La Soglia Oscura
Racconti

LIBERAMI DAL MALE
di Annamaria Ferrarrese

1.

Era un caldo pomeriggio di fine agosto, quando Stefano percorreva la silenziosa e deserta via Manno, trascinando il trolley e portando sulle spalle il pesante zaino. L’appuntamento con la padrona di casa era fissato per le 15,30. Purtroppo non aveva avuto fortuna quando aveva fatto richiesta per un alloggio alla “Casa dello Studente”, quell’anno universitario avrebbe condiviso un appartamento con altri tre colleghi. Raggiunse il numero civico riportato sull’annuncio, cercò un campanello, che non trovò e bussò forte sulla fatiscente porta in legno e attese. Una finestra si aprì sopra la sua testa.
– Sei tu quello nuovo? – Chiese il ragazzo che si era affacciato.
– Non proprio nuovo, ma si, credo di essere io. – Sorrise, ma il ragazzo alla finestra non colse la battuta.
– Dammi un momento e scendo ad aprirti. –
Non passò molto tempo che lo stesso ragazzo aprì il portone presentandosi.
– Ciao, io sono Carlo! –
– Stefano, piacere! –
– Vieni ti faccio strada. Dammi lo zaino, ti do una mano, ci sono due rampe di scale belle ripide. –
– Ti ringrazio. Aspettavo la donna con la quale ho preso accordi. –
– Ines. E’ una vecchietta gagliarda, ero a casa sua quando mi sono affacciato. Non sta tanto bene e mi ha chiesto di farti vedere la casa, per la firma del contratto c’è tempo. –
La casa era datata, aveva bisogno di un’urgente ristrutturazione che probabilmente non avrebbe visto per molti anni in avvenire, ma c’era tutto quello che serviva. Cucina e bagno da condividere ma almeno la stanza era tutta sua!
Disfò i bagagli, anche se non c’era aria condizionata, gli ambienti erano freschi per via dello spessore delle vecchie mura risalenti al 1800.
Era affacciato alla finestra, quando un altro degli ospiti della signora Ines entrò nella sua camera.
– Ciao Stefano, io sono Andrea. –
– Ciao. –
– Guardi il panorama? – Chiese affacciandosi accanto a lui.
– Si, non è niente male. –
– Finisci di sistemarti, dopo cena ti mostriamo il nostro posto segreto e ti posso assicurare che da li, il panorama, è mozzafiato. –

Stavano ancora cenando quando si sentì un rumore di chiavi e qualcuno entrare dalla porta d’ingresso.
– Ehi, ci siete? –
– Siamo in cucina, Giacomo! –
Dopo le dovute presentazioni, in cui Stefano apprese che Giacomo era l’ultimo degli inquilini, si prepararono a svelare il misterioso “posto segreto” al nuovo arrivato.
– Allora sei pronto? –
– Sempre! –
Carlo gli osservò i piedi. – No, quelle non vanno bene… –
– Cosa, le infradito? Ma se Andrea è scalzo! – Rispose divertito Stefano.
– Credimi è meglio scalzi che con quelle. – Ribatté Andrea.
Stefano era sempre più curioso e si mise scalzo anche lui. Uscirono sul pianerottolo, Giacomo si affacciò dalla ringhiera della scala. – Ok, aprite, ma fate piano. –
Stefano si guardò intorno, ma cosa dovevano aprire? Li non c’erano altre porte.
Poi Andrea afferrò un lungo bastone con un gancio, che era appoggiato in un angolo, Stefano lo guardò incuriosito, fu allora che i tre ragazzi indicarono la botola in acciaio sul soffitto.
– Una terrazza? – Chiese, parlando sottovoce, era evidente che si trattava di qualcosa che non potevano fare.
– Ma quale terrazza? Vedrai. –
Carlo fu il primo a salire, seguito da Andrea, che lo incoraggiò a seguirlo, Giacomo gli fu subito dietro.
– Cazzo, ma siete fuori? Siamo sul tetto! –
– Non agitarti amico e guardati intorno, ammira la meraviglia! –
Ed era vero… un susseguirsi di tegole brune screziate da macchioline verde scuro, di qualche giardinetto sulle terrazze illuminate dei palazzi, si rincorrevano fino al porto, illuminato dai lampioni. Sotto quella pallida luna, quasi piena, le cupole di alcune vecchie chiese rendevano la vista mistica e spettacolare. Restarono li seduti sulle vecchie tegole in silenzio a rimirare quel magico paesaggio.
