Istantanee di un’anima ribelle

Dopo “La famiglia Meomeo e l’ospite pancione, vi presento il mio nuovo libro “Istantanee di un’anima ribelle”.

Cliccando “Buy on Amazon”, potrete avere il mio nuovo ebook.

Fra gli altri, in chiave misteriosa, troverete la vicenda della miniera di Marcinelle, la versione romance di una giovane Marie Curie, un micro- giallo e brani che affrontano i rapporti interpersonali con leggerezza.

Il filo conduttore rimane la condizione umana, declinata in vari generi letterari con uno sguardo vigile sul nostro futuro prossimo e incursioni nel passato.

Se volete farvi un’idea più dettagliata del contenuto, qui di seguito, vi propongo la sinossi dei trenta racconti che compongono la raccolta.

 

 

Sinossi racconti:

01 Sic Est

Uno sguardo al prossimo futuro della Terra e del genere umano.

Ce lo racconta Elisya, trentenne geologa terrestre, alle prese con la sua prima gravidanza.

 02 Tormento

Ronnie Ducci, giornalista romano affermato, di fronte alla sua ex compagna di liceo ritrova di nuovo il timido ragazzo, colpevole di tanti errori del passato. Riuscirà a superare le sue fobie o sarà costretto a conviverci?

03 Faith

Quanto ci condizionano le superstizioni? Lo scoprirete con Faith, veterinaria del Parco di Introd, in Valle d’Aosta.

04 Il cammino della pioggia

Scritto come omaggio della saga “Matrix”, il racconto brevissimo narra la vicenda di Hilde e Scilla, due sorelle particolari, così come è insolito il legame che le unisce.

05 MeCHo (Medical Clinic Home)

Uno sguardo su un possibile futuro. A ciò che potrebbe accadere se solo le risorse fossero gestite da persone geniali, capaci di rendere la tecnologia un bene a disposizione di tutti. Questo è” MeCHo”.

06 Il futuro negli occhi

La Tecnologia è il nostro vanto, la nostra conquista. Ma anche il progresso ha un lato oscuro che deve essere monitorato. Prima ne saremo consapevoli e migliore sarà il Mondo che lasceremo ai nostri figli!

07 Marta, l’eroina

Sono sempre gli atteggiamenti a rovinare i rapporti. Il racconto si sviluppa sulle prime esperienze di Marta a contatto con l’universo maschile. Una sfida di carattere, una conquista di consapevolezza verso se stessa e gli altri.

 08 La leggenda della tartaruga che non voleva nuotare

Amore e ossessione possono essere i due volti della stessa medaglia. Ma non è sempre facile riconoscerne gli effetti.  È quello che vive Alice all’interno del brano.

09 Pulcini

Dialogo a due, discutendo d’amore.

10 La cosa giusta

Il miracolo del Natale, quello vero!

11 L’insolito colore del cielo

Una battuta di caccia, una veterinaria e un tenente carabiniere affrontano un cinghiale fantasma. Mito e realtà a confronto.

12 Monella

Antonio è un pilota, drogato di adrenalina e corse. Insieme alla sua “Bmw M-serie 3 berlina” partecipa alla corsa più calda dell’anno. Lo accompagna Jeremia, un essere speciale, non previsto dal regolamento della gara, ma a cui Antonio non può negare il passaggio. Il dialogo fra i due aiuta il protagonista ad essere finalmente consapevole dei suoi comportamenti ossessivo compulsivi.

13 Loop

Un micro-giallo ambientato in azienda. Un industriale ucciso nel proprio ufficio. È il quinto della stagione e il Vicequestore, Andrea Nenni, ancora brancola nel buio. Una sola luce, una prova inoppugnabile a suo vantaggio gli basterà per fare giustizia?

 14 Quando Venere incontra Marte

Spassoso dialogo interiore di una trentenne alle prese con l’ansia dei primi appuntamenti.

15 La via di casa

Il filo che lega le nostre vite è così nascosto nelle pieghe del tempo da sembrarci invisibile. Ma per alcuni istanti può cambiare colore, diventare rosso e permetterci di sbirciare attraverso il velo che ci tiene ancorati a terra. È quello che accade a Luca Tamberi, dirigente d’azienda, un fatidico Natale, poco prima di raggiungere la casa della sua infanzia.

