La Soglia Oscura
Monografie,  Mitologia

GLI ANTICHI DEI DELLA GRECIA – ZEUS
di Daniele Bello

Canterò Zeus, il migliore e il più grande degli dei,
onniveggente signore, che ha in pugno il destino:
con Temi, seduta al suo fianco,
scambia parole di saggezza.

Inni omerici, XXIII, Inno a Zeus, vv. 1-3
(traduzione di G. ZANETTO)

1.
Attributi del nume

Nella mitologia greca ZEUS (in greco Ζεύς) è il re degli dei maggiori, nonché il sovrano dell’Olimpo; egli è il dio del tuono e del fulmine. I suoi simboli sono la folgore, il toro, l’aquila e la quercia. La sua figura equivalente nella mitologia romana era GIOVE, mentre in quella etrusca era il dio TINIA

Il termine Zeus è probabilmente l’evoluzione di DIĒUS, una divinità delle prime popolazioni indoeuropee, chiamato anche DYEUS PH2TĒR (“padre cielo”); gli studiosi hanno osservato come nella lingua e nella cultura di numerosi popoli appartenenti al medesimo ceppo degli Elleni esistano diverse figure analoghe a quelle del dio greco: in sanscrito esiste, ad esempio, DYAUS/DYAUS PITA, mentre la lingua latina conosce JUPITER (o IUPPITER): si tratta in entrambi i casi di derivazioni dalla medesima radice *dyeu (“splendere” e, nelle sue forme derivate, “cielo, paradiso, dio”); anche nella tradizione germanica e norrena vi sono figure facenti parte del pantheon mitologico, il cui nome proviene da un etimo simile (dīves o *deiwos).

Zeus è l’unica divinità dell’Olimpo il cui nome abbia una origine chiaramente ed evidentemente indoeuropea; il nume era probabilmente legato, originariamente, agli eventi atmosferici: egli era il dio che scagliava i fulmini, faceva rombare il tuono e dispensava sulla terra pioggia o neve (nei poemi omerici egli è Zeus Nephelegeretes, il “radunatore di nuvole”); era quindi il dio del cielo di un popolo nomade migratore.

Quando la religione degli Indoeuropei invasori si fuse con quella delle popolazioni autoctone della penisola ellenica, Zeus divenne lo sposo delle potenti dee della religione mediterranea: in particolare, egli divenne il legittimo consorte di Hera (la grande divinità tutelare di Argo, forse il primo centro urbano della Grecia), dea della famiglia e delle nascite; tale unione trovava una sua giustificazione data la notevole importanza dell’ordine (kosmos) nella società ellenica, in cui i legami tra congiunti svolgevano una parte fondamentale.

Successivamente, la figura di Zeus ebbe una sua evoluzione: da nume del cielo e del tuono, egli divenne dio padre, primo degli dei e signore supremo dei mortali; non nel significato di divinità creatrice, ma nel senso di pater familias, di capo e protettore della famiglia e degli uomini, di custode dell’ordine e dei costumi. Tale concezione venne delineandosi in epoca micenea e nel medioevo ellenico: nei poemi omerici Zeus compare come un sovrano costretto spesso a padroneggiare i propri vassalli indisciplinati, mentre ESIODO ne fa la personificazione dell’ordine e della giustizia divina.

Il nome di Zeus era associato a molti attributi. Egli era di volta in volta: Zeus Soter in quanto padre e salvatore dell’umanità; Zeus Herkeios in quanto protettore della casa; Zeus Xenios quale custode delle leggi dell’ospitalità; Zeus Ktesios come custode della proprietà; Zeus Gamelios quale dio del matrimonio; Zeus Chtonios, divinità della terra e della fertilità. Egli era inoltre Meilichios, dio clemente dell’abisso, venerato sotto la forma di un serpente al quale venivano date offerte di miele; custode delle libertà (Zeus Eleutherios), nonché suprema divinità civica (Zeus Poleios e Zeus Bulaios).

Altri attributi di Zeus erano:

• Zeus Aitnàios (Zeus Etneo), dal vulcano Etna, sacro al nume;
• Zeus Nemeos (Zeus Nemeo), da Nemea, dove si disputavano i Giochi Panellenici;
• Zeus Olympios (Zeus Olimpio), relativo al dominio di Zeus sugli altri dei e ai Giochi Panellenici che si tenevano ad Olimpia;
• Zeus Panhellenios (Zeus di tutti i Greci), al quale era dedicato il famoso tempio di Eaco sull’isola di Egina;
• Zeus Horkios, il dio che si occupava della veridicità dei giuramenti;
• Zeus Agoraios, poiché vigilava sugli affari;
• Zeus Cronide (figlio di Crono): patronimico del dio;
• Zeus Egioco (possessore dell’Egida, lo scudo ricoperto con la pelle della capra AMALTEA che secondo il mito aveva nutrito il nume da bambino).
• Zeus Erceo (protettore della casa);
• Zeus Heraios (Zeus di Hera);
• Zeus Basileus (sovrano).

Il figlio di Crono era evocato anche come Pater (“padre”), Patroos, Phratrios, Philios e Hikesios, in quanto nume delle varie comunità; in qualità di dio degli elementi, egli era anche Ombrios o Hyetios (“dio della pioggia”), Kataibates (“colui che discende”), Kappotas (“che cade giù”) e Keraunos (“il fulmine”).

Nella iconografia classica, Zeus era raffigurato come un uomo barbuto; erano associati alla sua figura lo scettro e i simboli a lui sacri. Gli artisti greci immaginavano il nume in due particolari posizioni: in piedi, mentre con il braccio destro alzato scagliava una folgore, oppure seduto sul suo trono.

Il culto del padre di tutti gli dei era ovviamente diffuso in tutto il mondo ellenico: alcuni siti erano tuttavia famosi per una particolare devozione nei confronti del figlio di Crono.

In primo luogo, va citata l’isola di Creta, dove Zeus veniva adorato in alcune grotte che si trovavano nei pressi della città di Cnosso (Ida e Palicastro); molte delle leggende legate alla nascita del dio, infatti, tramandano che il nume sarebbe nato proprio in suolo cretese, dove venne allevato e cresciuto sino a quando non fu in grado di conquistare il trono del cielo.

Un particolare culto del nume (quello di Zeus Lykaios) era diffuso in Arcadia, che secondo una leggenda era il vero luogo natale del figlio di Crono; l’epiteto Lykaios viene ricondotto alla parola lyke (“luminosità”) ed in questo significato Zeus sarebbe il signore del monte Licaone (la montagna splendente), la cima più alta dell’Arcadia; altri associano l’epiteto a lykos (“lupo”): tale attributo deriverebbe da una tradizione antichissima, di cui si sarebbero perse le tracce, e che troverebbero una pallida eco nel mito di Licaone, re dell’Arcadia (v. Parte I, Capitolo VII), che Zeus punì per le sue nefandezze trasformandolo in lupo.

Zeus era altresì venerato nella città di Olimpia, nel cui tempio in età classica si poteva ammirare la famosa statua di Fidia, una delle sette meraviglie del mondo antico. Il culto di Zeus etneo, riportato nelle odi di PINDARO, era invece attestato in Sicilia e, in particolare, nella città di Áitna (Etna), fondata da Gerone I di Siracusa.

In qualità di nume tutelare della profezia (che egli trasmise poi al figlio Apollo), a Zeus venivano dedicati anche alcuni oracoli; il più famoso sorgeva a Dodona, nell’Epiro, dove una quercia sacra sussurrava arcani vaticini. Il mitico fondatore di Tebe, l’eroe Cadmo, apprese proprio dall’albero divino che lui era destinato a fondare una grande città.

In diverse città greche, da ultimo, si adorava una versione locale di Zeus che viveva nel mondo sotterraneo: ad Atene ed in Sicilia si venerava Zeus Katachthonios (“del sottosuolo”) ed in suo onore si sacrificavano animali di colore nero.

2.
Nascita di Zeus

Se nei poemi omerici Zeus viene citato come figlio primogenito di CRONO e REA, nella Teogonia di ESIODO il dio del tuono e del fulmine è l’ultimo a nascere tra i figli della regale coppia; è proprio in quest’ultima opera, tra l’altro, che la nascita e l’infanzia dei Zeus vengono descritte nel modo più compiuto.

