Il mormorìo del mare

 

La marchesa uscì alle cinque. Quella mattina, Rose si sentiva pronta per affrontare la giornata.

Ancora non sapeva definire il sentimento che provava, ma era finalmente lucida e voleva ascoltare il mare.

Qualcuno le aveva sussurrato il consiglio durante una delle tante notti insonni, trascorse a ballare forsennatamente e a trangugiare margarita, il suo cocktail preferito.

«Hai mai ascoltato il mormorio del mare all’alba?» le aveva sussurrato l’affascinante Hugò dai tratti mediterranei, stringendola in un lento appassionato.

Rose de Cotillon aveva scosso i lunghi boccoli corvini. No, non lo aveva mai fatto. Anzi, lei evitava accuratamente il mare.

«Potremmo farlo insieme domani» le aveva risposto ancora Hugò.

La pelle diafana della giovane marchesa, quasi trasparente, non le garantiva un’esposizione gradevole al sole, ma la mattina di quel sabato di giugno, il tre per l’esattezza, il cielo plumbeo prometteva una giornata senza sole.

Rose scese i settantacinque gradoni di legno, incastonati nel folto bosco di lecci, e raggiunse la spiaggia della “Paolina”, di un fine color cipria.

La ragazza chiuse gli occhi, annusando il profumo del mare. Avvertiva il suono delle onde infrangersi sulla battigia, i gabbiani gracchiare in lontananza e un rumore di passi che si avvicinavano.

«Buongiorno, Rose.»

La vivace marchesa riconobbe la voce di Erinne e abbozzò un sorriso di circostanza, lasciando che si sedesse sullo scoglio accanto a sé, limitandosi a ricambiare il saluto.

Erinne e Rose si conoscevano dai tempi del liceo. Non erano amiche, ma la condizione altolocata di entrambe aveva permesso loro di restare in contatto.

Le due erano completamente diverse. E non solo per l’aspetto fisico. Eppure, avevano gli stessi gusti in fatto di ragazzi.

«Allora? Non mi hai ancora raccontato di Hugó!»  disse la bionda Erinne, spezzando il silenzio imbarazzante che si era creato.

Nemmeno sotto tortura le avrebbe raccontato spontaneamente del suo ultimo flirt, così Rose alzò le spalle, mordendosi le labbra, pronta a mentirle.

Non ce ne fu bisogno.

«Ecco Hugò!»  riprese Erinne, alzandosi in piedi a salutare il ragazzo che sopraggiungeva da solo. Lo baciò sulle guance.

Rose restò seduta, invece. Un broncio accattivante le disegnava il volto dai lineamenti regolari.

«Pronte per la seduta?»  chiese Hugò a entrambe, pur rivolgendo lo sguardo solo sulla marchesa.

Rose scosse la testa, cercando di capire.

«La seduta spiritica, ti ho invitata ieri, ricordi?»

Certo, la seduta. Rose era ubriaca persa, come al solito, e lo aveva ascoltato appena. Ma pensava stesse scherzando. O meglio, approfittando dell’occasione per rivederla.

Invece, si sbagliava. Decisamente. E non solo per la presenza di Erinne. Guardava Hugó impegnarsi per rendere credibile la seduta all’ aperto.

In effetti, il ragazzo le aveva raccontato della sua passione per il soprannaturale, ma Rose aveva soprasseduto. Perché gli piaceva, naturalmente.

E, come al solito, quando si infatuava perdeva il senso della realtà.

L’italiano srotolò una stuoia e le posizionò ai lati quattro fiaccole di bambù. L’odore dell’olio delle fiaccole si mescolò a quello salmastro del mare, creando uno strano connubio.

«Il mormorio del mare è la nostra chiave in codice, l’ha inventata Hugò per rendere segrete le sedute. Non è fantastico?» intervenne Erinne.

No, per la marchesa non lo era per niente, soprattutto ora che aveva avuto conferma di avere una spietata concorrenza.