16 Radiografia

Giada è una quarantenne alle prese con se stessa e la vita. Sarà finalmente sincera, parlando d’amore?

17 L’impatto

Venerdì, 17, ore 14:35 potrà mai essere un giorno felice? Ci prova a spiegarlo Alberto, un Broker di Piazza Affari alle prese con un incubo.

18 Lo scherzo

Milano, 11 novembre 1926. La Trattoria Bagutta è già uno dei locali più frequentati dai giornalisti e artisti della città. Alice è una giovane cameriera appena arrivata in città, in cerca di lavoro. Ama i libri e la cultura. Ed è proprio al Bagutta che scoprirà come unire l’utile al dilettevole, scoprendo il suo talento nascosto.

19 Starleyet

Di tutto quello che conosciamo, le stelle rimangono la parte oscura, la più misteriosa dove buio e luce si incrociano. In questo lampo di luce, Starleyet racconta la sua leggenda.

20 Il portale inespresso

Goriot e Finnie sono amici, ma appartengono a mondi diversi.

Riusciranno ad appianare le divergenze che li separano solo volendosi bene?

21 L’incompreso

La realtà è una patina di ghiaccio, spessa o sottile a seconda di chi ci guarda. Può restare immobile oppure rompersi, regalandoci un tuffo nell’infinito. Accade a una comitiva di amici in questo brevissimo racconto.

22 Paranoia

Il peggior incubo può diventare realtà se un ragazzo decide di coltivare al buio il suo sinistro talento.

 23 Fuori di qui

Luca è uno studente di Psicologia, ambizioso e caparbio. È capace di tutto, pur di dimostrare le sue teorie sulla “sindrome da dimenticanza”. Persino calpestare una persona.

24 Effetto domino

Etica e realtà possono convivere oppure è solo un’illusione?

È il dubbio che angustia Ines Delgado, insegnante ispanica, emigrata a Milano.

25 La cucina di Sophia

Elsa è una ragazza che non ama le imposizioni, soprattutto quelle genitoriali. La morte della madre, Sophia, però, la costringe a tornare a casa, nella cucina e trattoria che l’ha vista crescere, per riflettere sul suo percorso. Non limitandosi a sentire le parole, ma ascoltando finalmente la voce nascosta delle sue emozioni.

 26 Virtual books

Ebola Contea di York 3527 d.c.

Il barbaro Kullermo e il suo compagno di sventura, Don Abbondio da Lecco, sono i protagonisti di questo micro-fantasy dove la realtà virtuale supera i confini conosciuti.

Pro e contro di universi in conflitto.

27 La matricola

Il viaggio verso la conoscenza emoziona la giovane Marie, matricola presso l’Università della Sorbona, a Parigi.

 28 Pagina venticinque

Una biblioteca misteriosa, un custode e un consulente sono i protagonisti di questa storia dai contorni fantasy.

 29 Dicotomia di un dettaglio

Belgio. Charleroi. 8.08.1956. L’incendio nella miniera di carbone nell’ area di Bois du Cazier a Marcinelle, provocò la morte di 262 minatori, di cui 136 italiani.

In ricordo della tragedia, oggi la miniera Bois du Cazier è patrimonio Unesco.

Il racconto narra la vicenda romanzata in chiave misteriosa del disastro di Marcinelle dalla parte di sei vittime che, inspiegabilmente, ritornano fra noi.

Nel 2003 la “Rai” ha ricordato tale catastrofe con la miniserie televisiva Marcinelle.

Nel 2006 l’89º “Giro d’Italia” è partito dal Belgio in omaggio alle migliaia di emigrati italiani di quelle zone.

 30 Il Circus in fabula

Luc de Girac è un artista con uno spiccato senso estetico.

Ha più passioni e una bellissima collezione da foot locker che condivide con il suo pubblico.

Ama il teatro di strada, ma riuscirà in poche battute a conquistare la platea?

La strana vita di Penelope Patton

Le esperienze temprano il carattere. Anche in quelle più complicate, il ritorno di energia è sempre assicurato.

Penelope Patton, questo lo credeva. E, di più, lo ricercava.

La donna amava circondarsi di amici. Le piaceva il cicaleccio della gente nei ristoranti.

Persino al cinema sopportava i rumori di sottofondo senza scomporsi.