Rea, congiunta a Crono, partorì illustri figli:
Istie, Demetra ed Era dagli aurei calzari,
il forte Ade che ha la dimora sotto terra,
spietato nel cuore, Ennosigeo che profondo rimbomba
e Zeus, saggia mente, padre degli uomini e degli Dei:
sotto il suo tuono trema l’ampia terra.
Ma il grande Crono inghiottiva i suoi figli,
appena ciascuno dal ventre della sacra madre arrivava alle ginocchia;
ciò escogitava affinché nessuno della stirpe di Urano
avesse tra gli immortali l’onore del regno:
egli aveva saputo da Gaia e da Urano stellato
che era per lui destino (per quanto forte egli fosse)
essere vinto da un figlio, per volere divino.
Per questo vegliava, sempre in sospetto, ed i figli
suoi divorava. E Rea si struggeva di terribile dolore.
Ma quando ella stava per dare alla luce Zeus,
padre degli uomini e dei numi, chiese ai suoi genitori,
Gaia ed Urano stellato, di darle consiglio,
perché trovassero il modo di nascondere il parto
del figlio caro e placare le Erinni del padre
e dei figli, inghiottiti da Crono possente, l’astuto.
Costoro la ascoltarono e accolsero la sua richiesta
e le rivelarono quanto era stato stabilito dal Fato
riguardo a Crono sovrano e a suo figlio dal forte cuore.
E la mandarono a Licto, nel ricco paese di Creta,
affinché desse alla luce il suo ultimo figlio,
Zeus il grande. Gaia prodigiosa lo accolse
nel suolo ampio di Creta, per nutrirlo ed educarlo;
lo portò con sé durante la notte ombrosa e giunse rapida
dapprima a Licto; e qui lo nascose con le sue mani,
in un antro scosceso, sotto i recessi della buia terra,
sul monte Egeo dalle folte foreste.

ESIODO, Teogonia, vv. 453-484

Secondo la concezione esiodea, quindi, Crono divorò tutti i figli avuti da Rea per timore di essere un giorno spodestato da uno dei suoi successori (del resto, lui stesso aveva riservato lo stesso trattamento al padre Urano).

Quando Rea stava per partorire l’ultimogenito, ella chiese ai suoi genitori Urano e Gea di escogitare un piano per salvarlo: essi le rivelarono allora quanto il Fato avesse stabilito per il suo consorte e il figlio nascituro.

Rea mise allora al mondo Zeus e consegnò a Crono, in luogo del fanciullo appena nato, una pietra avvolta in fasce, che il nume divorò immediatamente.

Al sommo figlio di Urano, che fu il primo sovrano degli Dei,
porse una gran pietra avvolta in fasce.
Egli la prese con le sue mani e la trangugiò nel suo ventre,
né gli passò per la mente (sciagurato!) che, al posto
di un sasso, suo figlio fosse rimasto indenne
e che questi lo avrebbe vinto con la forza,
privandolo del trono e regnando tra i numi immortali.

ESIODO, Teogonia, vv. 485-491

Secondo la maggior parte dei mitografi, Rea partorì il suo ultimo figlio a Creta1; secondo una tradizione attestata da CALLIMACO (Inno a Zeus), invece, Zeus sarebbe stato partorito in Arcadia ed in seguito condotto in suolo cretese.

Il piccolo nume fu nutrito dalla capra AMALTEA e accudito da due giovani ninfe (i cui nomi cambiano di volta in volta, a seconda degli autori), figlie del re MELISSEO.

I CURETI2, in armi, facevano la guardia al neonato dentro la grotta, battendo forte le lance contro gli scudi, perché quello strepito impedisse a Crono di udire i vagiti del figlio.

Il piccolo Zeus, quindi, cresceva sereno nell’isola di Creta e si preparava a diventare un dio forte e vigoroso, in grado di diventare un giorno il nuovo tiranno del cielo.

3.
L’ascesa al trono divino

Giunto all’età adulta, Zeus detronizzò suo padre Crono con l’aiuto degli accorti consigli di Gea, la Madre Terra.

Presto, la forza e le fulgide membra
del nuovo sovrano crescevano. Con il volgere degli anni,
tratto in inganno dai furbi consigli di Gaia,
il grande Crono dai torti pensieri risputò la sua prole,
vinto dalle arti e dalla forza del figlio.
Per prima vomitò la pietra che per ultima aveva inghiottita;
e Zeus la fissò nella terra dalle ampie vie,
nella sacra Pito, sotto le valli del Parnaso,
come simbolo sacro, meraviglia per i mortali.

ESIODO, Teogonia, vv. 492-500

Secondo APOLLODORO, invece, Zeus chiese a METIS (figlia di Oceano) di aiutarlo nella sua impresa: fu la dea a dare da bere a Crono un potente farmaco, che lo costrinse a vomitare prima la pietra e poi di seguito tutti i figli che aveva inghiottito.

Insieme ai suoi fratelli, Zeus dichiarò guerra a Crono e ai Titani; fu una lotta durissima (la “Titanomachia”), che a lungo non vide né un vincitore né un vinto.

Da tempo lottavano gli uni contro gli altri
i Titani e quanti erano figli di Crono,
soffrendo pene dolorose in tremende battaglie,
gli uni dall’alto del monte Otri (i gloriosi Titani)
gli altri dalle cime dell’Olimpo (gli Dei donatori di beni,
generati da Rea dalle belle chiome, la sposa di Crono).
Costoro si facevano guerra da dieci anni interi,
gli uni contro gli altri, con animo sofferente:
non vi era termine o conclusione per l’aspra contesa,
a favore degli uni o degli altri: incerta era la sorte della guerra.

ESIODO, Teogonia, vv. 629-638

Le due fazioni combattevano ormai da dieci anni quando Gea profetizzò a Zeus che avrebbe vinto solo se si fosse alleato con quanti erano stati imprigionati nel Tartaro.

Allora il figlio di Crono uccise CAMPE, la loro carceriera, e riuscì a liberare i Ciclopi e gli Ecatonkiri dalle catene.

Fu in quell’occasione che i Ciclopi diedero a Zeus il tuono, il fulmine e le saette; ad Ades invece diedero l’elmo che rende invisibili; a Poseidone venne donato il tridente.

[Zeus] poi sciolse dai ceppi i fratelli di suo padre, la stirpe di Urano,
che il padre nella sua follia aveva incatenato.
Essi gli furono sempre grati di tale beneficio
e gli diedero il tuono, l’ardente saetta ed il baleno
che prima Gaia prodigiosa teneva nascosti.

ESIODO, Teogonia, vv. 501-505

Così equipaggiati, essi vinsero facilmente i Titani; poi li imprigionarono nel Tartaro, sotto la custodia degli Ecatonkiri.

Zeus, Ades e Poseidone si spartirono allora il potere supremo: a Zeus toccò il regno del cielo, a Poseidone il dominio sugli abissi marini; Ades divenne invece il signore dell’oltretomba. La divisione delle timai viene rammentata nei poemi di OMERO, che mette in bocca queste parole al dio del mare:

Noi siamo tre fratelli, figli di Crono, e nostra madre è Rea:
Zeus ed io; e poi Ade, signore dei morti.
In tre parti è diviso il mondo e ognuno di noi ha il suo regno.

Iliade, Libro XV, vv. 187-189

Racconta APOLLODORO che, a questo punto, Gea si sdegnò perché i suoi figli erano stati estromessi dal potere; ella istigò i Giganti alla ribellione (la “Gigantomachia”)3.

Secondo una profezia, nessuno di quegli esseri enormi poteva essere ucciso dai numi, senza l’ausilio di un uomo mortale.

Il figlio di Crono allora chiamò in aiuto ERACLE, figlio di ALCMENA, affinché intervenisse nella battaglia come alleato degli dei. I Giganti vennero così sconfitti: essi furono in gran parte annientati dalle folgori di Zeus, mentre a tutti Eracle dava il colpo di grazia con le sue frecce.

Gea, allora, sempre più furibonda si unì al Tartaro, e partorì in terra di Cilicia il mostruoso TIFEO, una terribile creatura metà uomo e metà bestia; sino alle cosce egli aveva forma umana, ma aveva dimensioni enormi: era più grande di tutte le montagne e la sua testa spesso sfiorava le stelle; le sue braccia aperte toccavano da una parte il tramonto, dall’altra l’aurora e terminavano con cento teste di serpente. Dalle cosce in giù, invece, Tifeo aveva smisurate spire di vipera, che producevano orrendi sibili. Tutto il suo corpo era alato; un pelo irsuto gli ondeggiava sulla testa e sulle guance; gli occhi sprizzavano fiamme.

Zeus ingaggiò una lotta terribile contro quel mostruoso avversario: si racconta che Tifeo si mise a scagliare massi infuocati contro il cielo stesso; gli dei stessi, terrorizzati, fuggirono in Egitto e, per non essere scoperti, assunsero l’aspetto di animali.

Tifeo avvolse con le sue spire Zeus, lo immobilizzò, gli tagliò i tendini delle braccia e delle gambe e lo imprigionò in Cilicia, sorvegliato dalla dragonessa DELFINE.

