
LE STREGHE DI VENEGONO
di Gabriele Luzzini
Nel corso dei secoli, la memoria di molte presunte streghe è svanita, inghiottita dall’indifferenza della Storia per le persone comuni. Donne perseguitate per il solo fatto di pensare e agire in modo diverso, vittime di superstizioni alimentate da una fede troppo spesso cieca e spietata.
In alcuni casi, come la celeberrima Triora di cui ho già avuto modo di parlare in precedenza, qualche informazione è sopravvissuta, così da restituire loro nomi e dignità affinché il ricordo non rimanesse sepolto sotto le ceneri di un rogo.
Venegono, una piccola cittadina ora in provincia di Varese, nel 1520 fu il tetro palcoscenico di una vera e propria caccia alle streghe che si risolse con un terrificante rogo nella pubblica piazza.
È opportuno circoscrivere il periodo storico per comprendere meglio il clima dell’epoca. Infatti, pur essendo Alto Rinascimento, il 1520 vide la scomunica di Martin Lutero col conseguente inizio della Riforma Protestante. Non esisteva ancora l’Inquisizione romana (istituita nel 1542 da papa Paolo III), ma erano molto attivi tribunali locali gestiti da ordini religiosi come i Domenicani che si prodigavano per soffocare rigurgiti pagani.
Come noto, l’Inquisizione si occupava principalmente di eresia, ma anche di stregoneria, magia e comportamenti ritenuti devianti.
Il 20 marzo 1520, cinque donne vennero condotte al castello di Venegono, al cospetto dell’inquisitore Battista da Pavia e del castellano, il conte Fioramonte Castiglioni.
Le accuse erano vaghe, come spesso accadeva. Del resto, non era necessario essere dettagliati poiché, sotto tortura, molti si autoaccusavano e coinvolgevano altri innocenti pur di porre fine ai tormenti, fornendo dettagli inventati di cerimonie blasfeme. Le confessioni, estorte tra supplizi e ambigue promesse di perdono, venivano diligentemente trascritte.
Le cinque sfortunate si chiamavano Margherita Fornasari, Caterina Fornasari (sua figlia), Tognina Del Cilla, Maddalena Ravizzina ed Elisabetta Oleari.
L’inquisitore iniziò a interrogarle singolarmente, col chiaro intento di spezzare la loro volontà alternando torture, isolamento e prospettive di assoluzione.
Inizialmente, l’attenzione si orientò su Margherita Fornasari, la più anziana, per poi distribuirsi anche sulle altre.
Nel corso dei giorni, Maddalena, Tognina e Caterina stremate dalle sevizie, cominciarono a confessare atti immondi contro Dio e la Chiesa. Elisabetta, al contrario, continuava a dichiararsi innocente ma ciò che sostenevano le altre tre la spingeva inevitabilmente verso la colpa più grande e cioè di essere lei stessa la guida della congrega, insieme a Margherita. Le torture si fecero sempre più efferate e infine Margherita, fisicamente più fragile per l’età, spirò nelle segrete del castello.
Le donne raccontavano di trovarsi nelle ore antelucane nei boschi che si estendevano senza limite apparente attorno a Venegono per compiere atti innominabili sotto l’influenza di un demonio chiamato Martino che si presentava con le sembianze di un uomo affascinante vestito di nero. Dichiararono di giacere con lui, vivendo nel peccato, esercitando la magia anche con fatture mortali e rinnegando Dio.
Le descrizioni erano molto simili ad altri atti processuali, come ad esempio, bastoni, rami e scope resi incantati da particolari unguenti che permettevano loro di spostarsi con rapidità.
Una piccola digressione… tali balsami erano realizzati con piante quali mandragola (o mandragora), belladonna e datura dalle note proprietà allucinogene e tossiche, contenendo alcaloidi molto potenti come la scopolamina, l’atropina e la Iosciamina. Pertanto, causavano allucinazioni visive e uditive, stati di trance e dissociazione, tachicardia e iperventilazione, così da dare la sensazione di volare come effetto psicotropo. Per produrre tali effetti, questi composti venivano assorbiti attraverso la pelle o le mucose. Ovviamente, dosi elevate sono letali.