Penelope aveva da poco superato i quaranta.

Era una bionda naturale, così soleva rammentare al suo parrucchiere ogni mese, invitandolo a tingerle i lunghi e folti capelli di uno scioccante biondo platino.

Si riteneva una persona di media intelligenza. Né troppa né troppo poca, diceva alle amiche, sorridendo alla vita.

Di formazione cattolica, rigidamente imposta fin dalla nascita, Penelope aveva fatto del credo una sorta di bandiera contro le avversità della vita.

Non aveva figli. E nemmeno un marito. Qualcuno aveva bussato alla porta in passato, ma nessuno le era mai sembrato adatto a ricoprirne il ruolo a titolo permanente.

Eppure, Penelope credeva ancora che l’amore stesse arrivando anche per lei, solo che il suo era in dannatissimo ritardo. Era una cosa che stava imparando a comprendere, il ritardo.

Esattamente da quando le era stato notificato il trasferimento della sua posizione impiegatizia a Milano, aprendo il campo a nuove esperienze.

Alle ore sette, di martedì diciassette, la banchina della stazione ferroviaria monzese brulicava di persone che non conosceva.

Il treno S9 era in ritardo. Come al solito, mormoravano i pendolari, intorno a lei. Penelope, però, non poteva ancora affermarlo, era la prima volta che viaggiava in treno.

Si sentiva a disagio, ma cercava di nasconderlo, fingendo di controllare il suo cellulare.  Nemmeno osservare le reazioni stralunate delle persone che stavano attendendo con lei riusciva a calmarla.

L’arrivo del treno fu accompagnato dal fischio stordente del controllore che sollecitò la chiusura delle porte. Penelope, presa alla sprovvista, si lasciò trascinare dal fiume umano dei pendolari, salendo a sua volta sul mezzo.

Quindi, rimase in piedi a fissare il balletto degli sconosciuti che in pochi secondi si erano già appropriati dei posti a sedere.

Si sarebbe concessa una bella risata se fosse stata serena, ma le sue labbra rimasero chiuse, primo sintomo che qualcosa non andava.

Il rollio del treno in transito le causò subito nausea. Serrò le labbra, trattenendo a stento i conati e si aggrappò alla maniglia del sedile più vicino a lei.

Chiuse gli occhi. La respirazione modulata che applicò riuscì nell’ intento di calmarla, ma non sopì l’istinto atavico di voler scendere subito dal mezzo.

Penelope lo ignorò. Un passo alla volta e una voce guida che annunciava le fermate, ecco quello che le serviva per superare l’ostacolo e raggiungere il traguardo.

Penelope ne era consapevole, lucida a sufficienza per leggere i cartelli delle stazioni successive, compresa la sua, quella di Milano Lambrate.

Infatti, la vide ma non riuscì a fare altro che osservarla passare. La ressa alle porte le indicava l’uscita, eppure Penelope non si mosse.

Un uomo liberò il posto e la fece sedere. Fu un atto gentile che segnò la fine.

Arrivò al capolinea, esattamente dieci fermate dopo la sua e, finalmente, riuscì a scendere dal treno.

Non senza l’aiuto del controllore che la scortò a terra, trattenendola per il braccio.

E adesso, che poteva fare?

«Per tornare indietro, il prossimo parte fra dieci minuti al binario 4» le disse il controllore, per poi lasciarla sola.

Penelope o, meglio, il corpo di Penelope, si rifiutò di riprendere il treno nella direzione opposta.

Era ancora incredula per l’esperienza appena vissuta. Mai avrebbe pensato di essere fobica. A Monza utilizzava l’ autobus per spostarsi senza nessun tipo di problema.

Eppure, con il treno le era successo. Stavolta Penelope assecondò l’istinto. Scelse un taxi per raggiungere la nuova sede di lavoro, dimenticandosi della disavventura fino al termine dell’attività lavorativa. Ma la sera, per il rientro a Monza, il panico vissuto la mattina le ripresentò il conto.

La salata riflessione la portò a due considerazioni: poteva prosciugare entro pochi giorni il conto in banca, fruendo ancora del trasporto taxi, oppure dare fiducia alla nuova esperienza. E magari, provare anche a sorriderci. Scelse rapidamente la seconda, affrettandosi a raggiungere la stazione ferroviaria di Milano Lambrate.

