Il mormorìo del mare

 

La marchesa uscì alle cinque. Quella mattina, Rose si sentiva pronta per affrontare la giornata.

Ancora non sapeva definire il sentimento che provava, ma era finalmente lucida e voleva ascoltare il mare.

Qualcuno le aveva sussurrato il consiglio durante una delle tante notti insonni, trascorse a ballare forsennatamente e a trangugiare margarita, il suo cocktail preferito.

«Hai mai ascoltato il mormorio del mare all’alba?» le aveva sussurrato l’affascinante Hugò dai tratti mediterranei, stringendola in un lento appassionato.

Rose de Cotillon aveva scosso i lunghi boccoli corvini. No, non lo aveva mai fatto. Anzi, lei evitava accuratamente il mare.

«Potremmo farlo insieme domani» le aveva risposto ancora Hugò.

La pelle diafana della giovane marchesa, quasi trasparente, non le garantiva un’esposizione gradevole al sole, ma la mattina di quel sabato di giugno, il tre per l’esattezza, il cielo plumbeo prometteva una giornata senza sole.

Rose scese i settantacinque gradoni di legno, incastonati nel folto bosco di lecci, e raggiunse la spiaggia della “Paolina”, di un fine color cipria.

La ragazza chiuse gli occhi, annusando il profumo del mare. Avvertiva il suono delle onde infrangersi sulla battigia, i gabbiani gracchiare in lontananza e un rumore di passi che si avvicinavano.

«Buongiorno, Rose.»

La vivace marchesa riconobbe la voce di Erinne e abbozzò un sorriso di circostanza, lasciando che si sedesse sullo scoglio accanto a sé, limitandosi a ricambiare il saluto.

Erinne e Rose si conoscevano dai tempi del liceo. Non erano amiche, ma la condizione altolocata di entrambe aveva permesso loro di restare in contatto.

Le due erano completamente diverse. E non solo per l’aspetto fisico. Eppure, avevano gli stessi gusti in fatto di ragazzi.

«Allora? Non mi hai ancora raccontato di Hugó!»  disse la bionda Erinne, spezzando il silenzio imbarazzante che si era creato.

Nemmeno sotto tortura le avrebbe raccontato spontaneamente del suo ultimo flirt, così Rose alzò le spalle, mordendosi le labbra, pronta a mentirle.

Non ce ne fu bisogno.

«Ecco Hugò!»  riprese Erinne, alzandosi in piedi a salutare il ragazzo che sopraggiungeva da solo. Lo baciò sulle guance.

Rose restò seduta, invece. Un broncio accattivante le disegnava il volto dai lineamenti regolari.

«Pronte per la seduta?»  chiese Hugò a entrambe, pur rivolgendo lo sguardo solo sulla marchesa.

Rose scosse la testa, cercando di capire.

«La seduta spiritica, ti ho invitata ieri, ricordi?»

Certo, la seduta. Rose era ubriaca persa, come al solito, e lo aveva ascoltato appena. Ma pensava stesse scherzando. O meglio, approfittando dell’occasione per rivederla.

Invece, si sbagliava. Decisamente. E non solo per la presenza di Erinne. Guardava Hugó impegnarsi per rendere credibile la seduta all’ aperto.

In effetti, il ragazzo le aveva raccontato della sua passione per il soprannaturale, ma Rose aveva soprasseduto. Perché gli piaceva, naturalmente.

E, come al solito, quando si infatuava perdeva il senso della realtà.

L’italiano srotolò una stuoia e le posizionò ai lati quattro fiaccole di bambù. L’odore dell’olio delle fiaccole si mescolò a quello salmastro del mare, creando uno strano connubio.

«Il mormorio del mare è la nostra chiave in codice, l’ha inventata Hugò per rendere segrete le sedute. Non è fantastico?» intervenne Erinne.

No, per la marchesa non lo era per niente, soprattutto ora che aveva avuto conferma di avere una spietata concorrenza.

«Andiamo, Rose. So che non ci credi, ma cos’hai da perdere? E poi è più salutare che scolarsi drink ogni notte» le disse Hugò.

Rose accusò il colpo, maledicendo la sua parlantina.

Preda dei fumi dell’alcool, notte dopo notte gli aveva raccontato del rapporto tempestoso con sua madre, bruscamente interrotto tre mesi prima.

Da lei aveva ereditato il titolo di marchesa e ancora non sapeva come gestirlo.

Con un sospiro, Rose si unì ai due compagni d’avventura, prendendo posto sulla stuoia e chiudendo il cerchio.

Si aiutò con il respiro controllato, lasciando che le parole pacate di Hugò la calmassero.

«Qualunque cosa accada, tenete strette le mie mani e non lasciate il cerchio.»

Rose trattenne a stento uno sbadiglio. Non aveva dormito per essere puntuale all’appuntamento con Hugò e adesso sentiva tutta la stanchezza della notte insonne.

«Siamo composti da materia ed energia. Oggi, ci concentreremo sulla nostra energia per accedere al mondo immateriale» proseguì il ragazzo.

Erinne, gli occhi socchiusi e le labbra distese in un sorriso storto, accettava passivamente l’esperienza. Ma non lei. La marchesa, Rose De Cotillon, non credeva ai fantasmi. Alla cattiveria umana sì, anche lei ne era stata artefice e vittima a sua volta, ma all’Aldilà? No, niente sopravviveva al piano materiale.

Erano solo giochi infantili, niente di più, non poteva accaderle niente di terribile dall’esperienza, a meno che si fosse sparsa la voce.

