Il mistero di Fiumelatte

Fiumelatte

 È il Fiumelaccio, il quale cade da alto più che braccia 100

dalla vena donde nasce, a piombo sul lago, con inistimabile strepitio e romore. »

(Leonardo da Vinci, Codice Atlantico, folio 214)

Ci sono luoghi dove la natura e l’uomo vivono in armonia ormai da secoli. Uno di questi è Fiumelatte, un grazioso Borgo in provincia di Lecco.

Si raggiunge percorrendo in auto prima la Statale 36 e poi la Statale 72 che da Lecco porta a Colico oppure utilizzando il treno con la linea F.S. Milano – Sondrio. Poco prima di arrivare a Varenna, sorge Fiumelatte, un gruppo di case incastonate sulle rocce occidentali della Grigna.

Fiumelatte è anche il nome del fiume intermittente che lo bagna ed è quest’ultimo particolare a rendere davvero speciale la visita.

Seguendo a ritroso il letto del fiume, si può vivere un’esperienza indimenticabile.

È interessante anche notare l’attenzione che gli abitanti del Borgo prestano al fiume e ai turisti che lo visitano.

A me è successo. Ho incontrato un valligiano che si è offerto di accompagnarmi gratuitamente alla sorgente.

Una camminata di quindici minuti permette la salita dal lago alla sorgente. Per farlo, è consigliabile munirsi di scarpe da ginnastica o da trekking.

Arrivati alla fonte, una fontana e un’ampia area pic nic sono a disposizione gratuita dei viandanti che possono riposarsi e rifocillarsi, godendo dell’incontaminata bellezza del paesaggio.

La straordinaria limpidezza dell’acqua, visibile fin dalla sorgente, muta in bianco latte non appena acquista velocità scivolando sulle rocce a strapiombo, per poi immettersi nel lago di Como. E da qui il suo nome.

Ogni anno, il fiume di origine carsica tra i più brevi d’Italia compare a fine marzo per poi scomparire i primi di ottobre.

Fiumelatte è chiamato anche il fiume delle due Madonne perché, di solito, inizia il corso proprio il venticinque marzo, giorno dell’Annunciazione della Madonna, e termina con la festa del Rosario, il sette ottobre, scandendo anche la vita religiosa del Paese.

La sua natura misteriosa è terreno fertile di leggende. La più famosa si perde nella notte dei tempi e narra di una splendida fanciulla chiesta in sposa da tre compaesani. Indecisa su chi scegliere, pensò di affidarsi al destino, sposando chi fra i tre le avrebbe rivelato l’origine del Fiumelatte, da lei tanto amato. I tre ragazzi, sebbene impauriti, entrarono nell’antro del fiume, rimanendovi per mesi.

Tornarono in superficie già anziani. Il loro aspetto era radicalmente mutato senza apparente correlazione con il tempo trascorso al buio delle caverne.

Due raccontarono di meravigliose vallate, fiumi di latte dolcissimo e splendide fanciulle che li avevano intrattenuti mentre il terzo rimase muto, rifiutandosi di commentare.

O forse non ebbe il tempo di superare lo shock per ciò che gli era accaduto perché, nei tre giorni successivi al loro ritorno, i tre giovani morirono di vecchiaia.

La splendida fanciulla, rea di averli coinvolti in quell’impresa sciagurata, rimase loro accanto fino all’esalazione dell’ultimo respiro per poi gettarsi nel Fiumelatte. Il suo corpo non fu mai ritrovato. Alcuni bisbigliano che nelle notti di luna piena, quando la luce si infrange violentemente sul fiume, si possa ancora vederla sorridere e danzare con le sue sorelle Naiaidi.

Dopo la tragedia, nessuno degli abitanti osò più sfidare il Fiumelatte, il cui mistero è ancora inviolato. Forse è per questo che Fiumelatte non ha mai causato danni al paese, diventando nel tempo un amico fidato dei suoi abitanti che si preoccupano se non ricompare ogni anno, rispettando le date.

Considerando le bizzarrie del clima che mai ci prepara al suo funesto rovinare al suolo, rimane l’ordinata e costante intermittenza di Fiumelatte a portare un’oasi di pace nel caos della nostra bella Italia.

 

 

Miti senza tramonto

Un pomeriggio assolato e l’urgenza di proteggermi dal sole mi spingono a pagare il biglietto per una mostra fotografica di cui so poco o nulla. Sono a Biella e a Palazzo Gromo Losa è in atto la mostra del fotografo Douglas Kirkland che ritrae Coco Chanel e Marilyn Monroe, due icone del Novecento famose nel mondo, decisamente fumose per la sottoscritta. L’ideale per perdere tempo senza farsi sopraffare dalla noia in attesa della cena, penso mentre pago il biglietto a prezzo intero. Le assistenti mi invitano a iniziare il percorso dall’ orto botanico che ospita coltivazioni di aromi per poi procedere verso il giardino in stile italiano, impreziosito di frasi famose appese, come cornici a cielo aperto. L’esperienza è sorprendente, più per l’allestimento delle frasi che per il verde esposto.