La sera, il popolo dei pendolari era ancor più numeroso del mattino. E questo le diede coraggio. Se in tanti riuscivano a scendere dal treno, perché mai lei non sarebbe riuscita nell’intento? Si trattava solo di una questione di volontà. Di coraggio e volontà, promise a se stessa.

Appena salita, Penelope decise di non sedersi, memore dell’esperienza disastrosa del viaggio di andata. Così, forse, le gambe avrebbero obbedito al comando, non mancando la stazione di Monza.

«Si sente bene?»

Penelope si limitò ad annuire, restando aggrappata alla maniglia posta a lato del sedile passeggero.

«È capitato anche a me» proseguì lo sconosciuto «vuole sedersi?»

E Penelope sorrise. Scosse la testa in segno di diniego, rivolgendo lo sguardo degli occhi blu cobalto verso l’uomo brizzolato che la stava osservando a sua volta. Aveva giusto bisogno di solidarietà gratuita.

«Scende a Monza?»

«Sì.»

«Le sarei grata se mi aiutasse per la discesa dal treno.»

L’uomo annuì, pur non capendo la difficoltà della bella donna. Pensava che avesse avuto un capogiro. Non vedeva difetti di deambulazione in lei. Anzi, le gambe affusolate che spuntavano da sotto il completo elegante erano un piacevolissimo spettacolo a cui non voleva rinunciare.

Così l’ assecondò.

«Io sono Alberto, piacere!» disse, soltanto, tendendole una mano.

Penelope la strinse, sentendosi meglio. Ancora non staccava la mano sinistra dalla maniglia del sedile, ma parlare le stava facendo bene.

«Penelope» gli rispose.

«Ancora quattro fermate e saremo a Monza.»

La donna annuì, stringendo le labbra, ma stavolta non era il panico a parlare. I piedi stretti nelle décolleté” color carne, tacco dieci, le rendevano difficile pensare ad altro che non fosse l’insolita situazione in cui si trovava.

Era abituata ai tacchi fin da ragazzina. Persino quando si spostava in bicicletta non rinunciava mai all’eleganza del piede femminile fasciato da una scarpa d’eccezione, come la “Mary Jane”, ad esempio, con il cinturino nero di vernice risultava comoda e affascinante al contempo. Eppure, adesso i piedi le dolevano terribilmente. Ed era un evento inspiegabile per lei.

«Monza, stazione di Monza» pronunciò finalmente la voce elettronica in filodiffusione e Penelope sospirò.

Strinse fra le sue la mano dello sconosciuto e si preparò a scendere dal treno. Impresa che si rivelò più difficile del previsto.

A differenza del treno del mattino, munito di porte a chiamata con apertura automatica, il mezzo aveva maniglie di color rosso pomodoro.

Naturalmente, fu Alberto a proporsi. Cercò di aprire le ante del vecchio treno regionale con tutta la forza che aveva, non appena il treno si arrestò.

Ci riuscì solo al terzo tentativo, imprecando contro non si sa quale dio della meccanica.

Le porte sferragliarono, ma obbedirono finalmente al comando, consentendo ai viaggiatori di scendere dal treno.

E Penelope sorrise, ringraziando la provvidenza che le aveva fatto incontrare Alberto.

Dopotutto, la prima giornata a Milano si era rivelata sorprendente.

Era questo il bello della vita, lasciarsi sorprendere dalle esperienze impreviste e farne tesoro.

Penelope aveva imparato tanto di sé, compreso come gestire un attacco di panico, e aveva conosciuto un nuovo amico.

Soddisfatta di come fosse sopravvissuta al primo giorno sul treno, non diede retta a nessuno dei consigli che le propinarono i suoi familiari, informati dell’accaduto.

In particolare, alla vocetta stridula di sua madre che al telefono la implorava di non recarsi al lavoro, l’indomani.

«Prendi malattia. Devi capire perché ti è successo» la implorò ancora la sua anziana genitrice.

«È stata provante, ma domani andrà meglio, ma’. Mi basta solo dormire bene stanotte!» concluse Penelope, serafica.

Del resto, Alberto le aveva promesso di esserci e, comunque, i passeggeri non mancavano a Monza. In ogni caso avrebbe trovato qualcuno disposto ad aiutarla.

