dal padre a cercare acqua ma, durante la sua ricerca, diede la caccia ad un cervo e lo colpì; i rumori svegliarono una creatura del bosco (per l’esattezza, un satiro), che cercò di farle violenza. Il dio del mare apparve e mise in salvo Amimone, che si unì a Poseidone: il dio le rivelò allora dove poter trovare una sorgente, nei pressi di Lerna.

Famosa è anche la storia che Poseidone ebbe con TIRO, figlia di SALMONEO ma allevata dallo zio CRETEO; la fanciulla si innamorò del fiume ENIPEO e andava sempre vagando lungo le sue rive, piangendo. Allora il dio del mare, per sedurla, prese le sembianze della divinità fluviale amata da Tiro e la conquistò. La fanciulla partorì di nascosto due gemelli (PELIA e NELEO).

In seguito, Tiro sposò lo zio Creteo, che fondò la città di Iolco, e gli diede tre figli, tra cui ESONE, che fu il padre dell’eroe GIASONE.

L’Enosigeo ebbe un’altra importante relazione con la bella CENIS, la quale in cambio chiese ed ottenne dal nume di poter diventare un uomo invulnerabile; la fanciulla cambiò così sesso e mutò nome in CENEO. Durante l’epica lotta tra i Lapiti e i Centauri, egli prese le parti di Teseo e PIRITOO: nella battaglia, non si diede il minimo pensiero delle ferite e uccise molti nemici. I Centauri, però, alla fine lo bloccarono, lo stesero a terra e riuscirono ad ucciderlo seppellendolo sotto una catasta di tronchi d’abete.

Numerosissimi sono i figli che vengono attribuiti a Poseidone, tanto che diventa impossibile fornirne un elenco minuzioso; ancora una volta, come per il fratello Zeus, è IGINO a tentare di enumerare tutti i discendenti del dio del mare, senza riuscire però a fornirne una lista completa:

Figli di Nettuno [Poseidone]
BEOTO ed ELLENO da ANTIOPE, figlia di EOLO; AGENORE e BELO da LIBIA, figlia di EPAFO. BELLEROFONTE da EURINOME, figlia di NISO. LEUCONOE da TEMISTO, figlia di IPSEO. IRIEO da ALCIONE, figlia di ATLANTE. ABANTE da ARETUSA, figlia di NEREO. EPOPEO da ALCIONE, figlia di Atlante. BELO, ATTORE, DITTI da AGAMEDE, figlia di AUGIA. EVADNE da PITANA, figlia di LEUCIPPO. MEGAREO da ENOPE, figlia di EPOPEO. CICNO da CALICE, figlia di ECATONE. PERICLIMENO e ANCEO da ASTIPALEA, figlia di FENICE. NELEO e PELIA da TIRO, figlia di SALMONEO. EUFEMO, LICO e NITTEO da CELANO, figlia di ERGEO. PELEO, ARPRITE, ANTEO, EUMOLPO da CHIONE, figlia di AQUILONE; NAUPLIO da AMIMONE; anche il Ciclope POLIFEMO. AMICO da MELIE, figlia di BUSIRIDE”8.

IGINO, Favole, 157
(traduzione tratta dal sito www.ilcrepuscolodeglidei.it)

Tra i discendenti di Poseidone vi furono grandi regnanti (come Neleo, re di Pilo; Pelia, sovrano della Colchide; Amico, tiranno dei Bebrici; Nauplio, signore di Nauplia; Lico e Nitteo, reggitori di Tebe) e fondatori di famose dinastie, come nel caso di Agenore e Belo. Anceo partecipò alla spedizione degli Argonauti, mentre Cicno perì nella guerra di Troia; Bellerofonte fu invece uno degli eroi più famosi del mondo ellenico (da notare che, secondo altre fonti, egli era invece figlio di GLAUCO e di EURINOME); degli Aloadi, Oto ed Efialte.