«Andiamo, Rose. So che non ci credi, ma cos’hai da perdere? E poi è più salutare che scolarsi drink ogni notte» le disse Hugò.

Rose accusò il colpo, maledicendo la sua parlantina.

Preda dei fumi dell’alcool, notte dopo notte gli aveva raccontato del rapporto tempestoso con sua madre, bruscamente interrotto tre mesi prima.

Da lei aveva ereditato il titolo di marchesa e ancora non sapeva come gestirlo.

Con un sospiro, Rose si unì ai due compagni d’avventura, prendendo posto sulla stuoia e chiudendo il cerchio.

Si aiutò con il respiro controllato, lasciando che le parole pacate di Hugò la calmassero.

«Qualunque cosa accada, tenete strette le mie mani e non lasciate il cerchio.»

Rose trattenne a stento uno sbadiglio. Non aveva dormito per essere puntuale all’appuntamento con Hugò e adesso sentiva tutta la stanchezza della notte insonne.

«Siamo composti da materia ed energia. Oggi, ci concentreremo sulla nostra energia per accedere al mondo immateriale» proseguì il ragazzo.

Erinne, gli occhi socchiusi e le labbra distese in un sorriso storto, accettava passivamente l’esperienza. Ma non lei. La marchesa, Rose De Cotillon, non credeva ai fantasmi. Alla cattiveria umana sì, anche lei ne era stata artefice e vittima a sua volta, ma all’Aldilà? No, niente sopravviveva al piano materiale.

Erano solo giochi infantili, niente di più, non poteva accaderle niente di terribile dall’esperienza, a meno che si fosse sparsa la voce.

L’ultima cosa di cui aveva bisogno era essere additata dalla stampa come una strana, pensava la marchesa.

Intanto, il sorgere del sole, anche se oscurato dalle nubi, aveva cambiato la luce sulla spiaggia e Hugò iniziò il suo dialogo interiore.

L’ atteggiamento scettico di Rose non le impediva comunque di osservare la scena.

L’ isola d’ Elba era ancora deserta quando Hugó pronunciò le fatidiche parole:

«Henriette De Cotillon, sei qui?»

Nessuna risposta. Il silenzio ancora pervadeva il tratto dell’Isola

D’ Elba, osservato dai tre ragazzi.

«Rose?»

La marchesa annuì, comprendendo che doveva essere lei a farlo.

«Mamma?»

Il vento le sibilò in risposta.

Non aveva mai interagito con sua madre. Complice la ricchezza della famiglia, c’erano state tante, troppe distrazioni a frapporsi fra le due per costruire un rapporto affettuoso. Ma Hugò la sollecitava e lei non riusciva a negargli niente. Non ancora, perlomeno. Perciò decise di essere sincera, liberando le emozioni finora soffocate.

«È strano. Ora che vorrei parlarti tu non ci sei più ad ascoltarmi.»

Un tonfo in acqua sorprese i tre che sobbalzarono al rumore improvviso. A Erinne scappò una risata isterica. Hugò e Rose, invece, si girarono a guardare se ci fossero estranei, facendo sempre attenzione a non rompere il cerchio, ma non videro nessuno.

«Ecco, volevo solo dirti che ti voglio bene. Mi dispiace per il tempo che abbiamo perso. Ora so che non potrò più recuperarlo e mi fa male.»

La sabbia vicino al cerchio umano vorticò in risposta. Quando si fermò, i ragazzi poterono leggere la parola registrata dal vento. In due decimi di secondo, un semplice “sì” provocò la risata di Hugò, lo sguardo frastornato di Rose e l’urlo di Erinne.

La marchesa adesso era completamente sveglia. Una scarica di adrenalina l’aveva scossa alla vista delle due semplici sillabe.

Hugò si limitò a stringere le mani delle due compagne di viaggio, infondendo loro la calma necessaria a proseguire la seduta.

