La Soglia Oscura
Racconti

NELLA PALUDE
di Giulia Faccio

Munizioni terminate, stringo il fucile come la comare farebbe con una sacra icona…

Se non mi ha preso il nemico mi struggerà la melma, tutte queste bestie striscianti che mi ritrovo tra i vestiti ed i pungoli urticanti di insetti infestanti… paludi… asfissianti paludi che ti sciolgono come uno stomaco vorace. Sono perso in una verde mostruosità: strappo e abbatto tutto ciò che mi ghermisce , appiccica o rallenta… pregno di stenti fino alla demenza… non so se piango, sudo o sono pioggia… so di essere l’ultimo dei miei… il resto è poltiglia, maciullati dalle bombe, corrosi dai gas o peggio… aperti come pesci dai selvaggi… immonde creature, disumanizzati, nessuna strategia o tattica militare, inafferrabili… arrivano ovunque, nel frastuono di questi incessanti temporali, ad ogni fulmine cadono trenta teste, accampamenti e trincee ripuliti prima che il sole possa sbirciarvi… nessun ostaggio in questa guerra…le loro donne si sono suicidate nelle nostre prigioni… i bambini paiono pericolosi come fiere… maneggiano lame più letali dei nostri proiettili…

Arranco e cerco ossigeno tra il diluvio che mi sovrasta, inarrestabile, vendicativo, come un dio mi rincorre… e poi vedo, vedo ma quasi non credo…un tetto spiovente a protezione di una costruzione palificata, minuta ma solida… una casa… atipico trovarne di isolate ma ho piaghe incancrenite che mi tolgono la voglia di vivere e non mi chiedo altro…la violenza dell’acqua riversata dai cieli supera anche le muraglie di fronde, rami nodosi, enormi foglie lobate e rampicanti insidiosi… se è abitata potrebbero seccarmi sulla soglia, non mi importa nulla ormai, non mi è mai fregato niente di questa guerra…senza esitare , come fossi nel mio cortile, entro.

Non punto nemmeno il fucile, apro e basta… dalla penombra, mi abbraccia un tepore mellifluo, accogliente, che non sentivo da mesi, odore di cibo su un fuoco, al centro dell’unico stanzone, protetto da mattoni e sovrastato da una grande pentola in ebollizione… uno sguardo basta per cogliere tutto l’interno: una mobilia scarna, grezza, molte pelli, stuoie, cenci sul pavimento di assi, innumerevoli barattoli e bauli lungo il perimetro, carne secca alle pareti e una figura tutta stracci e corde colorate, pendenti ed intrecciate accovacciata accanto alla brace… un clangore di gingilli metallici e sfere simili a grossi semi di frutti pendono da un curioso copricapo…è di spalle, si volta lentamente e senza alcuna manifestazione di sorpresa, si alza nella sua esile forma che rimane curva e rigida…una vecchia, pelle color tabacco increspata come carta, e occhi cerulei sprezzanti e boriosi… appoggio a terra il fucile, comunque inutile, getto al mio fianco le armi da taglio e saluto con i pochi gesti che conosco , professandomi in pace, indicando il fuoco, il cibo e promettendo di andar via presto… appena fa un passo avanti impugno il machete , dico di essere innocuo se mi lascia riprendere le forze… mi fa cenno di chiudere la porta e di sistemare i tendaggi di protezione, poi si fa da parte permettendomi la vicinanza alla fonte di calore…mi spoglio senza curarmi del pudore, la febbre mi sta sgretolando , mi sento cadere a pezzi come le carni dei piedi che si staccano un centimetro alla volta…rimango a ridosso del tepore come fosse l’unica mia fonte di vita, non mi interessa null’ altro… un barattolo di latta scivola dalla tasca del mio zaino su cui sono appoggiato…ci sono decine di sigarette protette dall’umidità, più preziose del denaro e a volte del cibo… ne accendo una mentre lei sgrana gli occhi e mostra un sorriso fessurato e giallastro… pare che siano di suo interesse, chissà da quanto non ne vede alcuna…le porgo la metà del tesoro, una scorta per varie settimane se usata con parsimonia… afferra il bottino e ride, poi rimesta nella padella e mi offre una ciotola fumante, rovista tra i ripiani e si offre di bendarmi le putride ferite…. cala la sera che il nubifragio rende identica al giorno. Chiedo gesticolando dove sia un marito o dei figli e lei indica un altarino adorno di fotografie grigie, quasi indistinguibili, opache e sbiadite… capisco essere il marito e qualche figlio… devo restare sveglio e andar via alla prima tregua là fuori… devo stare sveglio… mi sento spolpato, disossato, completamente arido e vacuo… il tepore mi avvince…

Apro gli occhi ed il terrore mi schizza al cervello come una pugnalata… cerco il fucile, i coltelli ma non ottengo risposta dalle mani, voglio alzarmi, aprire la bocca, muovere la testa, gettarmi dalla finestra anche così, nudo e disarmato… la stanza è satura di odori di brace e nugoli di fumo… sette uomini, soldati, schiamazzano attorno alla pentola, qualcuno vi getta dei pezzi rossi dentro, altri bevono e uno gesticola con la vecchia intenta a tagliare qualche cosa…vedo la mia prossima fine come se la stessero proiettando da una pellicola, talmente chiara che ormai smetto di tentate ogni movimento e mi lascio inerte… riesco solo a muovere gli occhi, che bruciano terribilmente ma non sento niente nel resto del corpo… abbasso lo sguardo… sono circondato da stoffe arrotolate, stropicciate, sporche, stringo e serro le palpebre per far lacrimare e schiarire la visione… è certamente sangue, scurissimo, a tratti nero… non comprendo in che posizione mi abbiano sistemato, ho la schiena alla parete ma non scorgo le mie gambe… quando capisco che non le vedrò , che non ci sono, rantoli e brontolii soffocati mi escono di bocca… vorrei urlare fino a morire all’istante ma non esce niente dalla gola. Si sono accorti del mio risveglio, si girano a guardarmi rimanendo seduti comodamente, alzano le bottiglie in segno di saluto e ridono …anche la vecchia mi fa un cenno: ha la sigaretta stretta tra le gengive dure e, pronto per la cottura, il pezzo di un mio polpaccio scorticato tra le mani.