Appendice (1):

Atlantide

Secondo una tradizione ripresa dal filosofo PLATONE (Timeo, Crizia) nella spartizione del mondo a Poseidone toccò in sorte l’isola di Atlantide:

“Poseidone, che aveva ricevuto in sorte l’isola di Atlantide, stabilì i propri figli, generati da una donna mortale, in un certo luogo dell’isola. Vicino al mare, ma nella parte centrale dell’intera isola, c’era una pianura, che si dice fosse di tutte la più bella e garanzia di prosperità; vicino poi alla pianura, ma al centro di essa, a una distanza di circa cinquanta stadi, c’era un monte, di modeste dimensioni da ogni lato. Questo monte era abitato da uno degli uomini nati qui in origine dalla terra, il cui nome era EUENORE e che abitava lì insieme a una donna, LEUCIPPE. Generarono un’unica figlia, CLITO. La fanciulla era ormai in età da marito, quando la madre e il padre morirono.
Poseidone, avendo concepito il desiderio di lei, sì unì con la fanciulla e rese ben fortificata la collina nella quale viveva, la fece scoscesa tutt’intorno, formando cinte di mare e di terra, alternativamente, più piccole e più grandi, l’una intorno all’altra, due di terra, tre di mare, come se lavorasse al tornio, a partire dal centro dell’isola, dovunque a uguale distanza, in modo che l’isola fosse inaccessibile agli uomini: a quel tempo infatti non esistevano né imbarcazioni né navigazione.
Egli stesso poi abbellì facilmente, come può un dio, l’isola nella sua parte centrale, facendo scaturire dalla terra due sorgenti di acqua, una che sgorgava calda dalla fonte, l’altra fredda; fece poi produrre dalla terra nutrimento d’ogni sorta e in abbondanza.
Generò cinque coppie di figli maschi, li allevò e dopo aver diviso in dieci parti tutta l’isola di Atlantide, al figlio nato per primo dei due più vecchi assegnò la dimora della madre e il lotto circostante, che era il più esteso e il migliore, e lo fece re degli altri; gli altri li fece capi e a ciascuno diede potere su un gran numero di uomini e su un vasto territorio.
Diede a tutti dei nomi, a colui che era il più anziano e re assegnò questo nome, che è poi quello che ha tutta l’isola e il mare, chiamato Atlantico perché il nome di colui che per primo regnò allora era appunto ATLANTE […]
La stirpe di Atlante dunque fu numerosa e onorata, e poiché era sempre il re più vecchio a trasmettere al più vecchio dei suoi figli il potere, preservarono il regno per molte generazioni, acquistando ricchezze in quantità tale quante mai ve n’erano state prima in nessun dominio di re, né mai facilmente ve ne saranno in avvenire, e d’altra parte potendo disporre di tutto ciò di cui fosse necessario disporre nella città e nel resto del paese.
Infatti molte risorse, grazie al loro predominio, provenivano loro dall’esterno, ma la maggior parte le offriva l’isola stessa per le necessità della vita: in primo luogo tutti i metalli, allo stato solido o fuso, che vengono estratti dalle miniere, sia quello del quale oggi si conosce solo il nome – a quel tempo invece la sostanza era più di un nome, l’oricalco, estratto dalla terra in molti luoghi dell’isola, ed era il più prezioso, a parte l’oro, tra i metalli che esistevano allora”.

PLATONE, Crizia
(traduzione tratta dal sito www.miti3000.it)

I sovrani dell’isola di Atlantide, avendo tutto a disdegno fuorché la virtù, stimavano poca cosa i beni che avevano a disposizione e non vacillavano per via della ricchezza.

“In cotesta isola Atlantide, venne su possanza di cotali re, grande e maravigliosa, che signoreggiavano in tutta l’isola, e in molte altre isole e parti del continente; e di qua dallo stretto, tenevano imperio sovra la Libia infino a Egitto, e sovra l’Europa infino a Tirrenia”.

PLATONE, Timeo, Capitolo III
(traduzione di F. ACRI)

Finché persisteva la natura divina di questa stirpe, tutti i beni dell’impero si accrebbero. Quando però la parte di divino venne estinguendosi (mescolata più volte con un forte elemento di mortalità) e il carattere umano ebbe il sopravvento, allora essi si diedero a comportamenti sconvenienti, ormai incapaci di sostenere adeguatamente il carico del benessere di cui disponevano.

“Passando poi tempo, facendosi terremoti grandi e diluvii, sopravvegnendo un dí e una notte molto terribili, […] tutti quanti insieme sprofondarono entro terra; e l’Atlantide isola, somigliantemente inabissando entro il mare, sí sparve. E però ancora presentemente quel pelago non è corso da niuno ed è inesplorabile; essendo d’impedimento il profondo limo, il quale, al nabissare dell’isola, si scommosse”.