«Mamma, non ti dimentico. Ci sarai nelle nuove azioni che compirò come marchesa.»

Erinne e Hugò rimasero in silenzio, stavolta. Entrambi sapevano che in nessun caso dovevano interrompere il flusso emozionale di Rose.

Intorno a loro, il vento aveva ripreso a spirare, scompigliando i lunghi capelli delle due ragazze.

«Quando mi raccontavi la storia del nostro titolo, credevo che fossi pesante, troppo puntigliosa e snob. Non avevo capito che lo avrei ereditato in ogni caso, solo per il fatto di essere la tua sola figlia femmina. Ma tu lo sapevi. Perché non me lo hai detto?»

Un raggio di sole squarciò il cielo, creando un grafismo color oro sulle nubi. Hugò spalancò gli occhi per la sorpresa. Non aveva mai visto una runa disegnata in aria. Memorizzò ogni tratto, sperando di poterlo ricordare e studiare in seguito.

«La mia strada è un cammino che non posso più ignorare. Adesso ne sono consapevole.»

Rose fece una pausa e l’atmosfera sembrò rarefarsi sotto l’assalto di un vento che da tiepido, ora spirava gelido, imperversando sulla spiaggia.

«Non sarà come il tuo, però. È per questo che non ho voluto parlarne al funerale. Ho scioccato tutti i presenti, lo hai visto anche tu?»

Un sussurro nel vento le riportò una risata come risposta.

«Niente più raccolte fondi, niente galà, niente convegni. Cercherò un percorso tutto mio per aiutare gli altri senza sprecare altro tempo.»

Rose concluse il suo monologo. Ancora non ci credeva, non stava parlando a sua madre. Sicuramente era stata la mancanza di sonno delle ultime notti a mostrarle i fenomeni, ma le aveva fatto bene esternare il dialogo.

Un anomalo refolo di vento colpì un’onda. L’ acqua di mare roteò fino a generare un mulinello in aria. Per un istante, assunse la forma di una donna sorridente per poi cadere a riva e ritornare allo stato naturale. Si trattò di un attimo, ma fu sufficiente. Le lacrime che finora non era riuscita a versare bagnarono il viso della giovane marchesa.

Il cerchio si sciolse.

In silenzio, i tre ragazzi raccolsero il materiale sulla spiaggia.

«Stasera cocktail lounge?» chiese Erinne, piccata per la piega inaspettata della seduta. Come sempre, quando arrivava Rose si prendeva la scena e ormai non riusciva più a sopportarlo.

Nessuno dei due ragazzi le rispose.

«Ne vuoi parlare?» disse, invece, Hugò.

Rose scosse la testa.

«No, ho bisogno di tempo per metabolizzare.»

Il sorriso accecante di Erinne non rovinò il momento a Rose. Sapeva di aver sbagliato finora, era necessario che capisse come rimediare al meglio.

La marchesa non aveva più bisogno di essere perdonata per la superficialità della sua condotta. Era riuscita a dirlo a sua madre, finalmente. Voleva essere se stessa senza più compromessi. Senza il peso di un’eredità scomoda. Doveva solo trovare il vento giusto per lei, quello che l’avrebbe aiutata a salpare.

Racconto pubblicato in TCN 

Il mistero di Fiumelatte

Fiumelatte

 È il Fiumelaccio, il quale cade da alto più che braccia 100

dalla vena donde nasce, a piombo sul lago, con inistimabile strepitio e romore. »

(Leonardo da Vinci, Codice Atlantico, folio 214)

Ci sono luoghi dove la natura e l’uomo vivono in armonia ormai da secoli. Uno di questi è Fiumelatte, un grazioso Borgo in provincia di Lecco.

Si raggiunge percorrendo in auto prima la Statale 36 e poi la Statale 72 che da Lecco porta a Colico oppure utilizzando il treno con la linea F.S. Milano – Sondrio. Poco prima di arrivare a Varenna, sorge Fiumelatte, un gruppo di case incastonate sulle rocce occidentali della Grigna.