Tornando alle streghe di Venegono, nel corso delle confessioni che il solerte Battista da Pavia riuscì ad estorcere, le donne sostennero di entrare nelle stalle e far ammalare il bestiame semplicemente toccandolo, oltre ad essere in grado di attraversare portoni chiusi. E quindi perché non fuggivano dalle prigioni del castello? Il diavolo non era sufficientemente potente rispetto alla fede dell’ecclesiastico?
Con l’intensificarsi delle torture che si alternavano a promesse di perdono una volta debellata la piaga demoniaca, furono citati altri adepti quali Badono, il fratello minore di Caterina Fornasari, ma soprattutto Majnetta Codera e Giovannina Vanoni le quali furono incarcerate e subirono lo stesso trattamento delle altre quattro ancora vive, poiché Margherita era ormai deceduta.
Emersero ulteriori dettagli, tra cui un incantesimo di morte per volere del diavolo che colpì alcuni bambini della zona, tra cui il figlio del potente Conte Fioramonte Castiglioni.
L’uomo, che non riusciva a darsi pace per la dipartita dell’erede, ordinò di inasprire i supplizi per ottenere tutte le informazioni al riguardo.
Arrivò giugno e dopo tre mesi furono finalizzati tutti gli atti che riguardavano il processo. Inoltre, dietro nomina della Curia di Milano, frate Michele D’Aragona sostituì Battista da Pavia, per emettere il giudizio finale che, come era immaginabile, non avrebbe dato scampo alle sei streghe sopravvissute fino a quel momento.
L’8 giugno 1520 le imputate furono portate nella pubblica piazza di Venegono, davanti alla chiesa di Santa Maria per la sentenza definitiva che le condannava al rogo.
Trascinate sulla piccola collina al centro del paese, nota come Monte Rosso, furono legate alle cataste di legno ammassate in precedenza e, dopo aver posto lì sopra quel che rimaneva del corpo dell’anziana Margherita, fu appiccato il rogo che le divorò in pochi minuti.
Badono Fornasari fu esiliato, essendo un consanguineo delle streghe che avevano condotto Venegono nelle spire diaboliche.
La storia delle streghe di Venegono è emersa grazie all’encomiabile lavoro di ricerca di Anna Marcaccioli Castiglioni che ha ritrovato i testi integrali del Processus strigiarum tenutosi a quei tempi.
Per commemorare le vittime delle atrocità del XVI secolo e fare in modo che il loro ricordo non vada perduto, la cittadina propone un sentiero escursionistico ad anello nei boschi che circondano il paese chiamato ‘il sentiero delle streghe’. Una guida audio racconta la storia delle sette donne, i patimenti, il processo-farsa. Un modo per restituire loro la voce, e per ricordare che la vera stregoneria, spesso, era la paura.
Avventurandosi lungo il percorso che si snoda tra la vegetazione di Venegono, la quiete viene rotta solo dai fruscii del sottobosco e dal canto sommesso degli uccelli. La fitta boscaglia e i giochi di luce filtrati dai rami intrecciati degli alberi secolari creano un’atmosfera sospesa, quasi irreale.
In due punti distinti del sentiero, un rilevatore di campi elettromagnetici K-II ha improvvisamente raggiunto il massimo livello, illuminando tutti i LED fino al rosso, raggiungendo i 20 milligauss (mG). Nessun cavo della rete elettrica interrato nelle vicinanze, nessun dispositivo attivo che potesse giustificare l’anomalia (lo smartphone era schermato e lungo tutto il sentiero il LED illuminato è sempre stato verde). Solo silenzio, alberi e memoria.
Potrebbero trattarsi di semplici interferenze ambientali oppure di persistenze energetiche, come se il luogo stesso avesse trattenuto l’eco di ciò che accadde secoli fa. Un’energia residua, forse, o un tacito monito.
Ci sono attimi in cui il bosco sembra trattenere il respiro. E chi ascolta con attenzione, sostiene di percepire qualcosa: un sussurro tra le foglie, un’ombra che sfugge allo sguardo, un brivido che non ha nulla a che vedere con il vento.