Il mattino seguente Penelope aveva recuperato le forze e persino il buonumore, nonostante fosse in netto ritardo sulla tabella di marcia.

Arrivata in stazione, non vide Alberto, ma non se ne preoccupò.

Doveva farcela, anzi, poteva farcela anche da sola. Salì sul mezzo e riuscì persino a mantenere l’ equilibrio senza aggrapparsi subito a un sostegno.

Una scarica di adrenalina la pervase.

Il successo la spronò a recuperare minuti preziosi, decidendo di camminare anche lei tra le carrozze per portarsi il più avanti possibile e risparmiare tempo.

La passerella di intercomunicazione tra le vetture era aperta, aveva appena visto alcuni ragazzi attraversarla, poteva farlo anche lei!

Sempre sorridendo, Penelope affrontò il passaggio. Le porte si chiusero improvvisamente e con loro scomparvero sicurezza e fortuna, intrappolandola. Il panico la sopraffece. La gola si chiuse, impedendole di urlare.

Cercò di raggiungere l’oblò per premere il pulsante di apertura o almeno bussare sul vetro e richiamare l’attenzione dei passeggeri, ma non riuscì ad arrivarci. La sciarpa che indossava, una preziosa firmata Armani, le si impigliò fra le intercapedini, trattenendola, complice il forte vento che proveniva dall’esterno della vettura.

Borsa e PC le sfuggirono di mano, sbilanciandole la presa.

Cercò di girarsi per tornare indietro, ma una scarpa le rimase incastrata fra le due lamiere in continuo movimento che ricoprivano il pavimento. Bastò una frenata improvvisa del treno per fratturarle il piede. Alla seconda, le cedette il ginocchio. La voce ritornò dentro l’urlo di dolore.

Penelope svenne, accasciandosi al suolo, ma nessuno la vide cadere, nessuno fermò la corsa del treno che arrivò tranquillamente al capolinea.

Il corpo della donna fu rinvenuto solo più tardi dal personale viaggiante, adibito alla pulizia della carrozza.

Penelope non riprese conoscenza fino al ricovero ospedaliero.

Nei mesi successivi alla riabilitazione, ripercorse mentalmente la tragedia più e più volte, cercando di capire cosa fosse accaduto di così sbagliato da causarle tanto dolore.

Alla fine, pensò di averlo compreso. Aveva ignorato l’istinto senza ascoltarsi e questo le era stato fatale.

La paura pesa l’anima, è il debito che il corpo sopporta per sopravvivere. Ma, a volte, rivela anche l’unica strada giusta da percorrere in un mondo imperfetto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nuvole

Nuvole

– L’hai ordinata tu?
– Che cosa?
– Abbiamo una bambola in casa. Luca, ti rendi conto?
– Una che?
– È arrivata con Amazon. Sei l’unico che acquista on line. Quindi…
– Quindi cosa?
– Sii sincero, ammettilo!
– Ah ah… carina questa. Ok, lo ammetto, Isa. Questo è il tuo scherzo
migliore da quando hai tentato di mettermi a dieta.
– Non l’hai ancora dimenticato. Che noia!
– Eh, io senza biscotti per una settimana. Difficile riuscire a scordarlo.
– Hai ragione. Questo è il brivido. Il dipinto su tela di un uomo distrutto.
– Isa, Isa… Te lo giuro. Quella cosa non è mia!
– Eppure, guarda… c’è il tuo nome sul pacco. Oddio, Luca, chi può averti
donato una bambola?
– Ho in rubrica dei folli che potrebbero.
– No. Questo è il regalo di una donna.
– Perché?
– È trendy, snella e di stoffa. È una bambola che sa adattarsi a ogni
situazione. È un invito!
– Isa, sei seria? No, se scherzi, va bene. Ma finisce qui la cosa.
– Ok, ok, ok. Ora mi calmo. Bevo un bicchiere d’acqua e mi passa.
– Ecco, brava!
– Senti…Bruciamola!
– Isa, oh… ma la pianti?
– Dai, tesoro. Lo sai che amo solo te!
– È inutile che mi abbracci. Se mi ami, scegli. O lei o me!
– Te. Decisamente te, ma vorrei anche evitare una denuncia dei vicini per
fumi molesti ti pare? Ci sono! Potremmo regalarla alla tua amica, quella
con la bambina piccola!
– Luca, no. Non puoi farlo.
– Perché no?
– Teresa non ama le bambole.
– Tutte le bambine amano le bambole.
– Beh, Teresa no. Dice che la guardano.
– Guardano chi?
– Come chi? Teresa. Le bambole guardano Teresa!
– Hai ragione, non possiamo regalarla a lei.
– Infatti, non è carino alimentare le fobie altrui.
– Cambiamo meta. Che ne dici di tua madre?