Fiumelatte è anche il nome del fiume intermittente che lo bagna ed è quest’ultimo particolare a rendere davvero speciale la visita.

Seguendo a ritroso il letto del fiume, si può vivere un’esperienza indimenticabile.

È interessante anche notare l’attenzione che gli abitanti del Borgo prestano al fiume e ai turisti che lo visitano.

A me è successo. Ho incontrato un valligiano che si è offerto di accompagnarmi gratuitamente alla sorgente.

Una camminata di quindici minuti permette la salita dal lago alla sorgente. Per farlo, è consigliabile munirsi di scarpe da ginnastica o da trekking.

Arrivati alla fonte, una fontana e un’ampia area pic nic sono a disposizione gratuita dei viandanti che possono riposarsi e rifocillarsi, godendo dell’incontaminata bellezza del paesaggio.

La straordinaria limpidezza dell’acqua, visibile fin dalla sorgente, muta in bianco latte non appena acquista velocità scivolando sulle rocce a strapiombo, per poi immettersi nel lago di Como. E da qui il suo nome.

Ogni anno, il fiume di origine carsica tra i più brevi d’Italia compare a fine marzo per poi scomparire i primi di ottobre.

Fiumelatte è chiamato anche il fiume delle due Madonne perché, di solito, inizia il corso proprio il venticinque marzo, giorno dell’Annunciazione della Madonna, e termina con la festa del Rosario, il sette ottobre, scandendo anche la vita religiosa del Paese.

La sua natura misteriosa è terreno fertile di leggende. La più famosa si perde nella notte dei tempi e narra di una splendida fanciulla chiesta in sposa da tre compaesani. Indecisa su chi scegliere, pensò di affidarsi al destino, sposando chi fra i tre le avrebbe rivelato l’origine del Fiumelatte, da lei tanto amato. I tre ragazzi, sebbene impauriti, entrarono nell’antro del fiume, rimanendovi per mesi.

Tornarono in superficie già anziani. Il loro aspetto era radicalmente mutato senza apparente correlazione con il tempo trascorso al buio delle caverne.

Due raccontarono di meravigliose vallate, fiumi di latte dolcissimo e splendide fanciulle che li avevano intrattenuti mentre il terzo rimase muto, rifiutandosi di commentare.

O forse non ebbe il tempo di superare lo shock per ciò che gli era accaduto perché, nei tre giorni successivi al loro ritorno, i tre giovani morirono di vecchiaia.

La splendida fanciulla, rea di averli coinvolti in quell’impresa sciagurata, rimase loro accanto fino all’esalazione dell’ultimo respiro per poi gettarsi nel Fiumelatte. Il suo corpo non fu mai ritrovato. Alcuni bisbigliano che nelle notti di luna piena, quando la luce si infrange violentemente sul fiume, si possa ancora vederla sorridere e danzare con le sue sorelle Naiaidi.

Dopo la tragedia, nessuno degli abitanti osò più sfidare il Fiumelatte, il cui mistero è ancora inviolato. Forse è per questo che Fiumelatte non ha mai causato danni al paese, diventando nel tempo un amico fidato dei suoi abitanti che si preoccupano se non ricompare ogni anno, rispettando le date.

Considerando le bizzarrie del clima che mai ci prepara al suo funesto rovinare al suolo, rimane l’ordinata e costante intermittenza di Fiumelatte a portare un’oasi di pace nel caos della nostra bella Italia.