Foto dell’autrice – mostra Palazzo Gromo Losa 2021

Appena rientro nel Palazzo e incontro le foto tutto cambia. Le prime sale parlano di Coco Chanel.
Un’ icona di stile e di moda. Decisa, austera, sagace, una donna moderna sotto molteplici punti di vista. La sua determinazione traspare netta e non posso far altro che ammirarne la tenace bellezza.

Foto dell’autrice – mostra Palazzo Gromo Losa 2021
Foto dell’autrice – mostra Palazzo Gromo Losa 2021
Foto dell’autrice – mostra Palazzo Gromo Losa 2021

Nell’ultima sala, la filodiffusione trasmette un brano di Frank Sinatra. E’ di nuovo il 17 novembre 1961. Marilyn è all’apice del suo successo e sta posando per un giovane fotografo. Le foto sono destinate alla pubblicazione su “Look” in occasione del venticinquesimo anniversario della rivista. Marilyn chiede alla troupe di lasciare il set, permettendo così al giovane fotografo di esprimersi liberamente. Kirkland la riprende da una balconata sopra il letto, allestito per l’occasione con lenzuola di seta. Sul comodino, due calici e una bottiglia di Dom Pèrignon allietano i due durante le pause. Otto mesi dopo il servizio fotografico, Kirkland è a Parigi per fotografare Coco Chanel quando apprende la notizia della tragica morte di Norma Jeane Baker, alias Marilyn Monroe. La donna aveva solo trentasei anni, ma il suo mito è ancora intramontabile. Le foto parlano da sole, audaci, sensuali, accattivanti, attirano lo spettatore nella rete. E la magia è la stessa, oggi come sessant’anni fa, il fascino di Marilyn Monroe non lascia indifferente il pubblico. Ora lo posso confermare anch’io.
La mostra è disponibile fino al 12 settembre 2021.

Foto dell’autrice – mostra Palazzo Gromo Losa 2021
Foto dell’autrice – mostra Palazzo Gromo Losa 2021
Foto dell’autrice – mostra Palazzo Gromo Losa 2021

Il volto di Lovere

L’estate è il tempo ideale per scoprire nuove mete e l’acqua è da sempre un richiamo irresistibile per me. Che si tratti di mare o di lago poco importa. Quando ho bisogno di staccare la spina dal quotidiano, ricerco il panorama liquido che mi regalano entrambi. Così, in un soleggiato sabato di luglio, ho visitato Lovere, lo splendido borgo che si affaccia sul Lago d’Iseo, ignorando le grida horror della Casa che mi avrebbe voluto intenta alle pulizie di routine, come ogni maledetto week end.

La strada è delle migliori solo se amate la guida e, soprattutto, le code dopo l’uscita dall’autostrada A4. Detto questo, vale sicuramente la fatica del viaggio. Arrivando nelle prime ore del mattino, è possibile trovare anche parcheggi per auto gratuiti e, soprattutto, fruire del traghetto per “Monte Isola” (partenza dal molo di Lovere ore 9:25 – 13:20 e 15:50 – orari luglio 2021). Se invece amate poltrire, come la sottoscritta, potrete comunque gioire di parcheggi a pagamento a misura di turista. Non riuscirete a prendere il traghetto, già occupato dai solerti turisti che vi hanno preceduto, ma potrete vivere in religioso silenzio le caratteristiche viuzze del borgo antico, tuffandovi nella storia.

Le case pittoresche, il clima mite e la tranquillità del centro, si fondono perfettamente con la calma che ispira il lago. Lo spirito di un passato autentico si percepisce subito calpestando la pavimentazione a ciottoli per raggiungere la Torre Civica, situata nella spettacolare Piazza Vittorio Emanuele II. L’ingresso è gratuito e custodito da un guardiano che calmiera gli afflussi e fornisce anche la cartina della città, su richiesta. Alta ventotto metri, la Torre offre uno splendido panorama sul lago e sui tetti della cittadina. Salendo le scale, a ogni piano, è possibile leggere la storia della città, scandita dalle dodici Ore/Ere di Lovere. Sono delle targhe in materiale trasparente appese al muro della Torre che riassumono la storia della città a tappe di secoli, utilizzando una comunicazione, oserei dire, perfetta. A ogni passo in salita, l’impressione è quella di trovarsi nel periodo descritto. Arrivati in terrazza, si gode la spettacolare vista a trecentosessanta gradi sulla città.

La visita del borgo a piedi incanta l’occhio del turista, intrattenuto da vivaci negozi di vario tipo che possono soddisfare ogni richiesta. Da menzione sono i dolci “Baci di Lovere”, deliziosi frollini con farcitura di crema alla nocciola e i “Funghetti” di meringa e cioccolato della pasticceria “Wender”.

