La Soglia Oscura
Racconti

MIA PER SEMPRE
di Annamaria Ferrarese

1. I fatti.
Finalmente era libero! Doveva ringraziare i suoi problemi cardiaci per questo. Era stato arrestato e condannato a quattro anni di carcere con l’accusa di “atti osceni in luogo pubblico”. Avrebbe risolto con una multa, anche se salata, se non fosse stato per il luogo in cui aveva mostrato la sua eccitazione. Che sciocco che era stato! Avrebbe dovuto riflettere. Mai in prossimità di scuole, parchi o asili. Ora, grazie al suo avvocato, era riuscito ad ottenere la condizionale, dopo solo un anno dalla condanna.
Non erano i bambini a stimolare la sua perversione, lui era li per la maestra, giovane, bruna e così sinuosa. Era a lei che stava mostrando la sua virilità, il suo membro eretto, che languiva il calore umido del suo corpo. Gli ricordava sua madre. Una donna bellissima che gli aveva preteso più attenzioni di quelle che un figlio dovrebbe dare a sua madre, e poi lo aveva abbandonato. Anche se gli aveva giurato che sarebbe stato con lui fino alla morte, lo aveva lasciato. Ma con la giovane maestra non sarebbe accaduto, di questo ne era certo.

2. Lei.
Linda rientrava dalla riunione genitori insegnati, la prima di quell’anno scolastico. L’aria era ancora tiepida, e in giardino, le rose e gli ibisco resistevano ancora alle gelate notturne, dando un tocco di colore al giardino ordinato. Le camelie avevano messo i loro boccioli, che a breve sarebbero sbocciati, emanando il loro avvolgente e intenso profumo. Mentre ammirava i suoi fiori, la sua attenzione cadde nell’aiuola sotto la finestra del bagno. Alcuni fiori di cactus, sbocciati quella notte, erano spezzati e giacevano sul terreno, ormai stanchi. Controllò la finestra, era rotta, ma nessuno poteva sapere che non si chiudeva bene, se non l’avesse spinta e comunque sembrava a posto. Prima di entrare in casa, salutò con la mano il vicino, intento a potare la siepe. Vederlo li le diede sicurezza ed entrò guardinga. L’ingresso in penombra l’accolse silenzioso, come il resto della casa. Lentamente si addentrò e cauta controllò le altre stanze, fermandosi sulla porta. Tirò un sospiro di sollievo quando vide che tutto era in ordine come lo aveva lasciato. Probabilmente i “vivaci” bambini dei suoi vicini avevano calciato il pallone troppo forte, facendolo finire sui suoi cactus. Finalmente si liberò della borsa, che abbandonò su una delle poltrone. Iniziava ad avvertire un leggero languore ed andò in cucina. Trasse dal frigorifero il contenitore nel quale era rimasta dell’insalata di pollo del giorno prima. Le sarebbe bastata. Avrebbe passato il pomeriggio a trovare un sistema semplice e comprensibile per aiutare i suoi alunni, che trovavano ancora difficoltà nello svolgere le moltiplicazioni a due cifre.
Si stiracchiò, e dopo aver risistemato il materiale nella borsa, diede un’occhiata al display del cellulare per vedere l’ora. Il tempo era passato in fretta, mentre lavorava. Un messaggio di sua madre le ricordava che l’aspettava per cena. Si alzò pigramente, non ne aveva granché voglia. Avrebbe preferito starsene a casa e ordinare una pizza, che avrebbe consumato comodamente sul divano, guardando un vecchio film e sarebbe andata a letto presto. Però non poteva deluderla, erano settimane che l’aveva invitata, così si costrinse a darsi una rinfrescata e a raggiungere sua madre. Entrò nella camera da letto e preparò i vestiti che avrebbe indossato, posandoli sul letto. Fece scivolare via i jeans e si diresse verso il bagno a fare una doccia.