PLATONE, Timeo, Capitolo III
(traduzione di F. ACRI)

Il mito di Atlantide ha ispirato poeti, scrittori e studiosi dell’età antica e moderna. Nella impossibilità di dare conto di tutti questi contributi, ci limitiamo a citare il testo di una canzone composta sul finire del secolo scorso, che in pochi versi abbraccia l’epopea dell’isola sprofondata nel mare.

E gli dei tirarono a sorte.
Si divisero il mondo:
Zeus la Terra,
Ade gli Inferi,
Poseidon il continente sommerso.
Apparve Atlantide.
Immenso, isole e montagne,
canali simili ad orbite celesti.
Il suo re Atlante conosceva la dottrina della sfera,
gli astri, la geometria,
la cabala e l’alchimia.
In alto il tempio.
Sei cavalli alati,
le statue d’oro, d’avorio e oricalco.
Per generazioni la legge dimorò
nei principi divini,
i re mai ebbri delle immense ricchezze;
e il carattere umano s’insinuò
e non sopportarono la felicità,
neppure le felicità,
neppure la felicità.
In un giorno e una notte
la distruzione avvenne.
Tornò nell’acqua.
Sparì Atlantide.

BATTIATO-WIECK, Atlantide
(tratto da: Cafè de la Paix, EMI Records, 1993)

Appendice (2):

Il regno del mare

1.

Secondo gli Elleni, il regno di Poseidone si estendeva per tutta l’immensa distesa del mare, circondata a sua volta dal grande fiume OCEANO.

Anche se l’Enosigeo aveva una sua dimora sul monte Olimpo e presenziava ai vari concili di tutte le divinità, la sua dimora era nelle profondità del mare Egeo, non lontano – si tramanda – dall’isola di Eubea.

Il regno del mare e delle acque correnti era abitato, secondo gli antichi, da una serie di creature fantastiche, di cui è opportuno fare cenno, sia pure per sommi capi.

Da Oceano e da sua sorella TETI (entrambi erano infatti figli di URANO e GEA ed appartenevano alla stirpe dei Titani) vennero generati i POTAMOI, le divinità dei fiumi (ESIODO, Teogonia, vv. 337-345), e le OCEANINE, le ninfe delle sorgenti (ESIODO, Teogonia, vv. 346-361).

Secondo alcuni erano figlie di Oceano anche le NAIADI, le ninfe che presiedevano a tutte le acque dolci della terra: esse possedevano inoltre facoltà guaritrici e profetiche (altri ritengono invece che tali creature fossero figlie di Zeus).

Erano figlie di NEREO e di DORIDE (una delle Oceanine) le NEREIDI, le ninfe del mare (ESIODO, Teogonia, vv. 240-264): creature immortali e di natura benevola, esse venivano rappresentate come fanciulle con i capelli ornati di perle.

Esse facevano parte del corteo del dio del mare Poseidone, al pari dei delfini, degli Hippokampoi (i cavalli marini) e dei Tritoni, di cui si è avuto già modo di parlare.

La tradizione ellenica conosce anche la figura delle SIRENE, che vengono descritte per la prima volta nell’Odissea di OMERO; così la maga CIRCE mette in guardia ODISSEO, figlio di LAERTE:

    Per prima cosa incontrerai le Sirene, che incantano
    tutti gli uomini che si avvicinano a loro.
    Chiunque, senza saperlo, approda alla terra
    delle Sirene e ascolta la loro voce non tornerà più a casa:
    la moglie e i piccoli figli non potranno stargli accanto,
    perché le Sirene lo incantano con la loro voce melodiosa.
    Sono appostate su un prato, accanto a loro c’è un mucchio di ossa
    di uomini in putrefazione; intorno alle ossa, la pelle si decompone.

OMERO, Odissea, Libro XII, vv. 39-46

Per i mitografi, esse erano figlie del nume fluviale ACHELOO e della musa TERSICORE ovvero, secondo altri, di MELPOMENE; un’altra tradizione riferisce invece che lo stesso Acheloo avrebbe combattuto con ERACLE per conquistare la bella DEIANIRA; nella colluttazione, l’eroe staccò un corno al dio acquatico e dalle gocce di sangue cadute sarebbero nate le Sirene.