 

foto da Pixabay

Shorts 480 caratteri

Per la serie, se sai scrivere puoi farlo anche in breve, tornano gli shorts. Così il Collettivo di TCN a partecipazione libera lancia la nuova sfida puzzle:

“Uno o più racconti (fino a 5) di qualunque genere in 480 caratteri spazi inclusi (il titolo del racconto è escluso dal conteggio caratteri) ma con l’utilizzo tassativo delle seguenti parole (con l’ordine che preferite): COLORE – SILENZIO – TRATTORIA – GATTO e MUTO (inteso come aggettivo).
Ecco i miei, raccolti nell’eBook 48 racconti in 480 battute…

 

L’orribile gesto

Alla trattoria “Cantailvento” tutti l’amavano eppure nessuno era riuscito a salvarla dall’orribile gesto. Con lo sguardo muto rivolto a terra, al colore porpora che si mischiava al marrone del pavimento rustico dove i resti giacevano inerti, ora gli ospiti le rivolgevano l’ultimo, straziante commiato. Anche il gatto rossiccio della locanda, un certo Ricò, rimaneva colpevolmente in silenzio. L’unica, l’ambita e pluripremiata quiche di lamponi ormai era perduta.

Gatto Goriot

Gatto Goriot, per gli amici GG, dialogò con la folla assiepata fra la trattoria e il muretto della proprietà in disuso. Il silenzio dei felini era interrotto dai miagolii brevi di Goriot che presentava al branco l’ anziano al suo fianco. L’uomo di colore sedeva muto accanto a GG, ma lo rimase solo per poco. A un cenno del suo preferito gridò la soluzione da tempo agognata: «lascito solidale!».

Goriot annuì, traducendo le parole in lingua gattese.

«Questa casa è già nostra.»

Superpotere

Quella sera il silenzio dominava gli ospiti in attesa. Un gatto dal colore indefinibile era entrato in trattoria, catalizzando subito l’attenzione del branco. Muto, sporco e affamato, il povero felino si era comunque inchinato di fronte alla padrona di casa, prima di avvicinarsi al cibo. Bastet ricambiò lo sguardo, ammaliata dal gesto elegante, e comprese. I cattivi trascorsi non lo avevano scalfito . Miagolò in risposta il suo nome. Flight era tornato a casa.

L’orrore a disegno

Muto, come il colore nefasto, il quadro se ne stava immobile su tavolo della trattoria, sorvegliato da JJ, il gatto tigrato. Nella stessa stanza, un uomo e una donna si scrutavano in silenzio da ore in cerca di una scusa per litigare o forse dell’ispirazione giusta per appendere l’opera. Avevano opinioni diverse sulla questione, ma su una cosa erano sempre d’accordo. Ci pensò JJ a risolvere il dramma. Fece pipì sul dannato orrore a disegno, riportando serenità nella coppia.

Echi

Una trattoria che non conosco. Io, il mio gatto e il silenzio spezzato da un eco. No, sbaglio. Sono più echi che raccontano un dove e un perché. Muto, avido solo di ascoltare le voci, osservo l’interno del locale dove ci troviamo.  La situazione singolare mi coglie impreparato. Sulle pareti vedo istantanee di me, della mia vita. Le foto hanno un unico colore, il mio.  È allora che comprendo, guardo il gatto, ricambiando l’ultimo saluto: io sono già morto.

 

 

Il desiderio di Saule

I diversivi erano pronti.

Il Nord stava già impazzendo grazie agli addobbi di luminarie e giostre natalizie.

E presto l’ossessione del Natale avrebbe raggiunto l’intero pianeta.

Un marketing decisamente impeccabile per l’occasione.

A Saule spettava adesso l’ onere e l’ onore di gestire l’evento nella Notte Santa.

Tutto doveva essere perfetto. Così come lo era la sua persona.