HERMES ed EGIPAN4 riuscirono a recuperare i tendini e li riadattarono di nascosto al corpo di Zeus; ritrovata la sua forza, il figlio di Crono tornò in cielo, salì su un carro trainato da cavalli alati e, scagliando fulmini, inseguì Tifeo sul monte chiamato Nisa (dove le Moire ingannarono il fuggiasco e lo convinsero a mangiare i frutti della morte, facendogli invece credere che così avrebbe ritrovato tutta la sua forza).

Tifeo cercò di sfuggire all’ira di Zeus attraverso il mare di Sicilia, ma il nume gli scagliò addosso l’altissimo monte Etna e lo schiacciò: è da quel giorno, si dice, il vulcano erutta fuoco e fiamme.

Dopo la Tifonomachia, Zeus poté finalmente consolidare la sua sovranità sull’intero universo.

Dopo che gli Dei beati ebbero compiuto le loro fatiche
e fu decisa la lotta con i Titani per il potere,
per i consigli di Gaia essi decisero che Zeus
dall’ampio sguardo divenisse il re dei numi beati
e il signore dell’Olimpo: egli divise gli onori tra tutti gli Dei.

ESIODO, Teogonia, vv. 881-885

4.
Le spose di Zeus

Se nei poemi omerici (v. Iliade, Libro XIV) l’unica ed indiscussa sposa di Zeus è la dea Hera, una delle sue tre sorelle, ESIODO ci fornisce una lista molto più dettagliata delle consorti del figlio di Crono.
La prima sposa di Zeus fu Metis, la prudenza, una delle figlie di Oceano e Teti (le Oceanine).

Zeus, re degli Dei, dapprima prese in sposa Metis,
che aveva più senno di tutti gli uomini e dei numi.

ESIODO, Teogonia, vv. 886-887

Quando la dea era già sul punto di partorire il primo rampollo del tiranno del cielo, Urano e Gea annunciarono a Zeus che sua moglie era destinata a generare un figlio maschio, che avrebbe potuto detronizzare il padre.

Secondo il Fato Metis avrebbe partorito una prole
assai saggia: dapprima la fanciulla glaucopide,
la Tritogenea, pari di senno e di forza a suo padre;
poi doveva generare un figlio di immenso vigore,
destinato ad essere sovrano degli uomini e dei numi.
Ma Zeus la inghiottì nel suo ventre,
perché la dea potesse consigliarlo sul bene e il male.

ESIODO, Teogonia, vv. 894-900

Zeus si affrettò ad ingoiare Metis, ma la figlia del nume venne lo stesso alla luce: nacque così ATENA, la dea della sapienza e della guerra eroica.

Per seconda sposò la splendida Temi, che generò le Ore
(Eunomie, Dike ed Eirene fiorente)
che vegliano sulle opere dei mortali;
e le Moire, cui grande onore diede Zeus prudente:
Cloto, Lachesi e Atropo, che concedono
agli uomini il bene e il male.

ESIODO, Teogonia, vv. 901-906

La seconda sposa di Zeus fu quindi TEMI (la legge), figlia di Urano e Gea e appartenente alla stirpe dei Titani. Secondo ESIODO ella generò al marito le MOIRE (che altrove vengono dette anche figlie di Notte e di Erebo) e le ORE, che per molti simboleggiavano lo scorrere del tempo e l’alternarsi delle stagioni; in quanto figlie di Temi, esse rappresentavano anche l’ordine morale: EUNOMIE era la personificazione della legalità, mentre EIRENE (o IRENE) simboleggiava la pace; da ultimo, DIKE incarnava l’ideale della giustizia: a lei fu particolarmente devoto il poeta ESIODO.

Zeus si unì quindi ad EURINOME, un’altra delle Oceanine, che gli partorì le CARITI, che rappresentavano la grazia e la bellezza.

Eurinome, dal fulgido aspetto, figlia di Oceano,
gli generò le tre Cariti dalle guance belle gli diede:
Aglaia, Eufrosine e Talie l’amabile;
dalle loro ciglia e dal loro sguardo stillava amore,
che scioglie le membra perché bello è il loro sguardo.

ESIODO, Teogonia, vv. 907-911

In seguito Zeus si unì a sua sorella, DEMETRA, dea dell’agricoltura e delle messi, che mise al mondo PERSEFONE, futura sposa di Ades.

Poi ascese il talamo di Demetra, nutrice generosa,
che partorì Persefone dalle bianche braccia;
per volere di Zeus, Ade la rapì alla madre.

ESIODO, Teogonia, vv. 912-914

A Demetra succedette MNEMOSINE (la memoria), una Titanide, che diede alla luce le nove Muse.

Quindi si innamorò di Mnemosine dalle belle chiome,
da cui nacquero le nove Muse dall’aureo diadema,
che traggono diletto dalle feste e dalle gioie del canto.

ESIODO, Teogonia, vv. 915-917

Zeus sedusse quindi Leto, da cui nacquero i due gemelli APOLLO ed ARTEMIDE.

Leto generò Apollo ed Artemide arciera,
bellissima prole tra tutta la stirpe di Urano,
unita in amore con Zeus egioco.

ESIODO, Teogonia, vv. 918-920

Da ultimo, il figlio di Crono si unì in matrimonio con la sorella HERA, che gli generò ARES, il dio della guerra, EBE, la dea dell’eterna giovinezza, e ILIZIA, la dea del parto.

Prese per ultima in sposa Era fiorente,
che gli partorì Ares, Ebe ed Ilizia,
il padre degli uomini e degli Dei.

ESIODO, Teogonia, vv. 921-923

E’ importante notare che OMERO, per contro, afferma che Hera e Zeus si fossero uniti prima della caduta di Crono; dalla loro relazione, forse inizialmente clandestina, sarebbe nato EFESTO, il fabbro degli dei; secondo ESIODO, invece, questi sarebbe stato generato da Hera “senza unirsi in amore ad alcuno”.

Nella Teogonia si attribuisce al figlio di Crono anche una relazione con MAIA, figlia di Atlante, da cui nacque HERMES, il futuro messaggero degli dei.

Asceso il suo sacro talamo, Maia, la figlia di Atlante,
a Zeus generò Ermes l’illustre, l’araldo dei numi.

ESIODO, Teogonia, vv. 938-939

OMERO menziona tra le consorti del nume anche la bella DIONE (venerata con Zeus nel santuario dell’oracolo di Dodona), che divenne la madre di AFRODITE, la dea dell’amore.

Altri miti, infine, fanno un sia pur breve cenno ai figli che egli ebbe sia da SELENE, la dea della Luna, che da EOS, la dea dell’Aurora.

5.
I discendenti di Zeus

Accanto agli amori, per così dire, “divini” di Zeus, la mitologia greca conosce innumerevoli leggende che parlano delle conquiste che il padre degli dei olimpi fece tra le Ninfe5 e le creature mortali.

La Teogonia di ESIODO menziona due figli in particolare, i quali si conquistarono una fama eccezionale in quanto vennero in seguito ammessi tra gli dei dell’Olimpo.

Da SEMELE, figlia di Cadmo (il fondatore di Tebe), Zeus ebbe DIONISO, il dio del vino, dell’estasi e dell’ebbrezza. Il poeta della Beozia gli dedica alcuni versi sul finire del suo poema.

Unita in amore con Zeus, la mortale Semele, la figlia di Cadmo,
diede alla luce Dioniso ricco di gioia, l’immortale:
ora entrambi sono compresi tra i numi.

ESIODO, Teogonia, vv. 940-942

Da una notte d’amore con ALCMENA, figlia di ELETTRIONE e nipote dell’eroe PERSEO, venne invece generato il fortissimo ERACLE, che dopo aver compiuto grandi e nobili imprese venne accolto alla morte tra gli dei olimpi ed ebbe in sposa Ebe, la dea dell’eterna giovinezza.

Alcmena generò il forte Eracle,
unita in amore con Zeus adunatore di nubi.

ESIODO, Teogonia, vv. 943-944

Sono molti i mitografi che ci raccontano delle numerose conquiste amorose di Zeus; da queste relazioni nacquero alcuni tra i più illustri esponenti delle dinastie del mondo ellenico.

IGINO tenta di fornire un elenco dei discendenti di Zeus, ma non riesce ad essere completamente esaustivo:

Figli di Giove [Zeus]
LIBERO [ZAGREO], che i Titani smembrarono, da PROSERPINA [PERSEFONE]. ERCOLE [ERACLE] da ALCMENA. LIBERO [DIONISO] da SEMELE, figlia di CADMO e ARMONIA. CASTORE e POLLUCE da LEDA6, figlia di TESTIO; ARGO da NIOBE, figlia di FORONEO; EPAFO da IO, figlia di INACO. PERSEO da DANAE, figlia di ACRISIO. ZETO e ANFIONE da ANTIOPE, figlia di NITTEO. MINOSSE, SARPEDONTE e RADAMANTO da EUROPA, figlia di AGENORE. ELLENO da PIRRA, figlia di EPIMETEO. ETLIO da PROTOGENIA, figlia di DEUCALIONE. DARDANO da ELETTRA, figlia di ATLANTE. LACEDEMONE da TAIGETE, figlia di ATLANTE. TANTALO da PLUTO, figlia di ATLANTE. EACO da EGINA, figlia di ASOPO. EGIPANE dalla capra BETIDE. ARCADE da CALLISTO, figlia di LICAONE. PIRITOO da DIA, figlia di DEIONEO”.