Per un pranzo delizioso ed economico, il “Bar Centrale” è quello che fa per tutti dove diverse tipologie di piatti, anche caldi, possono soddisfare qualsiasi palato, compreso il dolce. Il gelato del “Bar Centrale” è considerato un must dai residenti, posso confermare il fatto! E poi il lungolago incantevole permette di smaltire facilmente le calorie assunte con il pranzo.

Da non perdere anche la visita alla “Galleria dell’Accademia Tadini”. L’ingresso è a pagamento, ma merita la vista, a cominciare dalla splendida stele funeraria, raffigurante una donna piangente, realizzata dal Canova in memoria dell’amico, Faustino Tadini, prematuramente scomparso a venticinque anni. La stele è di una bellezza disarmante che mi ha commosso, letteralmente. La grande capacità del Canova di trasmettere le emozioni con le sue opere ogni volta mi riga il volto di lacrime.

Lovere è il volto romantico di una località adatta anche per una vacanza.

foto dell’autrice –  tutti i diritti riservati

Autunno a Crespi d’Adda

L’autunno a Crespi d’Adda è meravigliosamente cupo. La Dea dormiente anche qui si riveste di colori spettacolari, ma lascia una vena malinconica negli occhi dello spettatore che è difficile trovare altrove. L’attrazione principale del luogo consiste nella visita al villaggio operaio. Patrimonio dell’Unesco dal 1995, fu costruito dall’imprenditore Cristoforo Benigno Crespi nel 1878 e portato al massimo splendore dal figlio fino al 1930 per poi iniziare lenta ma graduale discesa, terminata nel 2003 con la chiusura definitiva del Cotonificio. E’ la testimonianza più importante e concreta del fenomeno dei villaggi operai nell’Europa meridionale, frutto dell’influenza dei paesi Nordici. La sua storia ricca di contraddizioni, non permette di affermare se il progetto fosse frutto d’illuminismo o imprenditoria paternalistica, resta il fatto che all’apice del suo splendore diede un futuro concreto a quattromila operai che abitavano la zona.

Parcheggiata l’auto a Trezzo d’Adda, in Via Antonio Gramsci il parcheggio è gratuito la domenica, il villaggio si raggiunge a piedi con una passeggiata di circa trenta minuti, costeggiando l’Adda. Parallelamente al fiume, scorre il Naviglio della Martesana che collega l’Adda a Milano. L’acqua scorre tranquilla nel canale. Nel passato, era il principale mezzo di comunicazione usato dalle persone per raggiungere la città. Oggi in disuso, ancora attrae l’attenzione del viandante che qui si ferma a leggere la poesia dedicata al Naviglio.

Oltrepassato il fiume grazie a un ponte di ferro, si raggiunge la sponda bergamasca e, dopo pochi minuti, anche il villaggio. L’accesso è a pagamento, anche se non ci sono controllori né sbarre che ne impediscano l’ingresso pedonale. Il silenzio quasi assordante mi convince che sia un Sito abbandonato, al pari del Cotonificio Crespi. Vedo una chiesa, esatta copia in miniatura della Chiesa di Santa Maria Novella a Busto Arsizio. A fianco, un edificio ospita il bar del dopo lavoro. Entrambi deserti. Invece mi sbaglio. Il villaggio è ancora vivo. Lo scopro dopo aver trascorso un’ora passeggiando fra le case. Ebbene sì, i discendenti degli operai del cotonificio Crespi o, perlomeno, alcuni di essi lo abitano ancora oggi. Intravedo una famiglia che sta accogliendo gli amici per il pranzo domenicale. Imbarazzati, tutti distolgono lo sguardo forse per paura che rivolga loro domande alle quali sarebbe troppo doloroso rispondere. Eppure continuano a viverci, trascorrono tempo e fatica a coltivare il giardino annesso. Mantengono inalterata la struttura di origine delle proprie case, rispettando i parametri imposti prima dalla Famiglia Crespi e oggi dal Comune e dall’Unesco. Difficile dire se con orgoglio o solo per tradizione. Lavorano altrove, ma ci ritornano ogni sera. Con la visita al cimitero, si conclude il giro panoramico. Il Mausoleo della Famiglia Crespi è costruito con ceppo d’Adda, il materiale locale abitualmente adoperato nel territorio e riconoscibile ovunque. Questo dovrebbe renderlo parte integrante del paesaggio, ma le dimensioni e la verticalità dell’opera gli permettono di torreggiare impunemente sugli incauti visitatori. All’ingresso, piccole lapidi ricordano i bambini della Comunità morti prematuramente; se ne contano a centinaia. L’atmosfera gotica che si respira lo rende un luogo spettrale. Trattengo il respiro. Riesco a varcarne la soglia solo per pochi passi e poi devo arretrare, vittima di un sortilegio che mi costringe a girare le spalle al luogo, ritornando sulla via principale ad ammirare la fila interminabile di cipressi che portano il viandante dal luogo di sepoltura all’ingresso del villaggio per terminare la visita. Nel mezzo, la Fabbrica, ormai abbandonata, saluta il visitatore lasciandomi di nuovo preda di un sottile disagio, la melanconia di un luogo amato e non ancora dimenticato.