– Cosa c’è in quel palazzo, sembra abbandonato? – Chiese Stefano, notando le finestre rotte e il tetto in disfacimento del palazzo difronte.
– Si, credo fosse uno dei primi ospedali di Cagliari.- Lo informò Carlo.
– Sapete se c’è modo di entrarvi? –
– L’ingresso principale è murato e non credo che ci siano altri ingressi. –
– Peccato, sono affascinato da questi vecchi edifici. –
Stefano trovava, comunque, più affascinante osservare gli interni bui di quelle stanze, piuttosto che il panorama. Gli piaceva immaginare la vita della gente dell’epoca, i medici che avevano frequentato quell’ospedale e i malati che si erano affacciati a quelle finestre, a quelli che ne erano usciti guariti e a quelli che vi erano morti. Ne era talmente affascinato che decise che avrebbe trovato il modo di entrare, a qualunque costo, quel vecchio ospedale, sarebbe stato un altro magnifico documentario da aggiungere al suo blog.
Si svegliò molto presto, doveva recuperare l’attrezzatura audio e video che aveva lasciato a casa sua. Non aveva di certo immaginato che gli sarebbe servita.
Quando rientrò portava con se due enormi borsoni in tela nera, entrò nella sua stanza e li posò sulla grande scrivania ancora libera dai libri.
– Wow, trasporti un cadavere a pezzi? – Chiese Andrea, che lo aveva visto arrivare dalla finestra.
– E’ la mia attrezzatura, voglio entrare nell’ospedale e girare un video per il mio blog. –
– Sei un blogger? –
– Più un appassionato del mistero direi, e mi piace condividere le mie scoperte. –
– Come pensi di entrare? Non vorrai abbattere il muro a colpi di “mazzola”, vero? – Risero.
– Farò qualche ricerca e se è il caso chiederò i permessi. Non è la prima volta, una pratica un po’ più lunga, ma se non c’è altro modo… –
– Ok amico, ci vediamo più tardi. –
– Senti, credi che possa salire sul tetto per fare qualche foto? –
– Non credo ci siano problemi. Cerca di non farti beccare o rimetteranno il lucchetto. Comunque non ti consiglio di andarci da solo, è sempre meglio essere almeno in due, non si sa mai. –
Andrea uscì lasciandolo solo.
Decise che come prima cosa sarebbe andato a dare un’occhiata all’ingresso murato.
Scese in strada, e la attraversò fino a raggiungere il portico che congiungeva, con una stretta scalinata, la via Manno con la piazza di San Sepolcro. L’ingresso era proprio appena superato l’arco, chiuso con file di mattoni grigi e cemento. Spinse per constatarne la solidità, entrare da li era impossibile!
Da una ricerca che aveva fatto su internet, appurò che l’ospedale era stato gestito dai monaci Antoniani della chiesa adiacente, ancora in uso. Poteva essere che ci fosse un passaggio che univa gli edifici internamente, e visto che di visibile non vi era alcuna struttura era chiaro che poteva esserci un passaggio sotterraneo. Aveva consultato dei vecchi disegni di alcuni progetti dell’architetto Giuseppe Viana, per un ampliamento dell’ospedale, risalenti al 1700, che il web gli metteva a disposizione, in cui si distingueva perfettamente una scala che terminava in un piccolo locale, situato proprio sotto il vicolo che separava la chiesa dall’ospedale.
Raggiunse la chiesa e ci entrò. Era incredibile come l’atmosfera cambiasse entrando in una chiesa antica. Persino il vociare della gente per la strada, pareva ammutolirsi tra quelle mura. L’aria era intrisa di incenso e cera fusa. Uno stupendo organo a canne, padroneggiava dall’alto di un balconcino.
Stefano costeggiò le tre cappelle laterali, alla ricerca di una porta che trovò nell’ultima cappella alla sua destra. Non si vedevano preti in giro, solo qualche devoto in preghiera e diversi turisti col naso in su a rimirare i dipinti e l’architettura del XVIII secolo.
Senza dare nell’occhio si avvicinò alla porta e spinse, un cigolio leggero echeggiò nell’alta volta a cupola ed in un attimo si infilò nel nuovo ambiente.
