La via di casa

La via di casa

E’ una notte senza luna.
La strada, illuminata solo dai lampioni, procede serpeggiando a fianco della collina. Mentre la percorro, non vedo niente oltre i fari della Mustang, ma so che sto tornando a casa.
Sono anni che manco. Anni fatti di lacrime di mamma che ogni maledetto Natale mi supplicava di tornare a casa, almeno per le feste, ma io non cedevo. Non avevo mai tempo. Anteponevo la carriera di dirigente alla famiglia finché quest’anno ne ho avuto fin troppo, grazie agli esuberi di personale. E ancora mi brucia.
Fra poco le luci e il mitico vialetto di sassi bianchi della mia infanzia appariranno in tutto il loro splendore. Forse quest’anno mi farò perdonare.
Il tempo scorre rapido nelle mie vene e intanto piove. Piccole gocce si spargono sul parabrezza, spazzate via dal suono secco dei tergicristalli.
Swishhh, swishhh, swishhh.
Lo scoppiettio del motore mi coglie impreparato.
Due colpi di tosse e poi il silenzio. Faccio solo in tempo a parcheggiare in uno spazio di fortuna e l’auto si ferma.
Guardo il cruscotto.
– Non è possibile – borbotto.
La benzina è finita perché ho percorso duecento chilometri quando ne dovevo fare solo quaranta per raggiungere la mia famiglia.
Scendo dalla macchina, cercando di orientarmi nel buio e penso mentalmente alla strada percorsa.
Conosco a memoria i luoghi della mia infanzia eppure sono qui, ancora da solo.
Nel buio qualcosa si muove.
Un rumore spezza il silenzio.
La sagoma, dapprima indistinta, prende forma e corre verso di me.
L’ansia mi attanaglia.
L’orrenda bestia ha uno sguardo giallo e famelico che mi punta.
Corro. Non so verso dove, ma corro nella direzione opposta.
Il fiato già manca, i battiti accelerano, le gambe cedono.
Non resisterò ancora molto, ma non riesco a voltarmi.
La paura aleggia su di me, la sento crescere a divorarmi i pensieri.
Le grida della creatura immonda si fanno sempre più vicine.
– Aiuto!
Le lacrime scorrono sul volto. Non posso più frenare il mare di emozioni che m’invade.
– Aiuto!
Non voglio morire qui, non voglio morire adesso. Anche se l’ho detto molte volte in questi giorni, non ci credevo davvero!
Le gambe cedono e finisco riverso a terra.
Sento le urla cessare e una pressione sul corpo mi costringe a proteggermi il capo.
Odio sentirmi indifeso. Lo ero da bambino e ho speso i miei giorni da adulto, lottando per non soccombere più.
Non posso nascondermi ancora. Non devo evitare il confronto.
Libero le braccia, portandole a terra.
Devo girarmi. Devo guardare in faccia la morte.
Un colpo di reni e sono supino.
La sagoma è ancora sopra di me. Ne avverto l’alito fetido e gelido, paralizzarmi lo sguardo.
Non vedo flash, niente dei miei ricordi, solo il freddo spasmo che mi contrae le viscere.
Voglio parlare, muovo la bocca, ma non riconosco il suono disarticolato che ne fuoriesce.
La bestia mi afferra le braccia. Gli artigli lacerano la pelle mentre provo dolore e sanguino.
Vedo rosso. Tanto rosso. Sulla terra intorno a me e dentro gli occhi della bestia, ora intravedo il rosso che si propaga, sostituendosi al giallo di prima. Poi l’improvviso irrompe.
I contorni si fanno sfumati e la creatura perde forma. Muta sopra di me, la vedo sciogliersi, ricomporsi e la paura scompare.
La riconosco, adesso.
– Mamma – grido, abbracciandola.
Il freddo pungente si stringe intorno a noi, aiutato dal vento che sferza i nostri volti.
– Mamma, sto impazzendo?
– No, bambino mio – dice, abbracciandomi.
E’ sempre lei. La mamma, serena e bellissima.
Sono a casa?
– Non ancora, ma è vicina. Tra poco la vedrai.
Ora non sento più le braccia e cedo al gelo. Non vedo più niente intorno a me, nemmeno mia madre.
– Fabio. Oddio…aiuto… datemi una mano.
Adesso sento la voce di Tommaso, mio fratello, che grida in lontananza.
Altre urla mi riscuotono dal torpore. Apro gli occhi, l’alba sta sorgendo e il calore del corpo di mio fratello riattiva anche i miei sensi.
Tocco il terreno sotto di me e riconosco i gradini della casa.
– Ma cosa diavolo.. – dico, incredulo mentre mi lascio trascinare dentro.
Finalmente al caldo ed è ancora Natale.
Sorrido. Sono mesi ormai che non sorridevo più, ma oggi sorrido.
Guardo intorno a me. Padre, sorella, nipoti, tutti mi guardano, piangendo.
– Ok, ragazzi, adesso basta. Ho solo bisogno di qualcosa di caldo. E’ ancora Natale, giusto? – biascico, infreddolito.
– Sì, a te è andata bene – mormora Tommaso – ma la mamma…
– Non finisce la frase, asciugandosi gli occhi con la mano.
– La mamma?
– Dicono sia stato un ictus. Eravamo già tutti qui e non ci siamo accorti di niente.
Scuoto la testa, ancora in trance.
– La mamma? Non può essere!
– E’ successo stanotte – interviene Sonia, mia sorella.
– Nel sonno – rincara papà, singhiozzando – non ho potuto nemmeno salutarla.
Io sì. Lo penso e sto per dirlo, ma qualcosa mi trattiene mentre ricordo l’incubo.
Non sarebbe di conforto agli altri. Io, l’unico scellerato della famiglia, solo io ho potuto stringerla un’ultima volta prima del lungo viaggio. No. Non devo dire niente. Non è giusto.
– Portatemi da lei – dico soltanto.