L’ALUNNO VIRTUOSO
(Brevissima storia della Letteratura Italiana n.3)
di Gianfranco Galliano
Insegnante – Bene, ci sono ancora una ventina di minuti prima della fine della lezione… giusto il tempo per sentire qualcuno… Tu. Vorrei che mi parlassi della “virtù” in Machiavelli.
Alunno – …
Insegnante – Allora?
Lunga pausa.
Alunno – Be’, per prima cosa bisogna metterla in relazione con la fortuna… In fondo, la si può definire soltanto in rapporto a quest’ultima, non è possibile ridurla a una formula.
Speriamo che non m’interrompa e che mi lasci portare il discorso sulla fortuna.
La virtù nasce dall’occasione creata dalla fortuna: senza l’occasione la virtù sarebbe del tutto inutile, perché non troverebbe un mezzo adeguato per esprimersi, e senza virtù l’occasione sarebbe venuta invano.
Così va bene. Mostra proprietà di linguaggio e sicurezza…
Paradossalmente, poi, la fortuna mette sulla strada di un principe dei nemici soprattutto quando vuole renderlo grande.
Insegnante – Scusa se t’interrompo…senti un po’: secondo Machiavelli quanto contano in percentuale virtù e fortuna per la buona riuscita delle nostre azioni?
Alunno – Non ne ho la più pallida idea… Bisogna buttarsi: ora sì che ci vorrebbe un po’ di “fortuna”! Usa il buon senso…
Mmm…in generale…in linea di massima il cin…cinquanta per cento virtù e cinquanta per cento fortuna?
Insegnante – Non devi chiederlo a me. Devi esserne sicuro!
Alunno – Sì, sì…virtù e fortuna si dividono a metà la determinazione dei nostri atti.
Insegnante – “Determinazione”? Va be’. Su, continua pure: se riesci a fare un discorso compiuto eviterò d’interromperti.
Alunno – Speriamo.
A seconda che la fortuna venga considerata un ostacolo o un elemento positivo – e quindi, come dicevo prima, non esiste in quanto tale ma solo in relazione alla virtù – anche la virtù cambia aspetto…
Lunga pausa.
Insegnante – Allora? Perché ti sei fermato? Quello che dici è giusto, continua: come cambia la virtù in rapporto alla fortuna? Pensaci pure un attimo (nel frattempo rovista nella sua cartella).
Alunno – (sbirciando in un libro che ha sotto il banco) -Dunque… Se…se la fortuna è vista come un ostacolo, la virtù consiste nella capacità di prevenire in modo ordinato, con il calcolo e la freddezza, la sconfitta a cui andremo incontro di lì a poco. Ci consente di limitare i danni, in poche parole… Nel caso invece la fortuna sia vista come qualcosa di positivo, la virtù diventa un’intuizione, sempre ordinata, che ci offre la possibilità di trasformare un puro caso in qualcosa di necessario…
Insegnante – Diciamo meglio: il caso fortuito diviene una “necessità”, fra virgolette, dotata di una solida apparenza. Senti, nel capitolo sesto del Principe che abbiamo letto in classe ci sono degli esempi di quest’ultimo caso?
Alunno – Eh? Può ripetere la domanda, per favore?
Insegnante – Vorrei che mi dicessi semplicemente se nel sesto capitolo del Principe c’è qualche esempio in cui il caso diventa una necessità. È chiaro, adesso?
Alunno – Sì.
Insegnante – E la tua risposta?
Alunno – S…sì…ce ne sono, di esempi.
Insegnante – Te ne ricordi qualcuno?
Pausa.
Alunno – E ora? Perché non si distrae di nuovo?
Lunga pausa.
Insegnante – Non te ne ricordi? Neppure uno?
Alunno – No… non me ne viene in mente nessuno, purtroppo.
Insegnante – Ma l’hai letto, il capitolo sesto? Te li ricorderò io, allora: sono Mosè, Romolo…e anche Ciro e Teseo.
Alunno – Fine dell’interrogazione, a meno che non riesca a inventarmi qualcosa prima che mi chieda dell’altro…non devo lasciare che approfondisca il discorso o sono fregato! Calma, calma e ragioniamo: l’ultima volta mi aveva interrogato su Boccaccio; l’avevo studiato così bene! Non c’è proprio niente in comune fra lui e Machiavelli?
A proposito della virtù in Machiavelli, forse si potrebbe dire ancora qualcosa riferendoci a un altro autore che abbiamo già studiato…
Speriamo che ci becchi.
Insegnante – Sì? E quale?
Alunno – Sì! sì! …E intanto il tempo passa!
L’autore è Boccaccio: in effetti, lui è un materialista come Machiavelli e quindi forse la cosa non è così casuale…
Insegnante – Ma che cosa c’entra la virtù di Machiavelli con Boccaccio?
