PARANOIA
di Monica Porta
La giornata iniziò male, e benché io non sia un tipo superstizioso credo che in giorni del genere la cosa migliore sia non accettare incarichi, anche se la ricompensa sappia di Eden esentasse. Perciò chiusi il portatile ed uscii a svagarmi.
Camminavo senza una meta precisa ma non ero affatto tranquillo. La mente mi costringeva a valutare, a soppesare ogni passante. A ore nove un anziano stava procedendo a passo lento, cadenzato. L’espressione stanca sapeva di fasullo. Alle sue spalle, due uomini di chiara etnia araba discutevano fra loro mentre una donna, fasciata nel suo burka, li seguiva a qualche passo di distanza dai due. Brutto segno. La città stava mutando e nessuno vi badava, a parte noi. Ce n’erano tanti come me che vagavano in cerca dell’incarico perfetto.
Ero anch’io un bersaglio, una micro tessera del tutto, ma non sarei stato una preda facile. Dopo anni di addestramento fiutavo il pericolo. Credevo nelle mie capacità, le allenavo ogni giorno. Precisione e controllo, i miei due dogmi di fede, segnavano il tempo.
Entrai nel bar, e mi sedetti cercando una postazione difendibile, sparando al volo un pizza e coca. La cameriera mi lanciò un’occhiata tra l’incredulo e il divertito mentre prendeva la mia ordinazione ma l’ignorai. Stupida donna… solo una stupida poteva svendersi per un tozzo di pane. I riflessi lo intravidero per primi. Nascosto, lì nell’angolo, mi scrutava. Lasciati i resti della pizza, mi avvicinai rasente al muro. Mi invitava ad azionarlo, lo avvertivo, così non resistetti alla tentazione di provare ‘Makito’, il videogame per il quale stavo sbalestrando. Inserii i gettoni ed il gioco prese vita.
Sentivo le armi pulsare tra le mani mentre affrontavo l’intera schiera di desperados che lo affollavano. Bang, bang…le immagini si susseguivano rapide colpendo la mia retina per poi rimbalzare sul video. Mente e mani fuse a realizzare il tiro, mi sentivo il fruscio, quell’adrenalina irresistibile sfiorarmi il corpo. Bang, bang…e poi più niente, di nuovo lo sconforto. L’emozione che perdeva potenza e mi lasciava il vuoto dentro.
La partita terminò…game over. Qualcosa non andava, lo sentivo, dovevo tornare a casa. Vivere il progetto; sbrigarmi a recuperare le ore perdute. Nella penombra della mia stanza ripassai il copione che ormai conoscevo a memoria. L’ubicazione dei locali, le videocamere di sorveglianza, per poi passare al lavoro di routine. Estrassi dalla custodia la mia MP5. Accarezzandola, avvertii il brivido freddo che ogni volta sapeva suscitarmi. Una mitragliatrice di precisione merita rispetto, difficile da manovrare ma io, proprio io la capivo al volo. La preferivo alla GP3 senza alcun dubbio. Più corta e maneggevole in ambienti chiusi anche se il meccanismo di chiusura era lo stesso per entrambe. Le armi erano la mia passione fin da bambino e mi stavano chiamando; le uniche capaci di offrirmi l’attimo. L’avvicinai alla mia fronte e rimasi senza fiato.
I miei sapiens avevano sempre avallato il mio interesse, dovevo a loro la mia preparazione. Occorre provare certe cose, non basta studiare su carta per diventare esperti della materia. Senza contare che i libri non regalano emozioni tangibili. Sono lì, sembrano beffarsi di te e delle tue capacità.
I giochi, invece, nutrono la mente, la addestrano alla prova su strada. E sono mille volte più divertenti. Sfiorai con lo sguardo la mia collezione di videogiochi da guerra. Una, anche due, ad ogni festa comandata, le loro custodie mi avevano riempito lo scaffale. Ero invidiato per questo dagli amici. Così chiusi la porta. C’era gelosia nei loro sguardi, lo avvertivo, e poi non me ne fregava niente. Feste, bevute in compagnia non facevano per me. Meglio una partita on line per liberare la tensione. Il mio portatile bippava, o forse ero io che percepivo il battito del suo cursore nella mia testa. Attesi la linea e poi entrai inserendo la password criptata. Lui era lì ad attendermi. Non ne conoscevo il nome. C’era però la sua promessa, l’Eden a portata di mano, rigorosamente a sei zeri ed esentasse. L’offerta era ancora valida. La data ora segnava quella di domani. Lampeggiava a più colori, il segno che attendevo. Controllai il video amatoriale. Risentii le mie parole scandire l’aria: “La vita è miseria ed io combatterò solo..”. Volevo che il messaggio arrivasse forte e chiaro. Ricontrollai il percorso a piedi e l’equipaggiamento. Ero pronto. Lo sarei stato anche questa mattina se una pattuglia non avesse battuto la mia via. Il fatto insolito mi aveva bloccato rischiando di rovinare il piano. Spensi la luce. Domani mi attendevano a scuola. Domani sarei stato performante.