Si trattava di uno stretto corridoio, appena illuminato dalla luce che filtrava da un’altra porta socchiusa, sull’altra estremità. Rimase un attimo in ascolto per assicurarsi che non ci fosse nessuno e si incamminò, pensando alla scusa che si sarebbe inventato se lo avessero sorpreso. A non più di un metro e mezzo alla sua destra trovò quello che cercava, una stretta e ripida scala conduceva nel sottosuolo. Afferrò la sottile balaustra in ferro fissata al muro su entrambe le pareti ed iniziò a scendere. L’ambiente in cui si ritrovò era carico di umidità, accese il led del cellulare. Non si trattava di una vera e propria stanza, era chiaramente un ipogeo che si snodava in altri cunicoli sotterranei, ma al ragazzo interessava solo il cancello arrugginito che lo divideva dal basamento dell’antico ospedale. Illuminò la serratura, vide che non era completamente chiuso, ma quando provò a spingere si rese conto che i cardini erano rugginosi e facevano molta resistenza. Doveva forzarlo evitando rumori molesti che avrebbero attirato qualcuno. Mise in tasca il cellulare ed afferrò le sbarre con entrambe le mani e spinse con tutte le sue forze. Finalmente i cardini cedettero, aprendo uno spazio sufficiente perché potesse passarci di fianco. Mentre recuperava il cellulare dalla tasca, scrutava il tunnel che proseguiva verso il buio dell’ignoto, puntò la torcia e per un attimo le parve di vedere una figura, passare veloce. Restò immobile ad ascoltare, ma non ci fu alcun rumore. La suggestione lo stava condizionando. Si ritrovò in un ampio e basso camerone, inframezzato da colonne dipinte, l’odore di legno marcio proveniente da una catasta di vecchi mobili era pungente. Si avvicinò ad una cassettiera, quasi intatta, dedusse, vedendo i molteplici piccoli cassetti con targhetta, che si trattasse di un mobile utilizzato per conservare erbe o medicine. Scattò una foto, e contemporaneamente gli sembrò di sentire una voce. Illuminò ogni angolo scrutando con attenzione, ma oltre ai mobili marci, una sgangherata sedia a rotelle in legno, senza una ruota, non vi era altro. Era eccitato dall’atmosfera, scattò ancora una foto, ma si concentrò sui suoni che lo circondavano.
Si, era una voce!
Si apprestò ad avviare una registrazione, si mise al centro della stanza e azionò il cellulare sulla modalità video.
Girò lentamente su se stesso cercando di inquadrare ogni angolo nascosto, il cuore gli batteva forte, forse avrebbe avuto una vera testimonianza di un’entità spirituale, rimasta intrappolata. Si fece coraggio e fece la fatidica domanda che tante volte aveva sentito dai più famosi Ghosthunters.
– C’è qualcuno che vuole comunicare con me, in questa stanza? – Si fermò e attese.
Mentre attendeva la sua risposta, un rumore di passi provenienti dal lato della chiesa lo costrinse ad interrompere il video.
– Chi c’è! C’è qualcuno? –
Forse aveva parlato a voce troppo alta e lo avevano sentito. Non doveva farsi scoprire se voleva continuare la sua indagine.
Si accovacciò dietro l’anta di un armadio appoggiata alla parete e rimase in silenzio al buio. Sentì qualcuno forzare il cancello ed affannare, probabilmente doveva essere corpulento e non riusciva a passare.
Rimase immobile, poi sentì i passi allontanarsi e tirò un sospiro di sollievo…ma non fu il solo a sospirare. Sentiva accanto a se un respiro ansante, come se, accovacciata accanto a lui ci fosse un’altra persona. Accese il led del cellulare e lo puntò alla sua destra. Nessuno, era da solo.
Col cuore in gola si sollevò di scatto e si diresse verso il cunicolo che lo avrebbe portato al cancello semi aperto. Era costretto ad un passo lento, non sapeva se la persona che lo aveva quasi scoperto, fosse ancora li ad attenderlo. Aveva la netta sensazione di essere seguito, quella insistente sensazione che si ha da bambini quando si deve raggiungere un’altra stanza, attraversando un andito buio. Una presenza sempre più vicina, pronta a ghermirti alle spalle per ucciderti. Raggiunse il pertugio tra muro e sbarre e ci scivolò dentro come un’anguilla, poi attese alla base delle scale. Guardò verso il basamento e sorrise, era stato così sciocco da farsi prendere dal panico per delle sensazioni dettate dalla suggestione. Salì guardingo le scale e quando vide che la strada era libera da sguardi indiscreti, si fiondò sulla porta che dava alla cappella e svelto raggiunse la strada assolata.
Erano le ventidue passate quando Carlo bussò alla sua porta.
