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Quando Faith aprì la porta, quella mattina, la neve già ricopriva la piana di Introd.
«Benvenuto, gelo spettrale» disse, per poi stupirsi delle sue parole. Non era mai stata superstiziosa, né incline a pensieri nefasti, eppure nemmeno la bellezza del paesaggio innevato oggi riusciva a sollevarle l’umore.
Il freddo di gennaio le sferzò il viso, l’unica parte del corpo esposta, corroborandone il risveglio.
Si girò verso il davanzale.
Le briciole di pane che aveva distribuito la mattina precedente erano scomparse, così la ragazza rifornì la scorta di cibo per i suoi piccoli amici.
«Dai Faith o faremo tardi.»
Il rumore di una Jeep che parcheggiava e la voce di Leon la spronarono a sbrigarsi. I moon booth affondavano nella neve soffice, lasciandole i piedi felicemente al caldo. Il pantaneve color ghiaccio e la giacca a vento invernale coordinata la difendevano efficacemente contro il freddo mentre raggiungeva l’auto del suo collega. Era una lezione che Faith aveva imparato il primo inverno trascorso a Introd: mai sottovalutare il tempo in montagna! Un cappellino di lana a pon pon, color ruggine, le ricopriva il capo, unica nota di colore del suo abbigliamento e faceva a pugni con i capelli ramati da cui sfuggivano i lunghi boccoli, appoggiati alle spalle.
«Grazie del passaggio» disse Faith, richiudendo la portiera del 4×4.
Leon si limitò a sorriderle per poi ingranare la marcia e dirigersi verso il Parc Animalier, il luogo di lavoro di entrambi.
«L’hai sentita anche stanotte?»
I due si occupavano degli animali del parco nella stagione di chiusura. Si conoscevano da un anno, da quando Faith aveva superato il colloquio formativo ed era stata assunta come veterinaria per affiancare Leon.
«Sì.»
«E siamo a due sere consecutive. Forse dovresti trasferirti da me.»
«Il verso di un uccello non mi provoca nessun timore, Leon.»
«Devi ammettere, però, che è strano. Non è stagione per gli strigidi.»
«Hai intenzione di passare la giornata a spaventarmi?»
Il ragazzo sorrise, limitandosi ad aprirle la porta d’ingresso per poi dirigersi alle gabbie.
«Oggi penso io ai pennuti» disse soltanto, salutandola con la mano senza girarsi a guardarla.
Faith fissò la porta richiudersi dietro di lui e si decise a chiamare sua sorella.
«La notte è una coltre capace di assopirci o risvegliare ricordi atavici. Dipende dal modo in cui le prestiamo orecchio.»
«Monia, ti ho chiamato per rassicurarmi, non per farmi terrorizzare dalle tue stramberie.»
«La nonna diceva che se la civetta canta di notte sulla tua finestra è presagio di sventura.»
«Non sono sicura che sia una civetta.»
«Bene, di cosa sei sicura, allora?»
«Sono quasi certa che questo uccello si fermi di notte sul davanzale della mia finestra e verseggi fino all’alba.»
«Metti ancora le briciole sul davanzale?»
«Certo, è inverno.»
«Ti sei risposta da sola.»
Sospirando, Faith proseguì.
«Le briciole sono sul davanzale della cucina che dista almeno tre metri dalla camera da letto, muri esclusi. Le rifornisco di mattina e la sera sono già state spazzate via dagli uccellini che difficilmente resisterebbero a un inverno valdostano.»
«Magari ha fame.»
«La civetta, come il gufo e l’allocco, si nutre di topi, ghiri, rettili, insetti e uccelli. Non ha bisogno delle mie briciole, sorella!»
«… né di farti compagnia la notte. Ed è per questo che ne sei spaventata.»
«Adesso hai capito perché ti chiamo di rado?»
«Ah ah ah… spiritosa. D’accordo, ne parlerò con Guglielmo e ci sentiamo stasera. Nel frattempo,
dormi altrove!»
«Che cosa?»
«Dico solo che se non sei certa che sia il verso di un animale, potrebbe anche trattarsi di un richiamo per uccelli. Il che significa che potresti avere un ammiratore segreto che si diverte a spaventarti la notte.»
«Tu e le tue paranoie non fate altro che soffocarmi.»
«Il cottage che hai affittato è troppo distante dalla città, te l’ho già detto.»
«Leggi troppi horror: è questo il tuo problema!»
«Sarà anche vero Faith, ma fammi contenta. Dormi da Leon!»
Sospirando, Faith pose fine alla telefonata e cominciò a smaltire la posta che affollava la sua scrivania.
Non socializzava facilmente. Il suo lato raziocinante la spingeva sempre a isolarsi piuttosto che fidarsi di semplici conoscenti, ma Leon era sempre stato irreprensibile con lei. Perciò era la scelta più ovvia.
Due ore dopo, Faith raggiunse il collega al recinto dei cervi.
«Mi ospiti per la notte?»
«Certo, ne vuoi parlare?»