Nei poemi omerici non viene delineato l’aspetto fisico di queste creature, ma le pitture vascolari antiche le raffiguravano come esseri sia maschili che femminili, dal corpo di uccello e con gli artigli ai piedi; solo a partire dall’Alto Medioevo, invece, le sirene vengono descritte per la prima volta con la parte inferiore del corpo a forma di pesce (“Dal capo e fino all’ombelico hanno il corpo di vergine e sono in tutto simili alla specie umana; ma hanno squamose code di pesce che celano sempre nei gorghi”; Liber Monstruorum, I, VI).

Un’altra figura singolare, nel panorama mitologico, è quella del dio marino GLAUCO, figlio di Poseidone; inizialmente, questi era un semplice mortale, che si guadagnava da vivere facendo il pescatore: un giorno egli notò che alcuni dei pesci che erano finiti nelle sue reti, sfiorando un’erba, avevano cominciato a muoversi di nuovo e a guizzare. Allora, come narra lo stesso protagonista nelle Metamorfosi di OVIDIO,

“con la mano strappai un cespo di erba e masticai proprio quel ciuffo. La gola aveva appena ingurgitato quei succhi sconosciuti, quando all’improvviso sentii le mie fibre trepidare dentro e il petto venire avvinto dal desiderio di un altro elemento. Né potei resister a lungo e: , dissi, e immersi il corpo nelle onde. Gli dei del mare accogliendomi mi tributano l’onore come a un amico e chiedono a Oceano e a Teti di togliermi quanto di mortale ancora porto […] allora per prima cosa vidi questa barba verdastra come la ruggine e la chioma che trascino per lunghi corsi d’acqua e le spalle immense e le cerulee braccia e le gambe curvate nella parte finale a formare una coda di pesce”.

OVIDIO, Metamorfosi, Libro XIII, vv. 940-951, 961-964
(traduzione in prosa di N. SCIVOLETTO)

2.

Occorre anche dar conto delle antichità divinità del mare, di cui ci parla ESIODO nella sua Teogonia.
Quando dal Caos sorserò gli elementi primigeni’ (“Per primo fu Caos, e poi Gea dall’ampio petto, sede sicura per sempre di tutti gli immortali”; ESIODO, Teogonia, vv. 115-117), la dea Terra partorì senza accoppiarsi con alcuno Urano, il cielo stellato, e PONTO, il “mare infecondo, di gonfiore furente”.
Accoppiandosi con GEA (secondo APOLLODORO), Ponto generò Nereo, “il più vecchio dei figli; per questo lo chiamano vecchio perché non inganna, ed è benigno; né il diritto dimentica e sa giusti e buoni pensieri” (ESIODO, Teogonia, vv. 233-236); da questa unione vennero al mondo anche TAUMANTE (“meraviglia del mare”), il vigoroso FORCO, CETO “dalle belle guance” ed EURIBIA “che tiene nel petto un cuore d’adamante”.

Taumante generò IRIDE e le ARPIE, mentre Euribia andò in sposa al Titano CRIO e partorì ASTREO, “lo stellato”, PALLANTE (marito di Stige) e PERSE (padre di ECATE).

Forco si unì alla sorella Ceto (la dea dal bel viso, il cui nome significa però “mostro marino” e che era spesso raffigurata come una balena); dalla unione di questi dei marini nacquero le GORGONI, le GRAIE e la terribile ECHIDNA “dal cuore violento”,

    metà fanciulla dagli occhi splendenti e dalle belle guance,
    per metà serpente, terribile e grande,
    astuto e crudele, al di sotto dei recessi della terra.
    Ha dimora in una spelonca, sotto la roccia concava,
    lontano dagli Dei immortali e dagli uomini mortali:
    le imposero i numi di riparare in quell’illustre dimora.
    Sta nel paese degli Arimi, sotto terra, la lacrimevole Echidna,
    la ninfa che non invecchia e che non muore.

ESIODO, Teogonia, vv. 298-305

È arduo, per i mitografi, stabilire se Echidna fosse una divinità marina ovvero legata alle profondità del sottosuolo; ESIODO ci riferisce comunque che ella si unì a TIFONE, il mostruoso figlio di Gea e del TARTARO, e partorì una serie di orribili creature (il cane bicefalo ORTHO, l’IDRA DI LERNA, la CHIMERA, il drago LADONE e il cane a tre teste CERBERO; giacendo con il figlio Ortho, ella partorì anche la SFINGE e il LEONE DI NEMEA).