 

 

Miti senza tramonto

Un pomeriggio assolato e l’urgenza di proteggermi dal sole mi spingono a pagare il biglietto per una mostra fotografica di cui so poco o nulla. Sono a Biella e a Palazzo Gromo Losa è in atto la mostra del fotografo Douglas Kirkland che ritrae Coco Chanel e Marilyn Monroe, due icone del Novecento famose nel mondo, decisamente fumose per la sottoscritta. L’ideale per perdere tempo senza farsi sopraffare dalla noia in attesa della cena, penso mentre pago il biglietto a prezzo intero. Le assistenti mi invitano a iniziare il percorso dall’ orto botanico che ospita coltivazioni di aromi per poi procedere verso il giardino in stile italiano, impreziosito di frasi famose appese, come cornici a cielo aperto. L’esperienza è sorprendente, più per l’allestimento delle frasi che per il verde esposto.

Foto dell’autrice – mostra Palazzo Gromo Losa 2021

Appena rientro nel Palazzo e incontro le foto tutto cambia. Le prime sale parlano di Coco Chanel.
Un’ icona di stile e di moda. Decisa, austera, sagace, una donna moderna sotto molteplici punti di vista. La sua determinazione traspare netta e non posso far altro che ammirarne la tenace bellezza.

Foto dell’autrice – mostra Palazzo Gromo Losa 2021
Foto dell’autrice – mostra Palazzo Gromo Losa 2021
Foto dell’autrice – mostra Palazzo Gromo Losa 2021

Nell’ultima sala, la filodiffusione trasmette un brano di Frank Sinatra. E’ di nuovo il 17 novembre 1961. Marilyn è all’apice del suo successo e sta posando per un giovane fotografo. Le foto sono destinate alla pubblicazione su “Look” in occasione del venticinquesimo anniversario della rivista. Marilyn chiede alla troupe di lasciare il set, permettendo così al giovane fotografo di esprimersi liberamente. Kirkland la riprende da una balconata sopra il letto, allestito per l’occasione con lenzuola di seta. Sul comodino, due calici e una bottiglia di Dom Pèrignon allietano i due durante le pause. Otto mesi dopo il servizio fotografico, Kirkland è a Parigi per fotografare Coco Chanel quando apprende la notizia della tragica morte di Norma Jeane Baker, alias Marilyn Monroe. La donna aveva solo trentasei anni, ma il suo mito è ancora intramontabile. Le foto parlano da sole, audaci, sensuali, accattivanti, attirano lo spettatore nella rete. E la magia è la stessa, oggi come sessant’anni fa, il fascino di Marilyn Monroe non lascia indifferente il pubblico. Ora lo posso confermare anch’io.
La mostra è disponibile fino al 12 settembre 2021.

Foto dell’autrice – mostra Palazzo Gromo Losa 2021
Foto dell’autrice – mostra Palazzo Gromo Losa 2021
Foto dell’autrice – mostra Palazzo Gromo Losa 2021

Il volto di Lovere

L’estate è il tempo ideale per scoprire nuove mete e l’acqua è da sempre un richiamo irresistibile per me. Che si tratti di mare o di lago poco importa. Quando ho bisogno di staccare la spina dal quotidiano, ricerco il panorama liquido che mi regalano entrambi. Così, in un soleggiato sabato di luglio, ho visitato Lovere, lo splendido borgo che si affaccia sul Lago d’Iseo, ignorando le grida horror della Casa che mi avrebbe voluto intenta alle pulizie di routine, come ogni maledetto week end.

La strada è delle migliori solo se amate la guida e, soprattutto, le code dopo l’uscita dall’autostrada A4. Detto questo, vale sicuramente la fatica del viaggio. Arrivando nelle prime ore del mattino, è possibile trovare anche parcheggi per auto gratuiti e, soprattutto, fruire del traghetto per “Monte Isola” (partenza dal molo di Lovere ore 9:25 – 13:20 e 15:50 – orari luglio 2021). Se invece amate poltrire, come la sottoscritta, potrete comunque gioire di parcheggi a pagamento a misura di turista. Non riuscirete a prendere il traghetto, già occupato dai solerti turisti che vi hanno preceduto, ma potrete vivere in religioso silenzio le caratteristiche viuzze del borgo antico, tuffandovi nella storia.