IGINO, Favole, 155
(traduzione tratta dal sito www.ilcrepuscolodeglidei.it)

Molti di questi rampolli del figlio di Crono costruiranno città famose (come nel caso di Lacedemone, fondatore di Sparta, e di Dardano, primo re di Troia); altri saranno sovrani potenti (come Epafo, re d’Egitto; Zeto ed Anfione, reggitori di Tebe; Minosse, supremo monarca dell’isola di Creta); altri ancora, infine, compiranno gesta valorose, come nel caso di Perseo, di Eracle e dei gemelli Castore e Polluce7.

Quasi tutte le leggende che ruotano attorno alle avventure extraconiugali di Zeus vedono protagonista una gelosissima Hera, che spesso perseguitò le amanti del marito e i figli da esse generati.

Nella sezione dedicata alla regina degli dei verranno narrate le vicende delle vittime dell’ira della moglie di Zeus, colpevoli solo di essere amate dal signore del tuono e del fulmine: IO, LETO, ALCMENA, CALLISTO, SEMELE, EGINA, LAMIA e GERANA.

Racconta OVIDIO (Metamorfosi, Libro III, vv. 359-365) che alla ninfa ECO era stato affidato il compito di distrarre Hera con lunghi discorsi mentre Zeus consumava i suoi amori furtivi. Quando Hera se ne accorse, la dea condannò la ninfa a ripetere continuamente le parole che udiva dagli altri.

Le leggende che raccontano degli amori di Zeus sono ricche di particolari relativi alle tecniche di seduzione utilizzate dal padre di tutti gli dei. In più di un’occasione, egli fece ricorso al potere della metamorfosi, la facoltà che egli aveva di assumere qualsiasi forma egli volesse.

Per conquistare EUROPA, figlia di AGENORE (re di Tiro), il padre degli dei olimpi prese le sembianze di un toro; il nume fece montare la fanciulla sulla sua groppa e poi la condusse nell’isola di Creta; da questa unione amorosa nacquero tre figli: MINOSSE e RADAMANTO, destinati a divenire giudici dell’oltretomba, e SARPEDONTE, futuro re della Licia.

Un’altra celebre avventura di Zeus fu quella che ebbe come protagonista DANAE, figlia di ACRISIO (re d’Argo); poiché un oracolo aveva predetto che la giovane principessa avrebbe partorito un figlio maschio destinato ad uccidere il nonno, Acrisio aveva rinchiuso la fanciulla in una stanza sotterranea (ovvero, secondo altri, in una torre), per impedirle di avere contatti con esseri di sesso maschile. Il figlio di Crono, però, si trasformò in una pioggia d’oro e riuscì quindi ad entrare negli appartamenti di Danae e a conquistarla; la figlia del re di Argo partorì quindi un figlio cui venne dato il nome di PERSEO; delle sue imprese si dovrà parlare più diffusamente nella sezione dedicata agli eroi della mitologia greca.

Zeus ebbe una storia d’amore anche con CALLISTO, una fanciulla devota ad ARTEMIDE; il nume riuscì però a sedurla solamente dopo avere preso le sembianze della stessa dea della caccia. Di come ella patì la persecuzione di Hera e della sua successiva trasformazione in una costellazione si dirà in seguito.

Numerose pitture vascolari raffigurano Zeus nell’atto di sedurre ANTIOPE, figlia di NITTEO (nobile tebano), dopo avere preso le sembianze di un satiro. La sventurata donna venne per questo scacciata dal padre e fu poi a lungo vittima delle angherie dello zio LICO; la bella Antiope fu però salvata dai gemelli che ella aveva generato dopo la sua storia d’amore con il dio del fulmine: ZETO ed ANFIONE, destinati un giorno ad assumere la reggenza di Tebe e a costruirne le celebri mura dalle sette porte.

Alcmena, figlia di Elettrione, fu un’altra delle conquiste di Zeus; per sedurla, il nume prese le sembianze del marito ANFITRIONE (impegnato altrove in guerra). Il figlio di Crono raggiunse nottetempo la donna di cui si era innamorato nella città di Tebe, in compagnia del fido HERMES, e fece in modo che l’oscurità durasse tre volte tanto; poi si sdraiò nel letto con Alcmena e le raccontò delle sue vittorie in guerra. Da quell’amplesso amoroso nacque il più grande di tutti gli eroi: Eracle, destinato anch’egli ad essere vittima della persecuzione di Hera.

Da ultimo, va menzionata senz’altro la storia di LEDA, figlia di TESTIO (un nobile dell’Etolia, rampollo di Ares), non fosse altro per le conseguenze che essa produrrà per tutto il mondo ellenico.

Leda era sposa di Tindaro, re di Sparta, ed era di una bellezza incomparabile; di lei si innamorò il padre di tutti gli dei, che si unì alla donna sotto forma di cigno; nella stessa notte si unì a lei anche lo sposo, per cui la figlia di Testio partorì ELENA8 e Polluce dal figlio di Crono, ma anche Castore e CLITENNESTRA da Tindaro.

Le due eredi femmine di Leda erano particolarmente avvenenti, ma più di tutte lo era la discendente di Zeus, al punto tale che ella venne ben presto considerata la donna più bella del mondo. Ella venne data in sposa a MENELAO, della famiglia degli Atridi, ma venne rapita dal principe troiano PARIDE: questo oltraggio scatenò la guerra di Troia.

Di Zeus si ricordano anche alcune relazioni omosessuali, come quando si invaghì di GANIMEDE, figlio di TROO (re di Troia); si racconta che il nume rapì il giovane dopo aver preso le sembianze di un’aquila e lo condusse nell’Olimpo, per farne il coppiere degli dei. Così ricorda la vicenda l’anonimo autore dell’Inno ad Afrodite:

In passato il saggio Zeus rapì il biondo Ganimede,
a causa della sua bellezza, perché abitasse con gli dei
e facesse loro da coppiere nella casa di Zeus:
è un prodigio per gli occhi, e tutti gli immortali
lo ammirano, quando attinge rosso nettare dal cratere d’oro.

Inni omerici, V, Inno ad Afrodite, vv. 202-206
(traduzione di G. ZANETTO)

Appartiene invece ad una tradizione più tarda la passione di Zeus per EUFORIONE, il figlio che ACHILLE ed Elena generarono dopo la loro morte, nei Campi Elisi; pare che questo amore non venisse corrisposto, ragion per cui il giovane venne incenerito dal fulmine del dio.

6.
Zeus irato e Zeus benigno

Sebbene Zeus non fosse immune da mancanze e passioni (come si è visto nei paragrafi precedenti), tali da fargli perdere la testa e spingerlo a comportarsi in un modo non propriamente degno del suo ruolo di padre di tutti gli dei, egli era in generale dotato di un profondo senso della giustizia, che egli manifestava di volta in vota attraverso atti di collera oppure di benevolenza.

Dell’ira di Zeus si è avuto già modo di parlare nei capitoli precedenti: non si può non ricordare in che modo egli punì i suoi avversari dopo la guerra contro i Titani (la Titanomachia), la ribellione dei Giganti (la Gigantomachia) e la lotta contro il terribile Tifeo. Zeus entrò in conflitto anche con Prometeo, benefattore dell’umanità: in questo caso, tuttavia, dopo il terribile supplizio imposto al Titano ribelle vi fu la definitiva riconciliazione tra le due divinità.

La mitologia greca conosce altri famosi episodi che vedono Zeus irato nei confronti degli dei e degli uomini: nelle rare occasioni in cui gli altri numi osarono mettere in discussione la sua autorità, il figlio di Crono reagì con pene severe.

Una volta Hera scatenò una tempesta contro Eracle, mentre navigava alla conquista di Troia: Zeus la appese fuori dall’Olimpo e scaraventò giù dalla dimora degli dei Efesto, che aveva tentato di difenderla.

In un’altra occasione egli punì Apollo per aver ucciso i Ciclopi e lo costrinse a restare presso il re di Fere, ADMETO, come un umile servitore.

Lo stesso Apollo e il dio Poseidone furono costretti ad espiare la loro disobbedienza al signore di tutti gli dei andando a costruire le mura di Troia, a beneficio del re LAOMEDONTE.

