LA NOTTE DEL LIUTAIO
di Giovanni Maria Pedrani
Il campanello strimpellava insistente nella notte, confondendosi con il suono metallico delle gocce che battevano violente sulle grondaie.
«Arrivo! Arrivo!» urlò il liutaio. Abitava in una casa di cortile. Attraversò il balcone a ringhiera che correva lungo tutto il primo piano, fece le scale e, riparandosi con l’impermeabile mentre si affrettava nel patio, raggiunse il portone di legno. Appena vide dallo spioncino chi era, si prodigò per aprire i chiavistelli il più velocemente possibile.
«Maestro!» esordì alla figura in mantello nero e cappello che gli si poneva davanti «Maestro! È successo qualcosa? Posso fare qualcosa?»
«Ho bisogno del vostro aiuto, Santieri!»
«Certo! Se posso… ma a quest’ora della notte…»
Si scostò umile per far avanzare l’ospite: «Si accomodi in bottega»
Attraversarono il cortile. Il liutaio cercava di proteggersi con il cappotto dalla pioggia correndo goffamente. Il Maestro, nel suo incedere calmo e fiero, sembrava non venisse minimamente scalfito dall’acqua battente.
Il liutaio accese il lume. Una calda luce gialla illuminò il suo laboratorio. Sagome di violini incompiuti pendevano dal soffitto. Sul tavolo da lavoro giacevano attrezzi e strumenti nella loro fase embrionale che facevano intuire, con la loro linea, il profilo che avrebbero avuto una volta nati.
Riccioli appena abbozzati ancora coperti di trucioli e segatura, coperchi in tensione, archetti e ponti appena schizzati. Un odore di legno e di resina. Era la bottega del liutaio.
«Mi dica, Maestro, in che cosa posso esserle utile?»
«Voglio il mio violino!»
«Ma Maestro, l’ho appena iniziato! Se non ricorda me l’ha commissionato appena qualche giorno fa.»
«Io ne ho bisogno adesso!» rispose impetuoso il Maestro «Domani sera ho un concerto e mi serve!».
«Ma non può usare quell’altro? Quello che le ho preparato l’ultima volta?» «Si è rotto!» tuonò abbassando gli occhi il violinista.
«Maestro, le avevo detto di prestare molta cura» azzardò con molto rispetto «sono oggetti resistenti, ma… delicati! Dovrebbe essere usata un po’ di attenzione…»
«Che cosa vorreste insinuare, che l’avrei forse rotto di proposito?»
«Non mi permetterei mai, Maestro… è solo che anche l’altra volta…»
«Sarai stato tu che l’hai costruito male! Comunque ne ho bisogno per domani mattina!» riprese tornando al voi «Io vi pago ed esigo di essere esaudito!»
«Temo di non poterla accontentare, Maestro. Mia moglie è incinta. Purtroppo non posso lasciarla sola durante la notte. In casa non c’è nessuno. Domani quando arriverà la serva potrò…»
«Questo è un vostro problema, Santieri! Domani mattina partirò per il concerto. Se non avrò il violino con me, voi avrete finito di lavorare, e non solo per me, ma per tutta la città!»
«La prego, Maestro» supplicò il liutaio «mia moglie non è stata bene, il bambino potrebbe nascere… oppure delle complicazioni… non può usare uno dei suoi violini, ne ha così tanti!»
«Non dite sciocchezze, Santieri, sapete benissimo che devo utilizzare uno dei vostri! E comunque non si faccia pregare. Qui c’è il danaro!» concluse gettando con superbia una sacca di monete sul tavolo «Con i suoi poteri una notte sarà più che sufficiente!»
«Sono solo superstizioni, Maestro! Sono dicerie, non ho alcun potere, non uso la magia. I miei strumenti sono il risultato di tanta passione e autentico lavoro!»
«E allora dedicatevi al lavoro, se non volete perderlo!» rispose stizzito. E uscì dalla bottega.
Anche questa volta aveva dovuto subire. Anche questa volta i capricci di un signorotto l’avevano costretto a cedere. Guardò la sacca di danari sul tavolo. Non era per i soldi che lo faceva, ed era vero. Sapeva che quel lavoro era la sua vita, e se fosse rimasto senza, la sua famiglia sarebbe restata senza mezzi per sopravvivere. E poi adesso stava arrivando l’erede!