Le case pittoresche, il clima mite e la tranquillità del centro, si fondono perfettamente con la calma che ispira il lago. Lo spirito di un passato autentico si percepisce subito calpestando la pavimentazione a ciottoli per raggiungere la Torre Civica, situata nella spettacolare Piazza Vittorio Emanuele II. L’ingresso è gratuito e custodito da un guardiano che calmiera gli afflussi e fornisce anche la cartina della città, su richiesta. Alta ventotto metri, la Torre offre uno splendido panorama sul lago e sui tetti della cittadina. Salendo le scale, a ogni piano, è possibile leggere la storia della città, scandita dalle dodici Ore/Ere di Lovere. Sono delle targhe in materiale trasparente appese al muro della Torre che riassumono la storia della città a tappe di secoli, utilizzando una comunicazione, oserei dire, perfetta. A ogni passo in salita, l’impressione è quella di trovarsi nel periodo descritto. Arrivati in terrazza, si gode la spettacolare vista a trecentosessanta gradi sulla città.

La visita del borgo a piedi incanta l’occhio del turista, intrattenuto da vivaci negozi di vario tipo che possono soddisfare ogni richiesta. Da menzione sono i dolci “Baci di Lovere”, deliziosi frollini con farcitura di crema alla nocciola e i “Funghetti” di meringa e cioccolato della pasticceria “Wender”.

Per un pranzo delizioso ed economico, il “Bar Centrale” è quello che fa per tutti dove diverse tipologie di piatti, anche caldi, possono soddisfare qualsiasi palato, compreso il dolce. Il gelato del “Bar Centrale” è considerato un must dai residenti, posso confermare il fatto! E poi il lungolago incantevole permette di smaltire facilmente le calorie assunte con il pranzo.

Da non perdere anche la visita alla “Galleria dell’Accademia Tadini”. L’ingresso è a pagamento, ma merita la vista, a cominciare dalla splendida stele funeraria, raffigurante una donna piangente, realizzata dal Canova in memoria dell’amico, Faustino Tadini, prematuramente scomparso a venticinque anni. La stele è di una bellezza disarmante che mi ha commosso, letteralmente. La grande capacità del Canova di trasmettere le emozioni con le sue opere ogni volta mi riga il volto di lacrime.

Lovere è il volto romantico di una località adatta anche per una vacanza.

foto dell’autrice –  tutti i diritti riservati

Autunno a Crespi d’Adda

L’autunno a Crespi d’Adda è meravigliosamente cupo. La Dea dormiente anche qui si riveste di colori spettacolari, ma lascia una vena malinconica negli occhi dello spettatore che è difficile trovare altrove. L’attrazione principale del luogo consiste nella visita al villaggio operaio. Patrimonio dell’Unesco dal 1995, fu costruito dall’imprenditore Cristoforo Benigno Crespi nel 1878 e portato al massimo splendore dal figlio fino al 1930 per poi iniziare lenta ma graduale discesa, terminata nel 2003 con la chiusura definitiva del Cotonificio. E’ la testimonianza più importante e concreta del fenomeno dei villaggi operai nell’Europa meridionale, frutto dell’influenza dei paesi Nordici. La sua storia ricca di contraddizioni, non permette di affermare se il progetto fosse frutto d’illuminismo o imprenditoria paternalistica, resta il fatto che all’apice del suo splendore diede un futuro concreto a quattromila operai che abitavano la zona.

Parcheggiata l’auto a Trezzo d’Adda, in Via Antonio Gramsci il parcheggio è gratuito la domenica, il villaggio si raggiunge a piedi con una passeggiata di circa trenta minuti, costeggiando l’Adda. Parallelamente al fiume, scorre il Naviglio della Martesana che collega l’Adda a Milano. L’acqua scorre tranquilla nel canale. Nel passato, era il principale mezzo di comunicazione usato dalle persone per raggiungere la città. Oggi in disuso, ancora attrae l’attenzione del viandante che qui si ferma a leggere la poesia dedicata al Naviglio.