OMERO ci racconta un altro episodio rilevante (Iliade, Libro I), in cui gli dei Hera, Poseidone ed Atena tentarono di sollevarsi contro Zeus e di metterlo in catene; sembra che in quell’occasione intervenne BRIAREO, il gigante dalle cento braccia: la sola vista del più forte degli Ecatonkiri bastò a scoraggiare i ribelli, che rinunciarono al loro progetto. Non conosciamo quale sia stata la reazione di Zeus a questa insubordinazione, ma immaginiamo che anche in questo caso la punizione sia stata esemplare.

La collera di Zeus, tuttavia, colpiva spesso e volentieri anche quegli esseri mortali che si rendevano colpevoli di misfatti di particolare empietà.

LICAONE, re d’Arcadia, e i suoi figli offrirono al padre degli dei olimpi, travestito da mendicante, un banchetto a base di carne umana. Disgustato, il figlio di Crono rovesciò la tavola e incenerì il sovrano con i suoi rampolli (secondo OVIDIO, invece, Licaone venne trasformato in un lupo). Fu a seguito di questo episodio che Zeus decise di estirpare la razza umana mandando sulla terra un diluvio.

Un’altra celebre esplosione di ira di Zeus avvenne quando suo figlio TANTALO invitò tutti gli dei dell’Olimpo ad un banchetto: per mettere alla prova la loro onniscienza, questi fece a pezzi il figlio PELOPE ancora bambino e, dopo averlo cucinato, lo imbandì sulla mensa degli immortali.

Inorridito, il figlio di Crono lo scagliò nell’Ade e lo condannò all’eterno supplizio della fame e della sete: nel regno dell’oltretomba, Tantalo è perennemente immerso in una palude e alle sue spalle guarda un albero da frutta cresciuto sulla riva. Come racconta APOLLODORO, “l’acqua gli arriva al mento, ma quando vuole berla essa si ritira; quando vuole cogliere un frutto, l’albero e i suoi frutti vengono spinti dal vento fino alle nuvole”.

Tristemente famosa fu anche la storia di SALMONEO, re di Tessaglia: era un uomo tracotante, che voleva paragonarsi a Zeus, ma per questa sua empietà fu duramente punito. Il sovrano proclamava di essere una divinità e pretendeva dei sacrifici; aveva addirittura osato costruirsi un carro, cui aveva legato delle pelli conciate con dentro dei calderoni di bronzo, sostenendo che il clangore che producevano era il tuono; poi lanciava verso il cielo delle torce infuocate, dicendo che erano fulmini. Zeus, irritato, lo incenerì; l’impudente sovrano sconta ancora le sue pene nel Tartaro.

L’ira di Zeus si manifestò anche in altre occasioni, di cui è comunque opportuno fare cenno. Per aver tentato di sedurre Hera, Zeus condannò ISSIONE ad essere legato in eterno ad una ruota infuocata, che gira senza sosta.

Il figlio di Crono accecò il veggente FINEO e mandò le Arpie a tormentarlo, insozzando i suoi banchetti, per punirlo di aver rivelato i segreti degli dei.

Egli, inoltre, incenerì senza pietà CAPANEO, che mentre stava per scalare le mura di Tebe pronunciò espressioni ingiuriose nei confronti dei numi.

ALCIONE (figlia di Eolo) e CEICE (figlio di EOSFORO) furono entrambi rovinati dalla loro empia insolenza: lui infatti andava dicendo di avere come sposa Hera e lei che suo marito era Zeus; il dio del tuono e del fulmine li trasformò allora in uccelli .

Accanto a questi episodi che dimostrano la terribile collera di Zeus, vanno anche citati esempi di benevolenza del nume, che denotavano il suo forte senso di giustizia.

Dopo aver scatenato il diluvio, infatti, fu il figlio di Crono ad acconsentire che la stirpe umana potesse nuovamente popolare la terra.

Zeus, inoltre, ricompensò TIRESIA per aver giudicato in suo favore la disputa sorta con Hera su quale dei due sessi provasse più piacere durante il rapporto amoroso; il nume gli concesse il dono della profezia e una vita tre volte più lunga del normale.

Il figlio di Crono intervenne anche nella diatriba tra ATREO e TIESTE (figli del già menzionato Pelope) sul diritto di salire al trono di Micene .

Della commovente storia di FILEMONE e BAUCI, invece, si parlerà più diffusamente nell’Appendice (2) del presente Capitolo.

Appendice (1):

REA

Musa canora, figlia del grande Zeus, cantami
la madre di tutti gli dei e di tutti gli uomini,
cui piacciono il grido dei crotali e dei timpani,
lo strepito degli auli, l’urlo dei lupi e dei torvi leoni,
i monti echeggianti e le valli coperte di boschi.

Inni omerici, XIV, Inno alla Madre degli Dei, vv. 1-5
(traduzione di G. ZANETTO)

1. Origini

Personificazione delle forze della natura, dea della terra e degli animali, la divina REA, conosciuta presso i Romani con il nome di MAGNA MATER, è probabilmente una figura di origine pre-indoeuropea, espressione di quella “Dea Madre” che veniva venerata sotto varie forme a Creta e in tutto il Mediterraneo.

Altre divinità elleniche, secondo alcuni studiosi, possono essere ricondotte ad un ruolo originario di dea madre, il che non è insolito ove si consideri che la popolazione che abitava la penisola ellenica prima degli Indoeuropei era verosimilmente eterogenea (si distinguono, secondo talune fonti, almeno quattro gruppi linguistici principali, tra cui quello pelasgico e quello minoico).

Tra le divinità che avevano un ruolo primordiale di dea primigenia figurano altresì Gea, Hera, Afrodite, Artemide ed Ecate; tra queste, solo la prima avrebbe conservato anche in seguito la sua collocazione originaria nel pantheon greco.

2. Etimologia

Il nome Rea deriva dal greco antico ‘Ρεια (Rheia), forse proveniente da ρεω (rheo) “scorrere” (in riferimento all’acqua) o ρεος (rheos) “ruscello, corrente”.

3. Parallelismi

La figura di Rea trova una interessante corrispondenza con quella di CIBELE, una dea di origine frigia avente caratteristiche simili a quella della divinità ellenica: non si può escludere una origine comune, risalente ad una primigenia Dea Madre collegata al culto della terra.

In età storica, quando gli scambi culturali tra la Grecia e l’Asia Minore diventarono più frequenti (fondamentale fu la diffusione, in Grecia, delle tradizioni orfiche e dei Misteri), le due divinità vennero identificate in un’unica figura mitologica: il processo di fusione si completò in epoca romana, dove il culto di questa dea ebbe una connotazione misterica legata al ciclo delle stagioni, della morte e della resurrezione. A Roma, la dea Rea Cibele venne identificata anche con OPI, la dea dell’abbondanza.

4. Fonti letterarie

Rea “chiomabella, la sposa di Crono”, come la definisce ESIODO, viene citata per la prima volta nell’Iliade di OMERO, quando nel libro XV mette in bocca al dio del mare Poseidone le famose parole sulla divisione delle tìmai. Ma è nella Teogonia di Esiodo che trova la sua collocazione la descrizione più completa del ruolo e della figura di Rea. Ella viene descritta come facente parte della stirpe dei Titanidi, figlia quindi di Urano e Gea.

Dopo che gli Dei beati ebbero compiuto le loro fatiche
e fu decisa la lotta con i Titani per il potere,
per i consigli di Gaia essi decisero che Zeus
dall’ampio sguardo divenisse il re dei numi beati
e il signore dell’Olimpo: egli divise gli onori tra tutti gli Dei.

ESIODO, Teogonia, vv. 133-136

La cosmogonia ellenica racconta che Crono e Rea regnarono a lungo sull’intero universo assieme ai Titani: avendo saputo che uno dei suoi discendenti l’avrebbe spodestato, Crono tentò di opporsi al destino trangugiando i figli appena nati. Quando nacque il suo sesto figlio, il dio Zeus, Rea ingannò il suo sposo facendogli ingoiare, al posto del bambino (messo in salvo a Creta), una pietra avvolta in fasce. Divenuto adulto, Zeus costrinse il padre a vomitare la pietra e gli altri cinque figli di Rea (Hestia, Demetra, Hera, Ades e Poseidone); poi gli mosse guerra, riuscendo così a scalzarlo dal dominio del cosmo.

5. Attributi della dea

5.1 La signora cretese degli animali

Inizialmente legata al culto della Madre Terra, dea della natura, degli animali e dei luoghi selvatici (erede, in tal senso della Potnia cretese), nella tradizione che ispirò la Teogonia di Esiodo Rea venne integrata nella stirpe degli dei della prima generazione, quei Titani che dominarono il mondo prima dell’avvento di Zeus.

In particolare, è proprio Rea a consentire l’affermarsi della sovranità del proprio figlio Zeus, ingannando il marito e fratello Crono facendogli ingoiare, al posto del bambino messo in salvo a Creta, una pietra avvolta in fasce.