– Ehi Ste, noi stiamo andando a farci una birra, vieni anche tu? –
– No, per stavolta passo. Ho delle cose da fare. –
– Ok, a dopo. –
Non aveva ancora controllato, le foto e il video che aveva fatto nel basamento dell’ospedale ed era giunto il momento. Scaricò le immagini sul computer ed iniziò ad osservarle minuziosamente. Ma oltre al soggetto inquadrato non vi era altro. Fece partire il video, si sentì pronunciare la domanda di invito allo spirito, ma tutto era immobile e silenzioso. Il video terminava con un’immagine sfuocata, del momento in cui si nascondeva, poi il buio della sua mano che copriva la telecamera, per nascondersi. Non aveva interrotto il video, ma poteva solo sentire il sonoro. Sentiva chiaramente il proprio respiro leggermente affannato, poi la voce dell’uomo che chiedeva se ci fosse qualcuno, e poi all’unisono col suo respiro ne sentì un altro, leggermente sibilante e la registrazione si interruppe di colpo.
– Cazzo! – Fu l’unica esclamazione che riuscì ad articolare.
Si riprese dallo sconcerto, collegò le cuffie sollevò il volume e riavviò il video.
Non ebbe alcun dubbio, finalmente la prova di un’entità spirituale. Fu pervaso da una eccitante paura, prese la video camera e salì sul tetto, puntò verso una delle finestre rotte e ingrandì l’immagine. Rimase immobile a scrutare con l’obbiettivo il buio della stanza.
– Ehi, ti avevo detto di non salire qui su da solo! –
– Cristo! Andrea, mi hai fatto venire un colpo! Ma siete già tornati? –
– Già? Sono passate quasi tre ore, bello, è quasi l’una meno un quarto! – Andrea gli sorrise e scese dalla scala per rientrare nell’appartamento.
Come era possibile? Ma quando constatò il tempo di registrazione effettuato si rese conto di aver perso parte di quel tempo e di cui non aveva alcun ricordo. Questo gli provocò un leggero malessere e si affrettò a raggiungere i compagni. Era stralunato, nella sua mente si rincorrevano domande senza risposte. Doveva guardare il video, forse il mistero si sarebbe svelato.

2.

Stefano si affrettò a sistemare la memoria della videocamera nel PC ed iniziò a prendere visione delle immagini. Rimase con gli occhi puntati nel buio della camera per quasi un’ora, ed iniziavano a bruciargli. Mise in pausa il video, si sfregò il viso con le mani e si alzò dalla sedia, raggiunse la cucina e mise sul fuoco la piccola caffettiera. Un forte stato d’ansia iniziava a invadere la sua mente, aprì il rubinetto e infilò la testa sotto il getto freddo dell’acqua.
Parve stare meglio, svuotò il contenuto della caffettiera in una tazza e ritornò nella sua stanza.
Mentre ritornava alla sua postazione si accorse di una macchia chiara in un angolo della stanza, nell’immagine bloccata sul monitor.
– Che diavolo è? –
Premette play e il video partì, ma la macchia scomparve. Tornò indietro e mandò avanti il video, fotogramma per fotogramma… e allora vide. Vide la macchia prendere forma, una forma umana indistinta, una silhouette fatta di vapore. Deglutì, avvertì uno stato di malessere generale, e fece scorrere il video, ma quando mandava in “play” tutto spariva e ritornava il buio.
Mandò giù una sorsata di caffè e riprese con i fotogrammi. L’entità di vapore non era molto grande, sembrava quella di un bambino, poi svanì. Cliccò avanti sempre più veloce fino a quando il fotogramma con l’immagine di una persona passò veloce. Un battito più pesante del suo cuore lo costrinse a deglutire ancora, l’agitazione ed il malessere stavano crescendo, ma doveva vedere e tornò indietro di un fotogramma.
– Cristo Santo! –
L’immagine era la sua! Era lì, era lì fisicamente dentro quella stanza! Guardava verso la telecamera con un sorriso inquietante stampato sulla faccia!
Nonostante l’immagine fosse bloccata, l’entità di vapore si muoveva verso di lui ed una volta raggiunto, iniziò ad arrampicarglisi addosso, fino ad accovacciarglisi sulla testa e sulle spalle.
Stefano con un brusco movimento chiuse il monitor e raggiunse velocemente il bagno, lo stomaco gli stava esplodendo, convulsi conati lo costrinsero a vomitare aggrappato al water. Lo stato di malessere era cresciuto a livelli estremi, l’angoscia ormai si era trasformata in panico. Cercò di alzarsi, il cuore batteva frenetico nel petto, poi fu il buio e si accasciò sul pavimento del bagno.