Nereo e Forco (secondo alcuni, anche Taumante) appartenevano tutti alla grande famiglia delle divinità legate alle profondità del mare, per le quali non era insolito l’appellativo di “vecchio del mare”; accanto ad esse il mito conosce anche la figura di PROTEO, figlio di Poseidone. Gli attributi di questi numi sono talmente simili, che diventa arduo distinguerli tra loro. Ad essi vengono riconosciute abilità nelle arti magiche (Forco), ovvero capacità profetiche nonché il potere di assumere le forme di tutti gli animali che esistono sulla terra (Proteo, Nereo). Si narra che la dimora di Proteo fosse presso un’isola sabbiosa dell’Egitto, mentre Forco prediligeva il mare occidentale, trattenendosi forse in un golfo nei pressi di Itaca; Nereo, invece, poteva essere trovato presso la foce del fiume Tartesso. Secondo gli studiosi, dietro la figura del “vecchio del mare”, nella sua molteplice forma, si nasconde una divinità antichissima che regnava sui mari prima di Poseidone.

Assai oscura appare anche la figura di Euribia; ella era probabilmente una dea ancestrale, l’eco di una primitiva “dea forte”, forse legata non tanto al mare quanto agli elementi che lo influenzavano (venti, costellazioni, ecc.).

3.

Un discorso a parte va fatto per i “mostri marini”, che vengono spesso evocati da Poseidone per punire i mortali che l’hanno offeso. Nella mitologia greca, tuttavia, queste creature mancano generalmente di una loro caratterizzazione vera e propria: le leggende sono, infatti, in gran parte orientate alla esaltazione dell’eroe che sconfigge l’orribile nemico piuttosto che a descrivere compiutamente la fisionomia del mostro.

Un discorso a parte meritano senz’altro SCILLA e CARIDDI, la cui leggenda viene menzionata per la prima volta nel Libro XII dell’Odissea di OMERO (il quale, tuttavia, fa riferimento ad una tradizione, evidentemente anteriore, secondo la quale i primi ad imbattersi nei due mostri sarebbero stati gli Argonauti); la loro epopea venne poi citata a più riprese da molti autori di epoca successiva (APOLLONIO RODIO, VIRGILIO, IGINO, APOLLODORO).

La descrizione dei due mostri viene fatta dalla maga Circe, che mette in guardia Odisseo dalle insidie del mare; dopo aver descritto le Sirene e le rocce vaganti, così racconta la figlia di Helios:

    Sull’altra strada ci sono due scogli9: uno raggiunge il vasto
    cielo con la sua cima aguzza, lo circonda una nuvola scura;
    su quella cima il cielo non è mai sereno,
    né d’autunno né d’estate: nessun uomo mortale
    ci si potrebbe arrampicare e raggiungere la cima,
    neppure se avesse venti mani e venti piedi:
    la roccia è liscia come se fosse stata levigata.
    Nel mezzo dello scoglio c’è una caverna tenebrosa
    rivolta verso le tenebre dell’Erebo, a occidente; lì voi
    dovrete dirigere la vostra nave profonda, splendido Odisseo.

    […]

    Vicino vedrai un altro scoglio, Odisseo, ma più in basso
    e vicino al primo (alla distanza di un tiro di freccia):
    là c’è un grande fico selvatico, ricco di foglie;
    sotto, la divina Cariddi ingoia l’acqua scura:
    tre volte al giorno rigurgita l’acqua, tre volte l’inghiotte
    in modo spaventoso. Non trovarti là quando inghiotte!

OMERO, Odissea, Libro XII, vv. 73-82, 101-106

Nello scoglio più basso dimorava Cariddi, un immenso vortice che per tre volte al giorno inghiottiva l’acqua del mare e poi la risputava. Era figlia di Ponto e Gea ovvero, secondo altri, di Poseidone e Gea; secondo i commentatori di OMERIO, in principio, Cariddi era una naiade, dedita alle rapine e famosa per la sua voracità. Un giorno ella rubò ad Eracle i buoi di GERIONE e ne mangiò alcuni. Allora Zeus la fulminò facendola cadere in mare e la trasformò in un mostro gigantesco. Il poeta latino VIRGILIO così la descrive:

    Scilla sta sulla destra;
    l’implacata Cariddi sulla sinistra; tre volte
    dal suo profondo baratro inghiotte i vasti flutti
    nell’abisso, e di nuovo in alternanza li leva
    verso il cielo e percuote con le onde le stelle.