In seguito, Rea si identificò con la dea di origine frigia Cibele (derivante anch’essa, con tutta probabilità, dalla dea madre ancestrale) e recuperò buona parte delle sue caratteristiche originarie, dando vita ad una serie di pratiche religiose legate al culto della natura e della fertilità.
Diodoro Siculo riporta anche dei miti di origine egiziana secondo i quali Rea, insieme al fratello Crono, avrebbe governato l’Egitto dopo Ammone e prima di Iside e Osiride.

5.2 I seguaci di Cibele

Al culto di Cibele erano preposti sacerdoti di sesso maschile chiamati CORIBANTI (alcuni erano eunuchi ovvero si eviravano nel corso delle cerimonie in onore della dea), che guidavano i fedeli in riti orgiastici accompagnati da urla selvagge e da una frenetica musica di flauti, tamburi e cembali.

La mitologia greca conosce anche tutta una serie di creature, le cui caratteristiche sono andate in gran parte perdute e che diventano difficili da ricostruire per lo studioso moderno; in qualche misura esse erano legate alla dea Rea Cibele e ne costituivano il seguito: si narra, ad esempio (Ovidio; Diodoro Siculo), che durante il travaglio per il parto di Zeus, Rea per alleviare il suo dolore conficcò le proprie dita nel terreno e dai buchi praticati nacquero degli esseri chiamati DATTILI (cinque maschi e altrettante femmine), che la aiutarono a partorire; in seguito i maschi si dedicarono all’arte metallurgica mentre le femmine si occuparono dell’ arte tessile.

Collegati anch’essi al culto di Rea erano i tre CURETI, i quali avevano assistito la dea dopo la nascita di Zeus: essi avevano eseguito intorno al neonato una danza con lance e scudi, impedendo che i suoi vagiti giungessero alle orecchie di Crono.

Servitori della Grande Madre erano anche i CABIRI, che al pari dei Dattili e dei Cureti venivano presentati ora come esseri ancestrali, ora come popoli primordiali.

Per noi moderni è arduo ricostruire e comprendere il ruolo e l’importanza di queste figure a causa della penuria di fonti; le storie che li riguardavano sono andate in gran parte perdute. Sappiamo solamente che i Cabiri venivano invocati dai naviganti nel momento del pericolo e che essi erano chiamati Megaloi Theoi (“grandi dei”).

Si tratta, quindi, probabilmente di divinità primordiali di origine pre-ellenica (secondo Kerenyi lo stesso Titano Prometeo era, in origine, un Cabiro); del loro culto si perse quasi del tutto la memoria in epoca storica, ma esso non scomparve del tutto tanto è vero che esso si conservò nell’isola di Samotracia, dove per un lungo periodo sopravvisse accanto al greco un idioma più antico, di origine sconosciuta.

5.2 La storia di Attis

E’ opportuno spendere qualche parola per ricordare l’unica leggenda dettagliata avente ad oggetto un servitore della Grande Madre: proveniente dall’Asia Minore, essa è pervenuta sino ai giorni nostri anche grazie alle citazioni di Pausania e di Arnobio, uno dei Padri della Chiesa.

Si racconta che Zeus dormisse sopra la dea madre, che aveva assunto la forma di una roccia: il seme del dio del tuono penetrò al suo interno, fecondandola; nel decimo mese venne alla luce Agdistis, un essere bisessuato, selvaggio ed indomabile; questi rubava, uccideva e distruggeva: faceva tutto ciò che voleva, senza tenere contro né degli uomini né degli dei.

I numi erano adirati contro questa creatura, ragion per cui Dioniso decise di affrontarla trasformando l’acqua di una sorgente in vino; Agdistis ne bevve avidamente e si addormentò, così gli dei riuscirono ad evirarlo.

La Terra inghiottì il sangue della creatura mutilata e, immediatamente, spuntò un albero da frutta: un mandorlo ovvero, secondo alcuni, un melograno. La figlia del dio fluviale Sangarios, Nana, colse un frutto da quell’albero e se lo mise in grembo: ben presto, ella concepì un bambino cui venne dato il nome di Attis.

Il padre della fanciulla fece imprigionare la figlia, ritenendola una disonorata, e la condannò a morire di fame; Nana venne però nutrita con frutta e cibo dalla Grande Madre e partorì un maschio cui venne dato il nome di Attis. Il crudele Sangarios lo fece esporre per farlo morire, ma il bambino venne nutrito da un caprone e riuscì a sopravvivere.

Attis crebbe forte e vigoroso e divenne un fanciullo di meravigliosa bellezza; si narra che Agdistis (divenuta ormai donna a seguito della mutilazione) si innamorò di lui, ma il re di Pessinunte decise di dare in moglie al rampollo di Nana la propria figlia.

Durante le nozze Agdistis apparve nel bel mezzo della cerimonia e con il suono del proprio flauto suscitò la pazzia in tutti i partecipanti, compreso Attis che si evirò sotto un pino grigio e ne morì (dal suo sangue spuntarono le viole mammole).

Agdistis si pentì di quanto aveva commesso e chiese agli dei di far resuscitare l’amato; in conformità alle leggi del Fato, Zeus poté però consentire solamente che il corpo di Attis venisse preservato dalla decomposizione.

Nel culto di Cibele, la sorte di Attis veniva interpretata in un’ottica salvifica, come metafora della morte e della prossima risurrezione.

6. Iconografia

Le rappresentazioni artistiche della dea Rea nell’antichità non sono numerose: particolarmente noto è il particolare di un’ara votiva del IV sec. a.C. conservata presso i Musei Capitolini di Roma. Rea è raffigurata anche su alcuni vasi attici del V sec. a.C. mentre porge a Crono la pietra fasciata; nella stessa posa la ritraeva una statua di Prassitele nel Tempio di Hera a Platea.

A seguito della identificazione con la dea Cibele, l’iconografia tipica di questa divinità è quella di una signora sul trono affiancata da due leoni e con una corona sul capo simile alle mura di una città (Mater turrita). Altre raffigurazioni la rappresentano su di un carro trainato da due leoni.

7. Culto

Rea aveva molti santuari in tutta la parte occidentale della Asia minore, in particolare sul monte Ida
ed a Pessinonte, dove vi era un famoso oracolo.

Il suo culto era diffuso in gran parte nella Grecia continentale; i santuari dedicati alla venerazione della dea prendevamo il nome di metroon (come ad Olimpia e ad Atene).

A Roma, la venerazione della dea fu introdotta nel 204 a.C.; consultati i libri Sibillini, i Romani fecero venire da Pessinonte, in Asia Minore, la Pietra Nera che rappresentava Cibele, la madre degli dei. I Romani fecero quindi costruire un tempio sul colle Palatino: ogni anno si commemorò quest’evento con la festa di Megalesia.

L’altra grande festa annuale in onore di Cibele aveva inizio a Roma il 15 marzo con una processione propiziatoria per il raccolto e culminava il 27 marzo con il lavacro rituale dell’immagine della dea nel torrente Almone, presso la porta Capena.

Processioni di sacerdoti della dea (noti in Grecia come Coribanti ma conosciuti in Frigia anche come Berecinti) camminavano con la statua in legno della Grande Madre, identificata con il simbolo della fecondità della terra e della vita, rievocando l’agonia della morte della vegetazione e, quindi, il suo grande risveglio. Durante la festa di Cibele si svolgevano spettacoli scenici a contenuto erotico, menzionati e deprecati da S. Agostino nel De Civitate Dei.

Questo solenne corteo era caratterizzato da musiche e danze sfrenate (tanto da indurre il poeta romano Marziale a definirla la Madre Entèa, la Fanatica, la dea dell’esaltazione esasperata) e accompagnato dalle stridule noti di “strumenti montani”: flauti, cembali, tamburelli e raganelle . Altri strumenti del culto della dea erano il coltello incoronato, il corno, il flauto di Frigia, e il timpano.

8. Appellativi

Rea veniva invocata in Grecia come Grande Madre o Madre degli dei, poiché ella aveva partorito i maggiori dei olimpici.

In Siria, in Asia Minore e nelle regioni orientali più distanti, la dea era venerata come Meter oreia (“madre montana”), sotto diversi appellativi formati quasi sempre con il nome dei monti cui ella apparteneva (Berecinzia, Dindimene, Idea).

Nella Frigia, la regione dell’Asia in cui il suo culto era particolarmente diffuso, veniva chiamata Matar Kubile, che poi in lingua ellenica divenne Cibele.

Nella mitologia romana, Rea viene chiamata Magna Mater deorum Idaea e identificata con Opi, dea dell’abbondanza. In Ovidio (“Fasti”) la dea è detta anche Madre Idea dal monte Ida, un monte sito nella Troade che era sede del culto di Cibele.