Controllò la celebre Slitta, verificando che rispettasse i parametri di sicurezza e annuì al suo capo.

Babbo Natale gli sorrise in risposta, invitandolo a partecipare alla festa del Villaggio.

Lui vedeva sempre il buono negli altri.

E anche con Saule era convinto di averlo percepito, affidandogli la Security del suo circo. Ma Saule rimase al suo posto.

Ancora poche ore e il suo desiderio si sarebbe avverato.

Pregustò il momento.

Con Santa Claus in volo, Saule aveva una notte a disposizione, finalmente libero di trucidare un umano nella notte più magica dell’anno.

 

La via dispersa

Raggiunsero il ritrovo prima dell’alba. Un cupo bagliore li conduceva attraverso il sentiero.

La Via dispersa stava chiamando, ciascuno aveva un compito per riavvolgere il filo invisibile che dominava il tempo. Quello che cercavano richiedeva contemporaneità, molteplicità e integrazione. L’impresa bizzarra non aveva regole già scritte nondimeno il gruppo si preparava ad agire.

L’immortalità era la meta, il ricordo delle vite precedenti il viaggio.

I quattro arrivarono quasi simultaneamente, salutarono con un inchino la Luna piena di ottobre, per poi varcare la Soglia della caverna Oscura.

Annie, studiosa di occulto, Vivien, dispensatrice di ricordi perduti, Monique, novizia nelle dinamiche energetiche e Gabriel, esperto di negromanzia, si disposero per la seduta. Appoggiarono le mani a terra, recuperando il calore benefico, rilasciato dalla caverna, che la passeggiata notturna aveva dissolto.

Gabriel accese il grande e rosso cero votivo, pronunciando la formula, ripetuta anche all’unisono dagli altri:

 

«Il soffio è acceso. Noi siamo il cerchio, la luce e l’ombra. Il velo alzato nelle trame del tempo. A quelli che sono, che erano, e a quelli che saranno noi imponiamo il rito: che nessuno entri, che nessuno esca senza consenso!»

In quella notte, la notte fosca del Castoro toccava a Monique affrontare i suoi demoni e lo fece

nell’unico unico modo che conosceva.

 

Siena, il Campo, 12 agosto 1880.

La Piazza è già in fermento per la preparazione del Palio. La contrada dell’Oca gareggia con il suo miglior fantino, ma la speranza di replicare la vittoria di Pirrino del ‘77 è solo un lumicino.

«L’Oca è qui, l’Oca vive!»  urlo, alzandomi e battendo le mani.

Mi trovo ai margini della Conchiglia, nella parte alta della Piazza. Dalla mia posizione sopraelevata riesco a vedere la gente che si accalca per assistere alle prove. I cavalli nitriscono in lontananza, sentono la competizione almeno quando noi!

Qualcosa distrae la mia attenzione dalla festa.

Inesorabile, nero come il suo cappuccio calato sul volto, vedo un cavaliere in sella al suo destriero che guarda nella mia direzione. Il cavallo si impenna o forse è il suo fantino che lo sprona per poi partire al galoppo, lasciando la Piazza.

Mi risiedo, appoggiando le mani a terra. Ho avuto l’impulso di seguirlo e non è da me lanciarmi nell’ignoto senza credo. Sì, perché ho la strana sensazione che lo sconosciuto non sia di Siena e le regole della Città vietano rapporti con gli stranieri. È la prima volta che mi accade e non ne sono contenta. Non piacerà nemmeno alla mamma, per non parlare della nonna. Devo tacere, nascondere il segreto dentro di me e sperare di non rivederlo mai più!

Corro in negozio, mia madre mi aspetta al bancone. Lo sguardo è cupo perché sono in ritardo per l’ennesima volta.

«Tu non sai la fortuna che hai qui» tuona con la sua voce da contralto.

Chiudo gli occhi, mordendomi le labbra. Non è il caso di risponderle se voglio uscire questa sera.

«Fuori da Siena sei solo una femmina da sfruttare e distruggere. Usa la testa» mi dice ancora, mimando il gesto e toccandosi la tempia.

Non mi stupisce il suo intuito. Non le sfugge mai niente di me. Sicuramente mi avrà osservato di nascosto. Dalla vetrina del negozio è ben visibile Piazza del Campo.