Oltrepassato il fiume grazie a un ponte di ferro, si raggiunge la sponda bergamasca e, dopo pochi minuti, anche il villaggio. L’accesso è a pagamento, anche se non ci sono controllori né sbarre che ne impediscano l’ingresso pedonale. Il silenzio quasi assordante mi convince che sia un Sito abbandonato, al pari del Cotonificio Crespi. Vedo una chiesa, esatta copia in miniatura della Chiesa di Santa Maria Novella a Busto Arsizio. A fianco, un edificio ospita il bar del dopo lavoro. Entrambi deserti. Invece mi sbaglio. Il villaggio è ancora vivo. Lo scopro dopo aver trascorso un’ora passeggiando fra le case. Ebbene sì, i discendenti degli operai del cotonificio Crespi o, perlomeno, alcuni di essi lo abitano ancora oggi. Intravedo una famiglia che sta accogliendo gli amici per il pranzo domenicale. Imbarazzati, tutti distolgono lo sguardo forse per paura che rivolga loro domande alle quali sarebbe troppo doloroso rispondere. Eppure continuano a viverci, trascorrono tempo e fatica a coltivare il giardino annesso. Mantengono inalterata la struttura di origine delle proprie case, rispettando i parametri imposti prima dalla Famiglia Crespi e oggi dal Comune e dall’Unesco. Difficile dire se con orgoglio o solo per tradizione. Lavorano altrove, ma ci ritornano ogni sera. Con la visita al cimitero, si conclude il giro panoramico. Il Mausoleo della Famiglia Crespi è costruito con ceppo d’Adda, il materiale locale abitualmente adoperato nel territorio e riconoscibile ovunque. Questo dovrebbe renderlo parte integrante del paesaggio, ma le dimensioni e la verticalità dell’opera gli permettono di torreggiare impunemente sugli incauti visitatori. All’ingresso, piccole lapidi ricordano i bambini della Comunità morti prematuramente; se ne contano a centinaia. L’atmosfera gotica che si respira lo rende un luogo spettrale. Trattengo il respiro. Riesco a varcarne la soglia solo per pochi passi e poi devo arretrare, vittima di un sortilegio che mi costringe a girare le spalle al luogo, ritornando sulla via principale ad ammirare la fila interminabile di cipressi che portano il viandante dal luogo di sepoltura all’ingresso del villaggio per terminare la visita. Nel mezzo, la Fabbrica, ormai abbandonata, saluta il visitatore lasciandomi di nuovo preda di un sottile disagio, la melanconia di un luogo amato e non ancora dimenticato.

 

Un incontro che avvicina

Martedì, 18 agosto 2020, ore 20:30. Il Sito dell’Osservatorio di Saint-Barthélemy, Frazione Lignan, in Valle d’Aosta ci ha già informati nel pomeriggio, tramite una simpatica “spunta verde”, che la visita notturna (prenotata on line giorni prima), è disponibile.
La serata è mite in Valle, a Nus, dove io e la mia famiglia soggiorniamo, ma non di meno, seguiamo scrupolosamente le informazioni forniteci dal Sito circa l’abbigliamento montano da adottare per assistere con serenità alla visita guidata.
La strada che conduce all’Osservatorio (mezz’ora circa da Nus) è irta di tornanti, ma poco frequentata. Alle 21.00 siamo già arrivati, trovando parcheggio presso il Planetario. Messa in sicurezza l’auto, ci accingiamo a raggiungere l’Osservatorio a piedi, muniti di torce (come saggiamente consigliati sempre dal Sito).
All’arrivo ci accoglie l’incaricato che indirizza i visitatori a munirsi di biglietto (uno per gruppo, seguendo scrupolosamente le istruzioni Covid 19) mentre io e mio figlio attendiamo nello spiazzo dedicato, distanziati correttamente dagli altri ospiti. Le luci soffuse dell’esterno ci permettono già di alzare gli occhi al cielo e ammirare le prime stelle visibili. Alle 22:00 ci accompagnano sul retro dell’Osservatorio per svolgere la visita in sicurezza, viste le attuali normative circa il distanziamento sociale. E inizia il tour del Firmamento in compagnia di due simpatici e preparatissimi Astrofisici.
Due consigli:
Per chi non ama guidare di notte, presso il Planetario o poco distante, sono presenti Alberghi dove è possibile soggiornare, prenotando in anticipo.
L’uso della coperta per proteggere le gambe (sempre consigliata dal Sito), oltre al giubbotto imbottito, è stata fondamentale per goderci l’intera esperienza.
Se siete in zona, vi consiglio di partecipare. Il costo del biglietto regala anche il tuffo tra le stelle che vi porterete a casa.