Qualcuno lo chiamava strappandolo dal buio dell’oblio, due fessure orizzontali si aprivano piano sul viso offuscato di Carlo.
– Stefano! Stefano, svegliati, dai! – Lo strattonava delicatamente, bagnandogli il viso con un asciugamani bagnato.
Stefano si sollevò a fatica sorretto dal ragazzo, che lo accompagnò nella sua stanza.
– Ehi amico, tutto bene? Ma che ti è successo? –
Stefano diede una fugace occhiata verso il computer e sentì salire un’altra ondata di malessere. Si sdraiò senza dire nulla.
– Vuoi che ti prepari qualcosa? Che chiami la guardia medica? –
– Carlo, ti prego basta con le domande. Ora sto meglio, grazie. – Aveva un forte mal di testa e un tremendo fastidio agli occhi. – Puoi spegnere la luce? –
Carlo si affrettò a fare come gli aveva chiesto, la luce che arrivava dall’andito bastava a tenere in penombra la camera e non accese l’abat jour.
– Va bene Stefano, io sono nella mia stanza se hai bisogno di qualcosa chiamami. –
Teneva il braccio poggiato su gli occhi chiusi, ascoltando i suoi passi allontanarsi.
– Carlo! Posso chiederti un favore? –
I passi si riavvicinarono.
– Dimmi. –
– Puoi dare un’occhiata al video sul computer e dirmi cosa vedi? –
– Adesso? –
– Si, per favore, vai avanti coi fotogrammi. –
Stefano rimase immobile, ascoltando i movimenti di Carlo che si metteva seduto e apriva lo schermo, dopo un attimo iniziarono i click sul tasto.
– Niente. Cosa dovrei vedere? –
– Torna un po indietro. –
I click ricominciarono.
– Io continuo a non vedere niente, Stefano. –
Le parole del ragazzo lo rincuorarono e si mise a sedere sul letto.
– Sei sicuro? –
Carlo si allontanò dalla scrivania per permettergli di vedere e riprese a far scorrere i fotogrammi avanti e indietro.
E in effetti non vi era alcuna immagine solo l’oscurità della camera, oltre la finestra.
Stefano sospirò profondamente, si era immaginato tutto. Eppure sembrava così reale e comunque restava il fatto che era rimasto sul tetto quasi tre ore e non si ricordava un accidente di niente!
– Sto diventando pazzo… –
– Ma perché cosa avrei dovuto vedere? –
– Lascia stare Carlo, niente. Grazie per avermi dato una mano, torna pure a dormire. –
Rimase solo. All’improvviso si sentì terribilmente stanco e si sdraiò, chiuse gli occhi.
Cadde in un sonno profondo, non poteva sapere quello che in realtà stava succedendo… una pressione sul petto gli rallentò il battito cardiaco, non poteva vedere la deforme e piccola creatura che gli stava seduta sul petto. Il respiro divenne più affannoso, in cerca di ossigeno, la creatura aveva avvicinato le sue mostruose labbra alle sue, attingendo alla sua forza vitale. Gli stava aggrappata alle spalle affondando le unghie nelle carni come artigli rapaci. Quando ebbe finito di nutrirsene, si ritirò nell’angolo più buio della stanza, rannicchiata e ghignante rimase nascosta in attesa di vedere la sua vittima svuotata, al suo risveglio. Non poteva possederla, ma la sua “ossessione demoniaca” era iniziata.

3.

Stefano fu svegliato dai fendenti di luce che penetravano dalle persiane chiuse.
Si sentiva intorpidito, l’esperienza della notte precedente gli sembrava un sogno lontano. Si girò su un fianco, la luce lo infastidiva, non aveva voglia di alzarsi, non ancora. Sarebbe rimasto in quello stato di torpore, così rassicurante, ancora per un po’.
– Credo stia ancora dormendo, lasciamolo in pace. –
– Ti ha detto qualcosa? –
– No. Mi sembrava angosciato per qualcosa vista nelle immagini del video dell’ospedale, ma io stesso ci ho dato un’occhiata e non ho visto assolutamente nulla di strano. –
Ma lui non stava dormendo, ascoltava immobile il bisbigliare di Andrea e Carlo.
Crederanno sia fuori di testa, pensò. Li sentì allontanarsi, chiudendo la porta della sua camera.