Inizio la preparazione del panforte bianco. Non ha ancora un nome.  Lo proporremo per la prima volta al Palio. Mancano solo quattro giorni e siamo in ritardo con la produzione. La novità dovrà far luccicare gli occhi a tutti i senesi e anche agli stranieri che arriveranno per assistere al Palio.  Almeno questa è l’intenzione mentre peso coscienziosamente gli ingredienti per la preparazione dell’impasto.

 

50 grammi di candito di scorza d’arancia

300 grammi di candito di popone

300 grammi di mandorle pelate

250 grammi di zucchero bianco
120 grammi di farina 00
005 grammi di cannella di Ceylon in polvere
005 grammi di noce moscata in polvere
005grammi di vaniglia in polvere
005 grammi di zucchero vanigliato

E ricomincio a preparare un’altra ciotola di ingredienti. Non ho ancora il permesso di impastare, non sono brava con i dolci. A questo ci pensa mio padre, lo Speziale d’eccellenza della famiglia.

Quando l’ultimo cliente esce dal negozio, finalmente sono libera di appendere il grembiule e andarmene.

È una serata tranquilla a Fontebranda. Sotto i tre Archi, nella mia Contrada, posso passeggiare anche da sola.

Le tre vasche, il nostro vanto, di solito sono in piena attività. Ma non oggi. Tutti sono alla festa e la prima vasca, quella dell’acqua potabile è libera. Bevo la fresca acqua della Fonte. Vicino a me, un gatto approfitta della tranquillità del Rione per abbeverarsi a sua volta nella seconda vasca, quella dedicata all’abbeveratoio per animali. La terza raccoglie l’acqua scartata dalle prime due e funge da lavatoio. Anche questa è deserta, segno che i Senesi sono già pronti a scatenarsi al Campo per i riti serali.

Guardo dentro l’acqua e al riflesso di me stessa si aggiunge un’ombra. La figura scura indossa ancora il cappuccio. Mi giro e gli sorrido, riconoscendo il cavaliere sconosciuto che mi ha ammaliato questa mattina. Aspetta me, lui vuole me!

Il cuore aumenta i battiti, pompa sangue nelle vene, sangue che cade a terra mentre scorgo il suo volto. Gocce dapprima, poi scorre via, è un fiume che travolge tutto, persino il desiderio.

Porto le mani alla gola, al taglio che brucia, succhiandomi energia.

Ruoto e cado dentro l’acqua, con gli occhi aperti finché lo vedo: il teschio di un demone ora urla il mio nome!”

 Vivien appoggiò la sua mano su quella di Monique. Il contatto interruppe il racconto, permettendo alla donna di riprendere lo stato di coscienza attuale. Il passaggio si compì senza problemi. Il cerchio intatto, ancora chiuso, aveva permesso un ritorno sereno.

«Non era un demone» disse Annie.

«E allora chi?» replicò Monique. L’avventura aveva scossa, ma non al punto da perdersi il finale.

«Uno spagnolo, forse un uomo di Carlo V. Sul fondo di una delle due vasche ora interrate, la leggenda racconta che vi sia una porta» intervenne Gabriel.

«Non ha alcun senso» riprese Monique. «Ho visto un teschio e il ghigno di un demone che pronunciava il mio nome, proprio come ora guardo te!»

«Non è rilevante» sostenne ancora Gabriel, per nulla impressionato dalla sicurezza della novizia «dalla porta si accede a cunicoli sotterranei dove fu nascosto un forziere alla fine del XVI secolo. Si racconta anche che lo scrigno fosse dotato di trabocchetti mortali. Potresti aver visto il destino che attendeva l’assassino della ragazza».

Il canto del gallo pose fine alla seduta. Non c’era più tempo. La luce del sole penetrava già l’Antro, cacciando l’oscurità nel fondo della caverna, alimentata da una fonte miracolosa.

«Il soffio è acceso. Noi siamo il cerchio, la luce e l’ombra. Il velo alzato nelle trame del tempo. A quelli che sono, che erano, e a quelli che saranno noi imponiamo il rito: che nessuno entri, che nessuno esca senza consenso!»

La formula spezzò il legame, il cerchio si aprì, consentendo al gruppo di riprendere il cammino, fino alla prossima riunione.

Un passo dopo l’altro, una vita dentro una vita, il percorso era ancora lontano sulla strada per l’Eterno.