«No, ne ho già discusso con mia sorella che ne parlerà a mio cognato. Mi sembra già troppo per i miei standard.»
Annuendo, il ragazzo riprese ad accudire gli animali, preferendo lasciarla da sola a macerare il silenzio.
«Guardiamo i fatti» le disse Leon, dopo aver terminato la luculliana cena d’asporto che aveva ordinato in onore della sua ospite.
La ragazza si limitò ad annuire, sorseggiando l’Amarone che le era rimasto nel bicchiere.
«Potrebbe essere un esemplare sfuggito a qualche privato.»
Faith lo guardò e, per la prima volta durante l’estenuante giornata appena trascorsa, gli sorrise. In effetti, si era lasciata suggestionare subito dai ricordi d’infanzia senza pensare al lato più ovvio della faccenda.
«Buona idea. Domani controllerò le denunce. A proposito, grazie di avermi ospitato con così poco preavviso.»
«Figurati.»
«Che cosa ha detto Paola?»
Leon si limitò ad alzare le spalle.
«Non stiamo più insieme.»
Faith sgranò gli occhi azzurro cielo di primavera senza profferire parola. Leon accese lo stereo e una musica d’atmosfera invase la stanza. Lo vide chiudere gli occhi e rilassarsi sulla poltrona senza degnarla di uno sguardo e il gesto l’aiutò a tranquillizzarsi. Leon le piaceva perché la capiva. Fin dal primo giorno l’intesa lavorativa era stata formidabile. Amava la solitudine, ma con Leon non sembrava doverci rinunciare. Il senso di colpa per non aver intuito i problemi familiari del collega si attenuò fino a scomparire, lasciandola leggera.
Il crepitio del camino diffondeva l’odore di legna e il tepore del focolare la fece stare bene fino al mattino seguente.
Nelle tre sere successive si ripeté il rituale. Monia non l’aveva più richiamata ma, inspiegabilmente, non sentiva il bisogno di lasciare lo chalet dell’amico per il suo cottage. Le comodità della cittadina valdostana e l’allegria che si respirava in casa avevano rallegrato anche l’umore di Faith che ormai preparava anche la cena senza più imbarazzo.
Lo squillo del cellulare la sorprese a cucinare.
«Ehi, sorellina, come te la passi?»
«Hai ripreso a bere?»
«Non ho mai smesso, se è per questo.»
«Stavo aspettando tue notizie, te lo ricordi?»
«E da quando fai quello che ti dico?»
«E’ fantastico avere una sorella!»
Ignorando il sarcasmo di Faith, Monia proseguì «Ho parlato con Guglielmo e puoi stare tranquilla, si tratta solo di superstizione.»
«Anch’io ho novità. Leon mi ha aiutato a catturarla.»
«La civetta?»
«Sì. In realtà si trattava dell’allocco femmina di un residente. Si era smarrita durante una gita nel bosco e il padrone non è riuscito subito a recuperarla.»
«E perché cercava te?»
«Non voleva me. Cercava semplicemente di rientrare in casa.»
«Come l’avete catturata?»
«E’ bastato rintracciare il proprietario e invitarlo a passare la notte con noi al cottage. Le abbiamo lasciato la finestra aperta e l’allocco è volato subito nella gabbia.»
«Tutto bene, quindi. Anzi, direi benissimo visto che sei ancora da Leon.»
«Beh, sorellona, adesso non farti film rosa. Leon abita a pochi metri dal parco. Possiamo andarci a piedi.»
«Solo per questo?»
«Qui continua a nevicare. Se fossi al cottage sarei isolata.»
«Non hai risposto alla domanda.»
«Diciamo che nonna mi ha dato una mano a superare la superficialità del mio carattere nell’ambito relazionale.»
«Ne sono contenta. Per anni ha continuato a ripetercelo, te lo ricordi?»
«Eccome, mi ha attivato più di un mantra. Non appena ho percepito il suo verso nel dormiveglia ho subito pensato alla civetta e ai racconti che nonna ci propinava da piccole.»
«Comunque, io lo sapevo già.»
«Che non si trattava di una civetta?»
«Ma no, stupida. Che vuoi che ne sappia io di animali? Parlavo di Leon.»
«Sapevi che non stava più con Paola? Sei chiaroveggente, ora?»
«Faith, il tuo dannato raziocinio finirà per uccidermi. Sapevo che Leon ti piaceva.»
«Non lo conosci nemmeno.»
«Conosco te. E tu mi hai parlato di lui.»
«Ok, finiamola qui» ancora ridendo, Faith interruppe la telefonata e rivolse lo sguardo verso la finestra. L’immagine sorridente della nonna si materializzò in cucina per poi affievolirsi nella luce del tramonto.
Scuotendo la testa, Faith le sorrise a sua volta.
I ricordi viaggiano con noi, parlandoci senza emettere suoni e non c’è modo di fermarli. L’intangibile è reale almeno quanto il concreto, solo che è più difficile accorgersi di quanto ci influenzi, avrebbe detto Monia se fosse stata presente. E, per la prima volta, Faith le diede ragione.