Poiché tutelava le montagne e le fortezze, Cibele era raffigurata con una corona che aveva la forma delle mura di una città ed era pertanto nota presso i Romani anche come Mater turrita.

9. La poesia di Gaio Valerio Catullo

Solcato in fuga a vele spiegate il mare profondo,
Attis correndo raggiunse d’impeto il bosco frigio
e in mezzo alla foresta i luoghi oscuri della dea;
fuori di sé, in preda a una furia rabbiosa,
si recise il sesso con una pietra aguzza.
Sentì così ogni forza d’uomo sfuggirgli dal corpo
(goccia a goccia il suo sangue bagnava la terra);
strinse nelle mani candide il piccolo tamburo
di Cibele (il tuo tamburo, dei tuoi misteri, madre)
e battendo con dita delicate la sua pelle
in un tremito si rivolse alle compagne:
‘Venite, Galle, venite tra i boschi di Cibele,
venite tutte, gregge errante della dea di Dindimo:
cercando esuli terre lontane, al mio comando
per seguirmi vi siete affidate, voi mie compagne,
che avete sfidato la furia rabbiosa del mare
e per orrore di Venere vi siete evirate,
rallegrate di corse pazze il cuore della dea.
No, no, nessun indugio, venite tutte, seguitemi
alla casa frigia di Cibele, alle sue foreste,
dove rombano i tamburi, dove squillano i cembali,
dove risuonano cupe le melodie del flauto,
dove, cinte d’edera, si dimenano le Mènadi,
dove con acute grida si celebrano i riti,
dove svolazza l’orda vagabonda della dea:
là con le nostre danze impetuose dobbiamo andare’.
Il canto di Attis ermafrodito alle compagne
provoca nella schiera un urlo scomposto di voci,
brontolano i tamburi, strepitano i cembali,
e corrono tutte al verde Ida come impazzite.
Perduta in un delirio se ne va Attis affannata,
guidandole tra boschi oscuri al suono del tamburo,
come una giovenca selvaggia che rifiuti il giogo:
dietro la sua furia si precipitano le Galle.
Raggiunto il tempio di Cibele cadono sfinite
e morte di fatica si addormentano digiune.
Languidamente un torpore suggella i loro occhi
e spegne nel sonno la furia rabbiosa del cuore.
Ma quando i raggi dorati del sole si diffusero
nell’alba livida sulla terra e il mare in tempesta,
diradando in un baleno le ombre della notte,
Attis si scuote e il sonno veloce s’allontana
fuggendo tra le braccia impazienti di Pasitea.
Svanito nelle nebbie del riposo il suo furore,
Attis rimugina in cuore ciò che aveva fatto
e a mente fredda comprende come s’era ridotto:
con l’animo in tumulto allora ritorna alla spiaggia.
E guardando il mare immenso, gli occhi pieni di lacrime,
con voce affranta si rivolge in pianto alla sua terra:
‘Patria che m’hai creato, patria che m’hai generato,
come uno schiavo dannato che fugge dal padrone
t’ho abbandonato fuggendo ai boschi dell’Ida
per vivere tra la neve, in tane di belve
cacciandomi furiosa in ogni loro covo:
dove, dove potrò cercarti, patria mia?
Verso di te corrono gli occhi a volgere lo sguardo
se per un attimo questa rabbia mi dà respiro.
E dovrò dunque vivere in questi luoghi sperduti,
senza più casa patria beni amici genitori,
senza più fori palestre stadi e ginnasi?
Maledetta, lamentati piangi, anima mia.
Non c’è un aspetto che io, io non abbia assunto: donna,
uomo, giovinetto, ragazzo, tutto sono stato,
Il fiore dei ginnasi, la gloria delle palestre.
Il calore della gente riempiva la mia casa
e quando al sorgere del sole lasciavo il mio letto
tutte le stanze erano ornate di fiori. Ora,
ordinata schiava di Cibele, questo sarò,
una Mènade, un rottame d’uomo, un eunuco
che vive tra le nevi gelide del verde Ida.
E trascinerò la vita sui monti della Frigia
tra cerve di foresta e cinghiali selvatici.
E piango, piango, mi dispero: non l’avessi fatto’.
Quando il grido sfuggitogli dalle labbra di rosa
giunse alle orecchie degli dei come una folgore,
subito sciolse Cibele i suoi leoni, aizzando
quello alla sua sinistra, quel predatore d’agnelli:
‘Via, gettati contro di lui, che senta il tuo furore,
che costretto dalla tua furia ritorni nei boschi,
quello sciocco che sogna di sfuggire al mio potere.
Via, sfèrzati il dorso con la coda, battiti, battiti,
che tutta la terra sia assordata dal tuo ruggito,
atterrita dal fiammeggiare della tua criniera’.
Dopo le minacce Cibele libera la belva
e quella fulminea, scatenando la sua ferocia,
si getta alla caccia, ruggisce, fa strage di piante.
Giunta sulla riva umida e bianca della spiaggia
scorge il tenero Attis nel riverbero del mare
e scatta: quello impazzito fugge nella foresta.
Lì schiava rimase per tutto il resto della vita.
O dea, dea grande, dea Cibele, dea di Dìndimo,
signora, allontana dalla mia casa il tuo furore:
scatena altri ai tuoi deliri, altri alla tua rabbia

CATULLO, Carmen LXVIII
(traduzione tratta dal sito: www.la-poesia.it)

Appendice (2):

Filemone e Bauci

Tanto tempo fa, gli dei erano soliti camminare sulla terra tra i comuni mortali e andare a bussare di porta in porta per sondarne la bontà d’animo; per questo l’ospitalità era sacra presso i Greci: perché dietro le sembianze di un viandante o di un semplice mendicante poteva nascondersi un dio.

Questa tradizione non era evidentemente nota agli abitanti di un villaggio della Frigia (una regione dell’Asia Minore), sito non molto distante dalla città di Troia; qui, infatti, presero sembianze umane il padre di tutti gli dei Zeus (GIOVE) e uno dei suoi figli prediletti, Hermes (MERCURIO).

I due viaggiatori, stanchi per il lungo viaggio a piedi, bussavano di porta in porta in cerca di ospitalità, ma invano. Nessuno concedeva loro né carità, né ristoro.

Zeus ed Hermes giunsero infine di fronte ad un’umile casetta dove vivevano Filemone e Bauci: due poveri vecchietti dalle facce rugose, sposati da oltre cinquant’anni e che tuttavia continuavano a volersi bene come il primo giorno in cui si erano conosciuti.

Quando i due sconosciuti bussarono alla porta di quella coppia di sposi così straordinariamente affiatata, Filemone e Bauci non ebbero altro pensiero se non quello di accogliere quei pellegrini e dar loro ospitalità. Venne acceso il fuoco e preparata una zuppa d’erbe, venne affettato il prosciutto serbato per le grande occasioni.

I quattro si misero tutti a tavola, apparecchiata in modo semplice ma sobrio ed elegante; durante la cena, avvenne un fenomeno straordinario: di tanto in tanto, Bauci versava del latte di capra dalla sua anfora per dissetare gli ospiti, che Zeus ed Hermes trovarono entrambi squisito; eppure, per quante volte la vecchietta riempiva il bicchiere dei due viandanti, l’anfora in luogo di svuotarsi si riempiva da sola.

Al termine della cena, Filemone e Bauci rinunciarono al loro letto coniugale per far dormire più comodamente gli ospiti e si sistemarono per la notte in un giaciglio di paglia. La mattina dopo Zeus si alzò dopo aver dormito il sonno del giusto e si rivelò ai due sposi per chi era veramente; disse che aveva trovato la gente del luogo arida e meschina e che l’avrebbe punita a dovere.

Hermes invitò quindi Filemone e Bauci ad uscire dalla loro casa per raggiungere la sommità del colle più vicino: i due vecchietti si misero in marcia e, anche se arrancando, giunsero alla fine in cima all’altura assieme alle due divinità.

Zeus stava stendendo la mano su quel paese tanto ingrato, che venne immediatamente sommerso da una palude; solo la casetta di Filemone e Bauci venne risparmiata ma essa si era miracolosamente trasformata in un tempio di marmo bianco e dal tetto d’oro.

Zeus rivolse il suo sguardo benigno ai due vecchi e disse: “Voi siete le uniche persone dall’animo buono e gentile che abbiamo incontrato e per questo meritate la mia gratitudine; ditemi quello che desiderate e vi verrà concesso”.

Filemone e Bauci rimasero un po’ interdetti e si misero a confabulare tra di loro, sotto lo sguardo tollerante di Hermes e Zeus; con le persone anziane, si sa, ci vuole pazienza.