Alunno – Mi pare che l’ “intelligenza” di Boccaccio equivalga un po’ alla virtù di Machiavelli: Boccaccio, però, mette quella che si potrebbe definire anche scaltrezza d’ingegno nel campo della vita quotidiana e non in campo politico: la differenza non è certo da poco. Prima di Boccaccio, l’intelligenza trova posto nelle gerarchie intellettuali del Medioevo,
Speriamo che non mi chieda cosa sono.
ma solo con lui diventa lotta alla Fortuna: se c’è lotta, allora questo significa che i suoi esiti non sono stabiliti in partenza, anzi… L’individuo si solleva dalla massa quanto più dimostra inventiva, lungimiranza, capacità di osservazione, capacità di usar la cultura per prendere in giro il popolo…
e i professori!
Nel Decameron gli esempi abbondano: ser Cepparello, in punto morte, inganna un ingenuo frate facendosi passare per un uomo pio, nonostante in realtà sia vero il contrario; la finzione gli riesce talmente bene che dopo la sua morte viene beatificato.
Su su, avanti, chi era quell’altro? Ah, già…
Andreuccio da Perugia, sedotto da una prostituta che lo deruba di tutto, cambia la sua sorte grazie alla presenza di spirito di cui è dotato: finito in un sarcofago col cadavere di un prete…
Insegnante – Di un arcivescovo…
Alunno – Sì, di un arcivescovo, gli ruba un anello di grandissimo valore. Poi c’è Masetto, che conquista un’intera schiera di donne fingendosi muto e facendosi assumere come ortolano in un monastero femminile; il cuoco Chichibio, che scampa all’ira del padrone con una battuta; e ancora, frate Cipolla, che dopo aver promesso a dei contadini che gli avrebbe mostrato…
Insegnante – “Loro”, non “gli”: “contadini” è plurale.
Alunno – Sì…che avrebbe mostrato loro la penna dell’angelo Gabriele, trovando dei carboni al posto della penna, dà prova di una grande capacità d’improvvisazione dicendo che si tratta di quelli coi quali fu arso San Lorenzo…
Speriamo che basti…speriamo che suoni!
Insegnante – Va bene. Quindi tu dici che la virtù in Machiavelli non è che un’utilizzazione in un ambito diverso – quello politico, per l’appunto – di una capacità che Boccaccio, chiamandola “intelligenza”, collocava nella vita di tutti i giorni.
Alunno – Mm…sì. Ma c’è di più! Forse Machiavelli e Boccaccio sono tutti e due debitori di qualcun altro: Ulisse.
Insegnante – Quale? Quello di Omero o quello di Dante?
Alunno – Quello di Omero. Dicevo Ulisse perché lui è l’eroe dotato di quella che gli antichi greci chiamavano “metis”: si tratta di una forma di intelligenza e di pensiero, un modo della conoscenza; per esserne dotati occorre saper mettere insieme l’intuito, la sagacia, la previsione, la spigliatezza mentale, la capacità di fingere e di trarsi d’impaccio, l’attenzione sempre pronta, il senso dell’opportunità, l’abilità in vari campi, un’esperienza che si acquisisce solo dopo anni e anni di pratica…
e dopo esser stati interrogati settimana scorsa in filosofia!
La metis non si può ridurre in formula, nello stesso modo in cui non è possibile farlo per la virtù di Machiavelli,
Ma allora, suona o non suona, ‘ sta campanella?
né per l’intelligenza di Boccaccio. E tuttavia direi che fanno parte della metis tutte quelle caratteristiche che troviamo anche nella virtù e nell’intelligenza.
Da come mi guarda credo che questa pezza filosofica funzioni a dovere… Ma la campanella?!
Poi bisogna dire anche che la metis si applica a delle realtà incostanti, mobili, sconcertanti e ambigue, che non si possono misurare con precisione e nemmeno calcolare con esattezza e che neppure si prestano al ragionamento rigoroso: ma quale realtà è più inafferrabile di quella politica, fatta com’è di improvvise alleanze col nemico e di altrettanto rapide prese di distanza dall’alleato, di diplomatici compromessi che al primo soffio di vento si tramutano in violenza brutale?
Bravo!
Per tornare a Ulisse, si pensi soltanto all’ideazione del famoso cavallo di Troia, oppure all’astuzia nello sfuggire al ciclope e alle sirene…
Ancora una sviolinata e poi…saluti al cazzo!
La metis è rapida come l’occasione che deve prendere al volo, eppure non è qualcosa di leggero, ma anzi, come ho già detto, si tratta di un pensiero carico di una lunga esperienza…non ondeggia qua e là a seconda di come tira il vento delle circostanze, semmai aspetta che il suo progetto possa realizzarsi nel futuro. Come ho già detto, infatti, la capacità di prevedere, almeno entro certi limiti, è tipica della metis: e qui torniamo a Machiavelli,
O almeno, lo spero!
ma anche a Ulisse che immagina come i troiani reagiranno alla vista del cavallo. Da Platone in poi, la metis venne confinata fra ciò che non è scienza, in quanto non misurabile, perlomeno in senso stretto: e dire che deriva dalla parola “métron”, cioè appunto “misura” …eppure finì fra le cose imprecise.
Squillo della campanella in perfetta coincidenza con la fine della battuta.