Quell’uomo malvagio aveva il potere di far crollare la sua fortuna, la sua famiglia, il suo lavoro, tutto insomma.
Si mise il camice e incominciò. Alcuni pezzi erano già pronti, ma ci vuole tempo per preparare un ottimo strumento. Ci vogliono giorni, a volte settimane, perché una certa curvatura, una particolare levigatura possano produrre l’effetto desiderato. Ma lui aveva una sola notte!
Conosceva tanti trucchetti per produrre quella magia, e questo l’aveva reso celebre in città. Era il migliore. Talmente capace che la sua abilità aveva fatto credere alla gente di avere dei poteri paranormali, di essere una sorta di stregone della liuteria. Ma quando si fa un certo mestiere, quando si riescono a dominare elementi come il legno, il metallo, il corno, l’avorio per produrre suoni celestiali, si capisce che i confini tra alchimia e chimica, tra arte e stregoneria, sono così invisibili da rendere l’artigiano un essere più vicino a Dio di quanto si possa immaginare!
Gli ci volle tutta la notte per preparare il suo ultimo gioiello, e chissà quanto era stato aiutato dalla furia della tempesta che l’aveva accompagnato per tutto quel tempo!
Quando si tolse il camice aveva già smesso di spiovere e il campanile della chiesa accanto stava battendo quattro rintocchi.
Salì la scala esterna ed entrò finalmente in casa.
Uno strano gelo lo avvolse. Aveva appena lasciato il calore della bottega e lì, nella sua dimora, il camino era ormai freddo. Entrò nella camera da letto. Le lenzuola, intrise di sangue, lasciavano la moglie completamente scoperta in una posizione innaturale. Dal suo grembo sembravano fuoriuscire ancora dei fluidi corporei. Il bambino era poco lontano, strozzato dal suo stesso cordone ombelicale. La sua donna, completamente dissanguata, aveva ancora le braccia tese sul comodino che aveva fatto cadere, insieme a cuscini, oggetti di ogni genere, ora inutilmente sparsi sul pavimento. Gli occhi esangui erano ancora aperti per il terrore e la vana disperazione, su un viso con ormai solo il pallore della morte.
Quanto doveva aver urlato, quella notte, per farsi sentire, per richiamare l’attenzione, mentre dal suo ventre cercava di aprirsi un varco una nuova vita! Entrambi sfiniti esanimi negli stenti!
* * *
Il Maestro s’inchinò per raccogliere gli applausi. Ancora tutto esaurito! Ammirò compiaciuto la platea, poi concesse il suo amorevole sguardo ai balconcini per terminare il suo ossequio nella direzione del palco reale.
Un ultimo scatto determinato per comporre il ciuffo che gli aveva invaso la fronte e poi… occhi socchiusi dall’ispirata concentrazione! Violino sotto il mento e via!
L’archetto attaccò lo strumento nell’incipit del concerto, una meravigliosa sinfonia di Beethoven!
Ma appena il primo crine di cavallo strofinò la corda, si sprigionò un suono lamentoso da quella cassa di legno. Il Maestro sgranò gli occhi cercando di privare il suo braccio di forza, ma tutto il suo corpo era dominato dal violino che ormai aveva preso il potere imponendo una straziante nenia funebre.
Il polso correva deciso su quelle corde su cui sfregava il cordone ombelicale che il liutaio aveva tagliato in strisce sottili. Il rimbombo della cassa armonica era lancinante, quella custodia di legno che l’artigiano aveva dipinto con il sangue del figlio e della moglie mescolati, lasciando un colore ambrato e profondo come il suono che avrebbe poi, volutamente, prodotto.
Il Maestro si agitava preso dalle convulsioni in un vano tentativo di terminare l’agonia. Il pubblico era così sconcertato da non avere fiato per fischiare l’esibizione.
Era fisicamente impossibile!
Non si sa quanto durò quello “spettacolo”. Gli ascoltatori non riuscirono ad abbandonare il teatro fino a quando non videro il violinista esanime sciogliersi nel dolore, prostrarsi di fronte alla forza di una musica, non sua, piegarsi davanti alla vendetta dell’amore!
Tratto dalla raccolta di racconti noir
“Self-Control – Confezione da 20 pillole nere”
(ISBN 9788897783022)
di Giovanni Maria Pedrani
Per gentile concessione de Il Ciliegio Edizioni
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