I due sposi si scambiarono uno sguardo d’intesa e, come ci riferisce Ovidio nelle ‘Metamorfosi’, formularono il loro desiderio:

Chiediamo d’essere sacerdoti
e di custodire il vostro tempio;
e poiché in dolce armonia
abbiamo trascorso i nostri anni,
vorremmo andarcene nello stesso istante,
ch’io mai non veda la tomba di mia moglie
e mai lei debba seppellirmi.

OVIDIO, Metamorfosi, Libro VIII, vv. 707-710
(liberamente tratto dalla traduzione in prosa di N. SCIVOLETTO)

Il desiderio di Filemone e Bauci venne esaudito da Zeus: i due vecchi, infatti, furono i custodi di quello splendido tempio per tutto il resto della loro vita.

Ma un giorno avvenne un altro straordinario prodigio; mentre, sfiniti dallo scorrere degli anni, i due vecchi stavano davanti alla sacra gradinata del tempio, narrando la storia del luogo ai pellegrini, Bauci vide Filemone coprirsi di fronde e crescere di statura; e la stessa cosa stava succedendo a lei.
I due sposi capirono che stava succedendo qualcosa di misterioso, ma continuarono a parlare tra di loro sussurrandosi parole d’amore. Infine, dissero assieme: “Addio, amore mio”, pochi istanti prima di perdere del tutto la voce; un ultimo bacio suggellò le loro bocche.

Bauci si mutò in un tiglio, e Filemone in una quercia; le fronde e i rami dei due alberi erano intrecciati tra di loro in un ultimo ed eterno abbraccio; erano diventati due alberi sacri a Zeus, destinati a stare ancora insieme per i secoli a venire e a fare ombra ai viandanti accaldati.

Ai piedi dei due alberi vi era ancora l’anfora che Bauci aveva utilizzato per dissetare Hermes e Zeus, tanti anni prima; essa aveva ancora il miracoloso potere di riempirsi da sola senza svuotarsi mai.
Tutti i pellegrini dall’animo semplice e gentile che assaggiavano quel latte lo trovavano il liquido più fresco e zuccherino che avessero mai assaggiato. Le persone dall’animo gretto e malvagio, invece, percepivano solo un sapore rancido ed amaro non possedendo il dono di gustare il bello della vita.

Le fonti, tuttavia, non sono concordi nel definire il luogo esatto in cui Zeus venne al mondo: alcuni (ESIODO) ritengono che il parto avvenne a Litto, mentre altri identificano il sito nel complesso montuoso del Ditte (APOLLODORO, VIRGILIO) o dell’Ida (OVIDIO, APOLLONIO RODIO).

I Cureti erano un gruppo di seguaci della dea Rea.

Va evidenziato, tuttavia, che ESIODO nella sua Teogonia non menziona la ribellione dei Giganti, che qui viene riportata per dovere di cronaca; si osserva, inoltre, che questa battaglia – che, secondo il mito sarebbe avvenuta poco dopo la conquista del potere da parte di Zeus – vede la partecipazione di Eracle, che nella cronologia mitica sarebbe vissuto in epoca successiva (poco prima della guerra di Troia); la cronologia interna del mito, in questo caso, presenta qualche “sbavatura”.

Divinità dall’aspetto caprino, spesso identificata con il dio Pan. Secondo alcuni, era figlio della capra Amaltea e avrebbe aiutato Zeus anche durante la Titanomachia, suscitando il “timor panico” tra i nemici del figlio di Crono.

Le ninfe (dal greco νύμφη, nýmphe, “fanciulla”) erano divinità minori, rappresentate generalmente come attraenti fanciulle; erano considerate figlie di Zeus, di Urano ovvero di altre divinità maggiori.
A seconda dell’ambiente naturale in cui vivevano, si distinguevano vari tipi di ninfe:
– le Epigee (ninfe terrestri), come le Oreadi delle montagne e le Driadi (o Amadriadi), che vivevano all’interno di in una pianta;
– le Idriadi (ninfe acquatiche), come le Oceanine delle acque correnti, sorelle dei fiumi, le Nereidi del mare, figlie dell’oceanina Doride o le Naiadi delle sorgenti;
– le Ninfe celesti, come le Pleiadi, le Iadi e le Eliadi..

In realtà, il solo Polluce era figlio di Zeus mentre Castore era figlio di Leda e del re di Sparta, Tindaro.

Senza avere ovviamente la pretesa di riuscire ad elencare tutti i figli di Zeus, si ritiene comunque doveroso citare alcuni tra i discendenti del padre di tutti gli dei, non menzionati nella sia pur nutrita lista predisposta da IGINO. Si attribuiva a Zeus la paternità dio fluviale Asopo, di Orione e del gigante Tizio, che altri ritenevano essere invece figlio di Gea. Alcune tradizioni riferiscono che il figlio di Crono sarebbe stato anche il genitore di Eris, la dea della discordia, di Ate, la dea dell’errore, di Ecate “trivia”, del dio Pan e di Tyche, la dea della fortuna. Egli fu anche il padre di Tebe (che diede il suo nome alla città più importante della Beozia), di Endimione, di Britomarte, di Sarpedonte, re dei Lici ed alleato dei Teucri nella guerra di Troia; e della bella Elena, figlia di Leda.

Alcuni però dicono che Elena fosse figlia di Zeus e Nemesi. Un giorno Nemesi, per fuggire alla violenza di Zeus, si tramutò in oca; allora Zeus si tramutò in cigno e si unì a lei. La dea depose un uovo, che un pastore trovò fra i cespugli e poi ne fece dono a Leda; quest’ultima lo conservò in una cassa e al tempo debito dall’uovo nacque Elena, che Leda allevò come figlia sua.

OVIDIO, nelle sue Metamorfosi (Libro XI, vv. 410-748) riferisce una versione più poetica delle vicende dei due sposi. Secondo il poeta latino, Ceice doveva consultare un oracolo e si preparò quindi ad un viaggio per mare, nonostante la moglie lo scongiurasse di non partire per via di un tragico presentimento che aveva avuto. Il re di Tessaglia si imbarcò comunque, ma la nave fece naufragio e Ceice annegò. Nel frattempo, Alcione pregava di continuo la dea Hera affinché preservasse la salute del marito; la dea, commossa per tale dimostrazione d’affetto ma impotente a porre rimedio all’avvenuta morte del sovrano, decise di inviare in sogno ad Alcione l’immagine del marito, perché potesse raccontarle della sua misera sorte. La mattina dopo, la marea riportò a riva il corpo esanime di Ceice: Alcione accorse ad abbracciare e a baciare il cadavere del defunto marito. Per grazia degli dei, impietositi da un amore tanto profondo, entrambi gli sposi vennero trasformati in uccelli.

10  Il concilio di Micene aveva deciso di attribuire la corona al possessore di un agnello dal vello d’aro; Tieste riuscì a sedurre Erope, moglie di Atreo, per trafugare la pelle dell’animale sacrificato. Zeus, indignato per un inganno così turpe, intervenne nel conclave rivelando sia il furto del vello che le infedeltà della moglie del maggiore dei Pelopidi. Il trono andò quindi al primogenito, mentre Tieste veniva condannato all’esilio.

11  Un esempio di rituale dedicato alla dea Cibele viene descritto nel carme LXVIII di Catullo.

Fonti:

https://www.theoi.com/Olympios/Zeus.html
o Homer, The Iliad – Greek Epic C9th-8th BC
o Homer, The Odyssey – Greek Epic C9th-8th BC
o Hesiod, Theogony – Greek Epic C8th-7th BC
o Hesiod, Catalogues of Women – Greek Epic C8th-7th BC
o Hesiod, Great Eoiae – Greek Epic C8th-7th BC
o Pindar, Odes – Greek Lyric C5th BC
o Plato, Republic – Greek Philosophy C4th B.C.
o Apollodorus, The Library – Greek Mythography C2nd BC
o Quintus Smyrnaeus, Fall of Troy – Greek Epic C4th AD
o Strabo, Geography – Greek Geography C1st BC – C1st AD
o Herodotus, Histories – Greek History C5th BC
o Pausanias, Guide to Greece – Greek Geography C2nd AD
o Diodorus Siculus, The Library of History – Greek History C1st BC
o Ptolemy Hephaestion, New History – Greek Scholar C1st-2nd AD
o Antoninus Liberalis, Metamorphoses – Greek Mythography C2nd AD
o Hyginus, Fabulae – Latin Mythography C2nd AD
o Hyginus, Astronomica – Latin Mythography C2nd AD
o Virgil, Aeneid – Latin Epic C1st BC
o Ovid, Metamorphoses – Latin Epic C1st BC – C1st AD
o Ovid, Fasti – Latin Epic C1st BC – C1st AD
o Cicero, De Natura Deorum – Latin Philosophy C1st BC
o Nonnos, Dionysiaca – Greek Epic C5th AD
o Photius, Myriobiblon – Byzantine Greek Scholar C9th AD
o Suidas – Byzantine Lexicographer C10th AD