VIRGILIO, Eneide, Libro III, vv. 512-516
(traduzione di C. VIVALDI)

Nel secondo scoglio albergava invece Scilla, la cui voce suonava come il latrato di un cane; la rappresentazione del mostro nel poema omerico è terribile.

    Dodici sono i suoi piedi, tutti deformi;
    ha sei colli lunghissimi e ognuno ha una testa
    spaventosa: ogni bocca ha tre fila di denti
    fitti e numerosi, pieni del nero della morte.
    Metà del suo corpo sprofonda nella grotta
    e dal baratro sporgono le teste.
    Scilla, frugando intorno allo scoglio, pesca ed afferra
    (se gli riesce) delfini, pescicani e mostri ancora
    più grandi, tra quelli che nutre la risonante Anfitrite.

OMERO, Odissea, Libro XII, vv. 89-95

Diversa, ma non meno agghiacciante, è invece la descrizione del mostro in VIRGILIO (ripresa anche da APOLLODORO):

    Invece Scilla, nascosta in una cieca caverna,
    sporge la testa e trascina le navi contro gli scogli.
    La parte superiore del suo corpo ha un aspetto
    umano, fino all’inguine è una bella fanciulla
    dal petto sodo; il resto è un gran mostro marino
    con code di delfino e un ventre di lupo.

VIRGILIO, Eneide, Libro III, vv. 517-522
(traduzione di C. VIVALDI)

Sulle origini di Scilla, le fonti sono incerte: OMERO la chiama figlia di CRATEIDE (che, secondo il poeta APOLLONIO RODIO, sarebbe uno dei tanti nomi di ECATE), mentre IGINO sostiene che fosse figlia di Tifone e di Echidna; secondo APOLLODORO, invece, la creatura sarebbe stata generata da Forco e TRIENO (forse, un altro nome di Cariddi).

Secondo OVIDIO (Metamorfosi, Libro XIV, vv. 1-74), inizialmente Scilla era una ninfa ed era solita recarsi sulla spiaggia di Zancle per fare il bagno nell’acqua del mare. Una sera, la intravide il dio marino Glauco, che se ne innamorò perdutamente; la fanciulla, terrorizzata dalla vista del nume, si rifugiò sulla vetta di un monte che sorgeva vicino alla spiaggia.

Glauco si recò allora nell’isola di Eea e chiese alla maga Circe un filtro d’amore per far innamorare di sé la ninfa; la figlia di Helios, desiderandolo ardentemente, si propose al figlio di Poseidone. Glauco si rifiutò di tradire il suo amore per Scilla e Circe, furiosa per essere stata respinta, volle vendicarsi: ella preparò una pozione malefica e si recò presso la spiaggia di Zancle, versando il filtro in mare.

Quando Scilla arrivò e s’immerse in acqua per fare un bagno, vide crescere intorno a sé delle mostruose teste di cane. Spaventata, fuggì dall’acqua ma si accorse che gli animali erano attaccati alle sue gambe con un collo serpentino. Si rese conto allora che sino al bacino era ancora una ninfa: al posto delle gambe, tuttavia, le spuntavano sei feroci musi di cane. Per l’orrore Scilla si gettò in mare e andò a vivere nella cavità di uno scoglio, vicino alla grotta dove abitava anche Cariddi.


1 Apollo e Poseidone spesso si occupavano degli stessi aspetti delle vicende umane: ad esempio durante la fase della fondazione di nuove colonie Apollo per mezzo dell’Oracolo autorizzava i coloni a partire e indicava loro dove stabilirsi, mentre Poseidone si prendeva cura di loro durante la navigazione verso la nuova patria.

2 Va evidenziato che in alcune tavolette rinvenute a Pilo si riporta la memoria di sacrifici in onore di Poseidone e delle “due regine”, da identificarsi forse con Demetra e PERSEFONE.