L’ultima cosa di cui aveva bisogno era essere additata dalla stampa come una strana, pensava la marchesa.

Intanto, il sorgere del sole, anche se oscurato dalle nubi, aveva cambiato la luce sulla spiaggia e Hugò iniziò il suo dialogo interiore.

L’ atteggiamento scettico di Rose non le impediva comunque di osservare la scena.

L’ isola d’ Elba era ancora deserta quando Hugó pronunciò le fatidiche parole:

«Henriette De Cotillon, sei qui?»

Nessuna risposta. Il silenzio ancora pervadeva il tratto dell’Isola

D’ Elba, osservato dai tre ragazzi.

«Rose?»

La marchesa annuì, comprendendo che doveva essere lei a farlo.

«Mamma?»

Il vento le sibilò in risposta.

Non aveva mai interagito con sua madre. Complice la ricchezza della famiglia, c’erano state tante, troppe distrazioni a frapporsi fra le due per costruire un rapporto affettuoso. Ma Hugò la sollecitava e lei non riusciva a negargli niente. Non ancora, perlomeno. Perciò decise di essere sincera, liberando le emozioni finora soffocate.

«È strano. Ora che vorrei parlarti tu non ci sei più ad ascoltarmi.»

Un tonfo in acqua sorprese i tre che sobbalzarono al rumore improvviso. A Erinne scappò una risata isterica. Hugò e Rose, invece, si girarono a guardare se ci fossero estranei, facendo sempre attenzione a non rompere il cerchio, ma non videro nessuno.

«Ecco, volevo solo dirti che ti voglio bene. Mi dispiace per il tempo che abbiamo perso. Ora so che non potrò più recuperarlo e mi fa male.»

La sabbia vicino al cerchio umano vorticò in risposta. Quando si fermò, i ragazzi poterono leggere la parola registrata dal vento. In due decimi di secondo, un semplice “sì” provocò la risata di Hugò, lo sguardo frastornato di Rose e l’urlo di Erinne.

La marchesa adesso era completamente sveglia. Una scarica di adrenalina l’aveva scossa alla vista delle due semplici sillabe.

Hugò si limitò a stringere le mani delle due compagne di viaggio, infondendo loro la calma necessaria a proseguire la seduta.

«Mamma, non ti dimentico. Ci sarai nelle nuove azioni che compirò come marchesa.»

Erinne e Hugò rimasero in silenzio, stavolta. Entrambi sapevano che in nessun caso dovevano interrompere il flusso emozionale di Rose.

Intorno a loro, il vento aveva ripreso a spirare, scompigliando i lunghi capelli delle due ragazze.

«Quando mi raccontavi la storia del nostro titolo, credevo che fossi pesante, troppo puntigliosa e snob. Non avevo capito che lo avrei ereditato in ogni caso, solo per il fatto di essere la tua sola figlia femmina. Ma tu lo sapevi. Perché non me lo hai detto?»

Un raggio di sole squarciò il cielo, creando un grafismo color oro sulle nubi. Hugò spalancò gli occhi per la sorpresa. Non aveva mai visto una runa disegnata in aria. Memorizzò ogni tratto, sperando di poterlo ricordare e studiare in seguito.

«La mia strada è un cammino che non posso più ignorare. Adesso ne sono consapevole.»

Rose fece una pausa e l’atmosfera sembrò rarefarsi sotto l’assalto di un vento che da tiepido, ora spirava gelido, imperversando sulla spiaggia.

«Non sarà come il tuo, però. È per questo che non ho voluto parlarne al funerale. Ho scioccato tutti i presenti, lo hai visto anche tu?»

Un sussurro nel vento le riportò una risata come risposta.

«Niente più raccolte fondi, niente galà, niente convegni. Cercherò un percorso tutto mio per aiutare gli altri senza sprecare altro tempo.»

Rose concluse il suo monologo. Ancora non ci credeva, non stava parlando a sua madre. Sicuramente era stata la mancanza di sonno delle ultime notti a mostrarle i fenomeni, ma le aveva fatto bene esternare il dialogo.

Un anomalo refolo di vento colpì un’onda. L’ acqua di mare roteò fino a generare un mulinello in aria. Per un istante, assunse la forma di una donna sorridente per poi cadere a riva e ritornare allo stato naturale. Si trattò di un attimo, ma fu sufficiente. Le lacrime che finora non era riuscita a versare bagnarono il viso della giovane marchesa.

Il cerchio si sciolse.

In silenzio, i tre ragazzi raccolsero il materiale sulla spiaggia.

«Stasera cocktail lounge?» chiese Erinne, piccata per la piega inaspettata della seduta. Come sempre, quando arrivava Rose si prendeva la scena e ormai non riusciva più a sopportarlo.

Nessuno dei due ragazzi le rispose.

«Ne vuoi parlare?» disse, invece, Hugò.

Rose scosse la testa.

«No, ho bisogno di tempo per metabolizzare.»

Il sorriso accecante di Erinne non rovinò il momento a Rose. Sapeva di aver sbagliato finora, era necessario che capisse come rimediare al meglio.

La marchesa non aveva più bisogno di essere perdonata per la superficialità della sua condotta. Era riuscita a dirlo a sua madre, finalmente. Voleva essere se stessa senza più compromessi. Senza il peso di un’eredità scomoda. Doveva solo trovare il vento giusto per lei, quello che l’avrebbe aiutata a salpare.

Racconto pubblicato in TCN