Rimasto solo si girò per alzarsi, ma un forte capogiro lo costrinse a stare sdraiato. Riprovò, più lentamente e si mise seduto. Il pavimento sotto i piedi scalzi gli sembrò più freddo di quanto sarebbe dovuto essere. Si sentiva indolenzito e stordito. Pensò che una buona colazione gli avrebbe giovato, anche se non sentiva appetito.
Quando entrò in cucina i suoi amici tacquero all’improvviso. Parlavano di lui.
– Buongiorno Stefano, stai meglio? – Gli chiese Carlo, preoccupato.
– Si, grazie. –
Si diresse verso i fornelli per versarsi del caffè.
– Ehi amico, ma che cavolo hai sulle spalle? – L’allarmismo nella voce di Giacomo lo mise in allerta. In effetti sentiva qualcosa di strano, era come se la maglietta gli fosse rimasta incollata alla pelle.
– Fermo, non toccare, sei pieno di sangue! – Ma nessuno osò avvicinarsi. Continuavano a guardarlo perplessi e inorriditi.
Stefano raggiunse il bagno, diede un’occhiata alle spalle. All’altezza dei trapezi, la maglietta era intrisa di sangue ormai rappreso. Guardò il proprio viso terrorizzato riflesso nello specchio. Si tolse la maglietta e osservò i profondi graffi che ripresero a sanguinare, dopo aver strappato il sangue coagulato, rimasto attaccato al tessuto.
Si sedette sul bordo della vasca, trasse un profondo respiro per cercare di riprendere il controllo. Troppe coincidenze stavano accadendo da quando era entrato in quel maledetto ospedale, e non poteva più ignorarle. La prova di quello che aveva sempre cercato di documentare nel suo blog, stava prendendo vita, proprio sulla sua pelle.
Doveva reagire, ma intanto sentiva le lacrime della disperazione riempirgli gli occhi. – Dio mio aiutami…liberami dal male, ti prego…liberami dal male… – Si abbandonò a quel pianto sommesso, era confuso e spaventato e … terribilmente solo.

– Sono sicuro, ti dico! Stanotte, non aveva assolutamente nulla sulla schiena! – Insistette Carlo, mentre Giacomo, quasi, esigeva da lui risposte.
– E come ha fatto a ferirsi in quel modo? Deve avere lacerazioni profonde, avete visto quanto sangue? –
Carlo continuava a scuotere il capo pensieroso.
– Del resto non lo conosciamo, potrebbe avere qualche “rotella” fuori posto. – Aggiunse.
Andrea voltò lo sguardo verso la porta della cucina, Stefano era li, poggiato allo stipite, bianco come un cadavere. I ragazzi si ammutolirono.
-Non sono pazzo, almeno che io sappia. Non ho idea di come mi sia potuto ferire, non provo alcun dolore. Quello che so è che non sarei dovuto entrare in quel fottuto ospedale! Andrei via, se potessi, credetemi, ma devo risolvere questa cosa. Se andassi via adesso, verrebbe con me, ne sono certo, ma non temete, vi starò alla larga.
Si voltò per andarsene, mostrando la schiena nuda con i profondi graffi sanguinanti.
Si meravigliò, quando poco dopo qualcuno bussò alla porta della sua stanza, aveva visto l’orrore e l’insicurezza nei loro occhi.
– Posso entrare? –
– Vieni. –
Andrea entrò e richiuse la porta. Stefano sedeva a cavalcioni sulla sedia, con gli avambracci poggiati sullo schienale, dandogli le spalle.
– Credo dovremmo pulire quelle ferite, ho portato del disinfettante e del cotone.-
– Non hai paura di me? – Chiese sbeffeggiandolo.
– Non dire cazzate e lasciati aiutare. –
Stefano sentì un nodo alla gola e l’asprezza che aveva sentito montargli dentro l’abbandonò.
– Grazie. – Fu l’unica parola che riuscì a dire, senza mai voltarsi.
Quando Andrea concluse la medicazione, si sedette sul letto.
– Ti va di raccontarmi cosa è successo? –
– Non so come mi sono ferito, ve l’ho detto. –
– E ti credo. Raccontami dell’ospedale. –
Stefano si girò ad incontrare il suo sguardo.
– Lascia stare, non mi crederesti. –
– Se ti dicessi che anche io ho visto qualcosa di strano, oltre quelle finestre? –
Stefano chiuse gli occhi, ringraziando in cuor suo il ragazzo per quella, seppur macabra, flebile certezza.
