L’ultima sigaretta

Accese l’ultima sigaretta, malconcia e con un piccolo strappo dal quale usciva il tabacco. Dopodiché, aspirò avidamente. Si compiacque del fatto che il pacchetto si trovasse ancora nei pantaloni insieme all’accendino. Era successo in un lampo, senza neanche il tempo di riflettere. Intanto, le endorfine gli stavano lentamente facendo passare l’indolenzimento.

C’era il problema delle vesti lacerate. Con la camicia di cotone che appariva come un incrostato sudario di fango e buona parte delle cuciture dei jeans saltate, avrebbe dovuto trovare il modo di tornare a casa. Senza dare troppo nell’occhio.

Le scarpe erano scomparse. Con sguardo attento le ritrovò, ormai inutilizzabili, a qualche metro di distanza. Le raccolse istintivamente. Non sarebbe stata una buona idea lasciarle lì. Respirava a fatica e non riusciva a mantenere l’abituale postura, ma non rinunciava alle boccate di fumo.
La brace stava divorando il piccolo cilindro bianco che reggeva tra le dita: un’intensa lacrima di luce nel blando chiarore che stava diffondendo l’aurora. Si guardava intorno, cullandosi nei particolari, come quella macchia di primule schiacciate. Tutto appariva così nitido…
La luna era sparita, inghiottita da provvidenziali nubi. Si osservò le mani. Un’unghia spezzata! Col tempo sarebbe ricresciuta. Non era nulla di irreparabile. Faceva fatica a muovere le dita ma era successo già altre volte.
La sera prima, passata col suo nuovo compagno Andrea, si era rivelata inaspettatamente piacevole. Si conoscevano da una decina di giorni ma l’alchimia generatasi era deliziosa. Almeno così diceva Andrea, con ostentate moine nelle quali troppo spesso induceva. La tendenza a relegarsi in evidenti stereotipi era un difetto insostenibile. Ma del resto sapeva che non sarebbe durata. Non era fatto per le relazioni lunghe. La sera, nel pub, era trascorsa rapidamente per poi continuare nel locale sulla costa. Non apprezzava la musica jazz e non comprendeva la sofisticata improvvisazione che si celava dietro ad alcuni pezzi. In compenso, il bull-shot si era rivelato strepitoso. E poi l’idea bizzarra di incamminarsi timidamente in quel prato, per meglio osservare il piatto lunare e vedere le stelle cadenti. E concedersi un po’. Che animo delicato… Era riuscito a raddrizzare le spalle. Il dolore stava passando. Tutto stava rientrando nella normalità.
La sigaretta era finita. Sospirò. Inutile rimandare. Avrebbe voluto dilatare all’infinito quell’istante ma non era possibile. Doveva sbrigarsi.
Guardò appena oltre il cespuglio dove qualche minuto prima si era risvegliato, rannicchiato ed infreddolito, e vide il cadavere divorato di Andrea. Le ossa fuoriuscivano impudicamente dalle braccia spolpate, innaturali ma col morboso fascino di un trattato di anatomia. Un brano di carne piuttosto ampio era stato strappato dal volto, lasciando fuoriuscire il ghigno del teschio. Una gamba, completamente disarticolata, giaceva sotto l’altra mentre le viscere erano diligentemente disposte accanto al corpo, quasi fosse la divinazione di un folle aruspice.
Guardò nuovamente quelle spoglie mortali e pensò ad Andrea che si svestiva dicendo: «Sono proprio contento! L’esame è risultato negativo e tu non sei malato…». Malato lo era. Eccome! Andrea non poteva immaginare. Nessun test di laboratorio lo avrebbe mai rilevato. Licantropia. Si era trasformato in una manciata di secondi. Nonostante tutto, l’urlo dello sventurato amante si era impresso in una parte della sua coscienza. Associò il gusto del tabacco che aveva ancora sulle labbra alle strazianti invocazioni d’aiuto. Si ripromise che avrebbe smesso di fumare.

 

Racconto tratto da: ‘Di corvi e di ombre’