3 Data la stretta relazione che il dio ebbe, anche in epoca successiva, con i cavalli, alcuni studiosi ritengono che Poseidone nacque originariamente come un dio-cavallo.

4 Secondo questa tradizione, Poseidone quando giunse in età virile si innamorò di Alia e generò con lei una figlia di nome RHODOS, che diede il nome all’isola, e sei figli maschi; questi ultimi erano così violenti e tracotanti da impedire alla dea AFRODITE di sbarcare nell’isola. La dea li punì suscitando in loro un empio ardore nei confronti della madre, che venne così violentata dai figli. Poseidone, inorridito, li fece sprofondare sotto terra mentre Alia si gettò in mare e divenne una dea con il nome di LEUCOTEA.

5 Non è insolito che il dio del mare venga definito anche come “lo sposo di Anfitrite”.

6 Di Rodo si racconta che ella fosse una bellissima ninfa, che diede il proprio nome alla famosa isola dell’Egeo. DIODORO SICULO narra che, quando gli dei si divisero il mondo, Helios era assente e venne escluso dalla distribuzione degli onori; a quel punto, un’isola emerse dalle acque e il dio del Sole chiese che gli venisse assegnata; il nume venne accontentato. Helios chiamò quella terra Rodi, che da quel giorno venne consacrata al nume (in epoca antica, una colossale statua a lui dedicata – il famoso “colosso di Rodi” – era considerata una delle Sette meraviglie del mondo antico).

7 PAUSANIA, tuttavia, riferisce che il nome della figlia dei due numi era DESPOINA.

8 Veniva ascritta a Poseidone anche la paternità di BUSIRIDE (re d’Egitto), figlio di ANIPPE, e dei briganti SCIRONE e PROCUSTE, che vennero uccisi da Teseo (Parte III, capitolo III); egli era anche il padre di ALIRROZIO, la cui morte portò alla costituzione dell’Areopago (v. Capitolo XI, Ares), degli Aloadi OTO ed EFIALTE (v. ancora Capitolo XI, Ares), del gigante Orione (v. Capitolo VIII, Artemide), nonché del signore dei venti EOLO (v. Capitolo VIII, Artemide). Alcune fonti attribuivano a Poseidone anche la paternità del dio fluviale ASOPO (che altri ritenevano figlio di Zeus), del primo re del popolo dei Lestrigoni, dell’indovino FINEO, dell’eroe Teseo e di IDAS, che partecipò alla spedizione degli Argonauti. Da questa lista, già estremamente estesa, dei discendenti del dio del mare sono stati omessi per ragioni di spazio altri rampolli, meno conosciuti nel panorama mitologico ellenico.

9 L’insidioso tratto di mare viene tradizionalmente identificato con lo stretto di Messina, anche se gli studiosi più moderni manifestano, al riguardo, numerose perplessità.

Fonti:

https://www.theoi.com/Olympios/Poseidon.html
o Homer, The Iliad – Greek Epic C8th B.C.
o Homer, The Odyssey – Greek Epic C8th B.C.
o Hesiod, Theogony – Greek Epic C8th-7th B.C.
o Hesiod, Catalogues of Women Fragments – Greek Epic C8th-7th B.C.
o Hesiod, Astronomy Fragments – Greek Epic C8th-7th B.C.
o Stasinus or Hegesias, The Cypria Fragments – Greek Epic C7th-6th B.C.
o Pindar, Odes – Greek Lyric C5th B.C.
o Greek Lyric IV Corinna, Fragments – Greek Lyric C5th B.C.
o Apollodorus, The Library – Greek Mythography C2nd A.D.
o Diodorus Siculus, The Library of History – Greek History C1st B.C.
o Strabo, Geography – Greek Geography C1st B.C. – C1st A.D.
o Pausanias, Description of Greece – Greek Travelogue C2nd A.D.
o Plutarch, Moralia – Greek Historian C2nd A.D.
o Aelian, Historical Miscellany – Greek Rhetoric C2nd-3rd A.D.
o Hyginus, Fabulae – Latin Mythography C2nd A.D.
o Hyginus, Astronomica – Latin Mythography C2nd A.D.
o Ovid, Metamorphoses – Latin Epic C1st B.C. – C1st A.D.
o Suidas – Byzantine Greek Lexicon C10th A.D.