Il ragazzo rimase ad ascoltare ogni particolare senza batter ciglio. Quando Stefano ebbe finito il suo sconcertante racconto, Andrea si alzò dirigendosi verso la porta.
– Ma dove vai? –
– Fidati di me, torno subito. –
– Ho altra scelta? –

Circa mezz’ora dopo, Andrea faceva il suo ingresso nella camera.
– Ho parlato con una persona, spero non ti dispiaccia. Avrei voluto portarti da lei, ma non ha voluto. Ha preferito venire qui. –
– Chi è? –
– Avresti dovuto incontrarla quando sei arrivato, ma non si sentiva bene. – Disse Andrea invitando un esile donnina ad entrare nella sua camera.
Stefano si alzò cercando di ricomporsi.
– Questa è Ines, la nostra padrona di casa. –
Stefano accennò ad un sorriso, ma la donna non ricambiò.
La vide annusare l’aria, mentre il suo sguardo guizzava da una parte all’altra della stanza in penombra.
– Apri le persiane! – Ordinò ad Andrea.
– No, per favore! La luce mi da un tremendo fastidio.-
– Anche a lui! – Rispose severa, la vecchina. – Lo hai portato con te, sento il suo odore in questa stanza! –
Non poteva credere a quello che gli stava succedendo. Ma di chi stava parlando? Chi aveva portato?
La donnina gli si avvicinò, gli arrivava a malapena al petto. Gli mise una mano sullo stomaco e con una lieve spinta lo costrinse a rimettersi seduto.
Guardò i ragazzi. – Annusate l’aria, annusate bene. – E lo fecero. L’ambiente iniziava ad avere un leggero olezzo di marcio.
– Lo sentite? E’ l’odore di morte! Apri quella finestra! –
Andrea non se lo fece ripetere!
La luce del giorno inondò la stanza, e fu un sollievo per tutti.
La donnina iniziò a camminare piano, percorrendo ogni centimetro della stanza.
– Ti stava aspettando, io l’ho visto dalla finestra della mia stanza. Era li, nella penombra della “sua” stanza e ti guardava. –
– Ma di chi sta parlando? – Chiese spaventato Stefano.
– Sai bene di chi parlo, non lo stavi forse cercando da tanto tempo? Bene, lo hai trovato ragazzo! Il male! Un entità maligna che ti è rimasta attaccata, ma non può averti completamente, lo sento, ed è un bene. –
Poi ad un tratto si fermò e voltò lo sguardo nell’angolo tra l’armadio e il muro.
La donnina iniziò a respirare con un leggero affanno, lo sguardo spaventato verso l’angolo in ombra, una lacrima traboccò dagli occhi spalancati percorrendo le guance rugose.
– Non posso fare nulla! – Indietreggiò angosciata.
– Per l’amor di Dio, non mi abbandoni, la prego… –
La vecchina gli si avvicinò, il suo sguardo severo, adesso era solo triste.
– Non lo farò. Io non posso aiutarti, ma so chi può. –
Si aggrappò al braccio di Andrea.
– Vieni con me, devi accompagnarmi in un posto ed è da molto tempo che non esco da questo palazzo. –
– Non ho auto, Ines… –
– Non andremo lontano. –
Stefano rimase solo, terrorizzato, con gli occhi che gli bruciavano sempre di più. Un entità maligna gli si era appiccicata addosso ed era chiaro che fosse li con lui nella stanza. Guardò nell’angolo che poco prima aveva scosso Ines, con il cuore che gli martellava nel petto, raggiunse la scrivania e prese il cellulare. Azionò la video camera e la puntò nell’ombra.
La piccola figura lo guardava con torbidi occhi neri, la pelle sfaldata e grigiastra, sembrava perdere del fluido colloso. Sull’orrido viso un ghigno di sfida sfoderava una dentatura fitta e affilata. Con uno scatto gli si avventò addosso, catapultandolo all’indietro. Stefano cadde battendo la testa, ma in un attimo si tirò su, guardandosi in giro terrorizzato. Senza il filtro del video non riusciva a vederlo. Raggiunse il letto e vi si accovacciò, coprendosi col lenzuolo, come faceva da bambino, sicuro che così sarebbe stato al sicuro dai mostri. Non poteva fare altro, non era in grado di fare altro. Rimase così in attesa che i suoi salvatori facessero ritorno.