https://www.tripadvisor.it/Attraction_Review-g187863-d3696096-Reviews-Osservatorio_Astronomico_della_Regione_Autonoma_Valle_d_Aosta_e_Planetario_di_Lig.html
La mia recensione presente su Tripadvisor:

Scienza, cultura e pizzichi di leggende sapientemente miscelate dai due astrofisici incaricati hanno reso la vista notturna del cielo di agosto un’esperienza indimenticabile, strappandomi più volte anche la risata. La preparazione e simpatia del personale è stata determinante a spiegare con semplicità un argomento che spesso risulta ostico a chi l’ascolta. Il tempo trascorso è volato, rendendomi ancor più consapevole dell’infinita bellezza che ci attraversa. A distanza di giorni, emozionandomi a guardare il cielo notturno, ora so anche orientarmi per individuare i principali astri che sono stati illustrati durante la visita. L’Osservatorio offre un incontro che avvicina. Perciò grazie!

La risposta del Referente:

Siamo noi che la ringraziamo per l’interesse e per le belle parole nei confronti della nostra attività. Siamo particolarmente colpiti dall’espressione “un incontro che avvicina”, per due ragioni.
Il primo motivo è che l’astronomia viene giustamente considerata la scienza dell’infinitamente lontano; tuttavia, comprendere la natura degli astri che si trovano anche a distanze immense ci permette poi di guardare a quanto abbiamo vicino con occhi nuovi e maggiore consapevolezza, come scrive lei. Siamo contenti se siamo riusciti a trasmettere questo messaggio.
Il secondo motivo è che le sue parole dimostrano che il distanziamento interpersonale, vincolo cui siamo momentaneamente costretti nell’interesse generale, non impedisce di sentirci vicini. A causa dell’emergenza sanitaria non possiamo svolgere le visite guidate estive come le avevamo originariamente concepite. Siamo felici di vedere che le soluzioni da noi individuate siano efficaci dal punto di vista divulgativo e anche del rapporto umano con il pubblico (risate comprese). A fare la differenza sono l’interesse dei visitatori, la competenza dello staff e ovviamente lo spettacolo del cielo notturno di Saint-Barthélemy, candidato a ricevere la certificazione Starlight Stellar Park riconosciuta dall’UNESCO.
Cogliamo l’occasione per ricordare a chi legge questa recensione di consultare il nostro sito web per informazioni e le necessarie prenotazioni: sopra, nella sezione “Contattaci”, trovate il link alla home page. Invitiamo poi a iscriversi alla nostra newsletter per essere informati tempestivamente sulle iniziative che proponiamo. Chi vuole può seguirci su Facebook, Instagram, Twitter e YouTube: i link ai social si trovano in calce a ogni pagina del sito, dove c’è anche il collegamento a questa pagina di TripAdvisor.
Buon tutto, Andrea (ricercatore e referente per la comunicazione della Fondazione C. Fillietroz-ONLUS)