3.Preliminari.
Non era stato difficile scoprire dove abitasse, era stato furbo, l’aveva seguita a debita distanza.
Aveva atteso che uscisse e dopo essersi assicurato che non ci fosse in giro nessuno, si era addentrato nel suo giardino. La porta era chiusa, come aveva immaginato. Con prudenza controllò le finestre, era una zona tranquilla, chissà, magari una dimenticanza. Il suo cuore ebbe un sobbalzo per l’emozione, quando vide che una delle finestre aveva ceduto sotto la spinta della sua mano. Si guardò fugace intorno, ed in un attimo fu dentro. Richiuse la finestra, era rotta, non si agganciava, un vero colpo di fortuna! Un’improvvisa erezione lo sorprese. Era dentro, era a casa sua, un intenso profumo di vaniglia lo accolse. Finalmente avrebbe potuto dare sfogo alle fantasie, che lo avevano tormentato per tutto il tempo della sua reclusione, e a nulla era servito masturbarsi fino allo sfinimento, la sua frustrazione era cresciuta all’inverosimile. Si tolse le scarpe le pulì per bene, e tolse le poche tracce di terra che aveva portato dentro. Percorse lo spazio che lo divideva dalla camera da letto, come fosse in un santuario, estasiato, felice. Si rimise le scarpe e scivolò sotto il letto, il suo bellissimo e profumato letto. Sdraiato chiuse gli occhi per costringersi alla calma. Pensò al momento in cui l’avrebbe sorpresa nel sonno, al momento in cui avrebbe stretto le sue mani intorno al suo esile collo. Poi l’avrebbe baciata teneramente fino ad assaporare il suo ultimo momento. Guardando nei suoi occhi la sorpresa e poi il terrore, ed infine la supplica, fino a quando il suo sguardo si fosse spento nel suo, all’ora e solo all’ora l’avrebbe posseduta e sarebbe stata sua per sempre. Pazientemente aveva atteso che rientrasse, ma resistere, sapendola in giro per casa, era sempre più difficile. Sentì i suoi passi raggiungere la camera. Dalla sua postazione poteva vedere i suoi piedi, andare dall’armadio al letto. Un altro sobbalzo cardiaco lo sorprese, quando vide i suoi jeans scivolare fino al pavimento. Deglutì, mentre un orgasmo prematuro invase di calore i suoi slip. La guardò allontanarsi verso il bagno. Si stava preparando per uscire! Avrebbe dovuto aspettare ancora! Quante volte aveva immaginato la scena di sé nudo, che la osservava dormire. Farla emergere dal sonno di soprassalto era importante, troppo importante! Possederla nel suo letto ancora caldo, anche se il suo corpo, piano, piano, si sarebbe freddato. Avrebbe dovuto attendere ancora. Una lunga e straziante attesa, quasi un’agonia. Il getto della doccia si arrestò improvvisamente. La immaginò ad avvolgersi in un soffice asciugamano candido, immaginò le sue spalle imperlate di gocce d’acqua, come rugiada su petali di rosa. Avvertì una sensazione di formicolio al braccio, la sua posizione iniziava ad essere scomoda. Poi vide i suoi piedi nudi camminare leggeri verso di lui. Ma cos’era quella sensazione di pesantezza sul petto che sentiva? Gli doleva anche la schiena. La posizione, doveva essere per forza la posizione. Quante ore era stato sotto quel letto? Dieci? Undici ore? L’asciugamano cadde sul pavimento poco distante dai jeans. Una fitta tremenda attanagliò il suo torace inchiodandolo a terra senza respiro. No, non adesso! Non prima di renderla sua! Morire dentro il suo corpo senza vita, quella si, che sarebbe stata una fine paradisiaca. Tentò di allungare una mano verso la sua caviglia, così vicina. Uno sforzo vano. Smise di respirare, con lo sguardo fisso nel vuoto, mentre un rigagnolo di salive gli colava dall’angolo della bocca.
Il cellulare squillò, sul comodino.
– Si, mamma, certo che mi ricordo della nostra cena, stai tranquilla. Sono appena uscita dalla doccia, il tempo di vestirmi e salto in macchina. A più tardi. –
Ore 19,30, il rombo del motore dell’auto di Linda si allontanava sul vialetto, mentre la casa sprofondava nel buio e in un silenzio assordante. Presto l’odore di morte avrebbe sostituito il profumo di vaniglia.