Quando Andrea rientrò era ormai pomeriggio inoltrato. In casa non c’era nessuno, Giacomo e Carlo avevano preferito non avere niente a che fare con quella storia. Vigliacchi!
Il tanfo nella stanza era divenuto quasi insopportabile, nonostante la finestra aperta. Stefano era rannicchiato in un angolo, fissava il ragazzo con gli occhi gonfi di pianto.
– Lo sento, Andrea, lo sento respirare nella mia testa. –
Andrea lo raggiunse immediatamente, aiutandolo ad alzarsi.
– Dai amico, vedrai che ne usciremo da questa storia, vieni ti aiuto a metterti a letto. –
Stefano gli si aggrappò alla maglietta. – Devi ascoltarmi, lo sento respirare nel cervello! Ti prego, ascolta, vieni avvicinati. – E così dicendo avvicinò tremante la sua testa a quella del ragazzo, finché il suo orecchio non combaciò col suo.
– Ascolta…- Disse in un bisbiglio.
– Cristo! –
Era vero, era come se il cervello respirasse emanando una leggerissima aria tiepida e puzzolente dal condotto uditivo.
– Tieni duro ancora qualche ora amico, e prenderemo a calci in culo questo bastardo. –
Non erano andati molto lontano lui ed Ines, l’aveva accompagnata nella chiesa in cui Stefano era stato il giorno prima. Avrebbe voluto aspettarla fuori, ma la donna lo aveva costretto a stare con lei quando aveva parlato col sacerdote. Rimase sconcertato dalle poche parole che si scambiarono. Ines non si era neppure voluta sedere, quando il prete la invitò.
– E’ fuori! – Gli disse severa.
– Lo immaginavo, padre Michele aveva sentito qualcuno, ed è venuto a chiamarmi. Siamo andati a controllare in tutto l’ospedale, ma non c’era più nessuno. –
Sapevano dunque dell’entità che si celava tra quelle mura e lo avevano tenuto nascosto, forse sicuri di poterla contenere.
Il prete fece una telefonata e dopo circa un ora entrarono in sacrestia quattro Frati incappucciati e gli fu chiesto di uscire.
Solo dopo qualche ora Ines uscì nella Cappella, dove l’aspettava con ansia.
– Tu va da lui, io resterò qui. Dovremo aspettare che non ci sia più nessuno per la via. Verremo a prendervi stanotte. Stai tranquillo tu non corri alcun rischio. Il “male” ha scelto Stefano. –
E con queste parole lo aveva congedato.
Ormai era buio e via Manno era deserta. Andrea sperava che arrivassero presto, non poteva più sopportare di vedere il suo nuovo amico contorcersi e urlare. Non sopportava più il respiro sibilante che gli usciva, innaturalmente, dalle orecchie.
Finalmente due Frati entrarono nella stanza, sollevarono il ragazzo dalle braccia e lo condussero nel pianerottolo. Andrea fece per seguirli ma una mano forte lo bloccò.
– Tu no! –
Si arrese di buon grado a quell’imposizione, era stanco.
Vide dalla finestra due Frati e il sacerdote fermi sulla soglia della chiesa, che quando videro gli altri due, con il ragazzo praticamente appeso tra di loro, gli andarono incontro. Stefano iniziava ad agitarsi, i quattro Frati lo immobilizzarono, mentre il sacerdote gli mise un bavaglio sulla bocca. Quando lo costrinsero a salire sulle scale del portone si scatenò l’inferno. Nonostante il bavaglio le urla di Stefano erano chiare e strazianti. Non voleva entrare, urlava e si dibatteva. Urlava parole incomprensibili che Andrea non capì, fino a quando vide dall’alto i quattro uomini tirare il ragazzo dagli arti verso l’ingresso, ed una forza invisibile. bloccarlo dalla testa. Lo sguardo disperato rivolto al cielo sanguinava sporcando il candido tessuto che gli circondava il capo imbavagliandolo. Il sacerdote continuava imperterrito a spruzzare acqua santa con l’aspersorio, mentre i frati tiravano dentro il ragazzo. Un ultimo strattone e sparirono oltre la porta e fu il silenzio.
I Frati adagiarono Stefano sul pavimento dell’ingresso, Ines lo raggiunse. Si inginocchiò prendendogli la testa sulle gambe, gli slegò il bavaglio, e gli asciugò le lacrime di sangue. Stefano era svenuto, ma respirava sereno, sembrava addormentato.
Amorevolmente la donna, gli baciò la fronte e sorrise.
– Adesso sei libero ragazzo. –