Ossessione – di Monika M.
Guardai quel dipinto spaventoso, tante volte rifugio dei miei occhi timidi, con nostalgia. -Abbiamo fatto un buon lavoro ! – Sorrisi alla sua affermazione ed iniziai a riordinare le mie cose. La traduzione del libro era terminata e così pure la nostra collaborazione.
-Io ho solo tradotto , l’ottimo lavoro lo hai fatto tu con il tuo romanzo. – risposi cercando di non tradire con il tono della voce una eccessiva stima che invero per lui provavo. «Quindi finisce qui…» pensai avvertendo già la distanza incolmabile delle nostre rispettive vite. Lasciai vagare lo sguardo nel piccolo ma comodo studio affollato di tomi e ricordi, passioni e vita , volevo imprimere nella mia memoria ogni cosa così da poterci tornare almeno con la fantasia ogni volta avessi voluto. Un fantasy vampiresco non era certo il genere di lavoro che abitualmente cercavo, ma il bisogno di soldi mi aveva indotta ad accettare la proposta. Dei primi giorni ricordo la soggezione che Ștefan mi incuteva. Uomo colto, dalla anacronistica educazione, tanto fuori tempo da farmi vivere interi pomeriggi vittoriani chiusa nel suo studio perduta nelle mie fantasie. Seduttivo fino a risultare al limite del plagi, azzerava la mia volontà, mi inebriava, annichilendo ogni mia resistenza o diffidenza. Mi aveva spesso sorpreso mentre lo fissavo facendomi sobbalzare di imbarazzo e mentre abbassavo lo sguardo sui fogli , arrossendo, mi chiedevo se fosse più dr Jekill o mr Hyde. I suoi occhi tradivano infatti quella quiete che era solo apparente , così come anche le sue mani calme, affusolate , nobili ma forti, sarebbero potute esser tanto quelle di un chirurgo quanto quelle di un macellaio . Via via il rapporto si era consolidato, afferrandomi come avrebbe fatto con un istrice si avvicinava valutando gli aculei e le ferite che la corazza nascondeva ma non curava. Conoscevo a memoria ogni suo tratto tanto che avrei potuto, essendone capace, eseguirne il ritratto. Sorrisi, sarebbe stato dannato come quello di Dorian Gray? Mi domandai, immaginando la soffitta in cui lo avrebbe nascosto. Sospirai così pesantemente da attirare la sua attenzione ed un pensiero punzecchiò la mia curiosità, io gli sarei mancata? Non saprei dir perché ma confesso che saper di mancargli a mia volta avrebbe lenito almeno in parte la sua assenza. Una cosa era necessaria trovare, immediatamente sin dal giorno dopo, un nuovo lavoro o le ore vuote sarebbero state incolmabili al pari di quelle di un detenuto. -Quasi dimenticavo … – disse poi Ștefan porgendomi una copia del suo romanzo. Lo accettai dopo mille cerimonie e «non dovevi» ed adorai il suo -Volevo ! – così autentico. In una sola parola riuscì a racchiudere tutta la sua forza, potenza e vigore. Lo vidi fissarmi e compresi aspettava io leggessi la dedica ed una feroce stretta serrò il mio stomaco lasciandomi senza respiro. Questi sono gli attimi che segnano una intera esistenza , quei rari momenti in cui la vita diviene così intensa che tutte le abitudini si sbriciolano e ci dimentichiamo persino di respirare. Fissai la copertina, carezzandola come avrei desiderato fare con il suo volto, cercando in me il coraggio di leggere. Due erano le possibilità: potevo restar delusa o sopraffatta da quel che avrei letto e tra le due non sapevo cosa sperare. Si teme sempre la felicità , questo ero arrivata a comprenderlo , la si teme perché come ogni cosa anche essa non conosce eternità, al contrario è proprio un solo istante concesso, la felicità. Deglutii e decisi di non leggere, non lì, non davanti a lui. Sorrisi, lo ringraziai e fuggii con il cuore in tempesta. Maledissi la luce interna troppo fioca della mia auto mentre ferma sotto ad un lampione leggevo la dedica e delusa scoprii essere solo una poesia di un autore che appassionava entrambi. «Possibile?» mi domandai. Ștefan era troppo intellettualmente oltre per una cosa così banale o forse ero banale io per lui? Si forse era questo il punto, delusa riposi il suo libro nella mia libreria. Vivere nel mondo irreale del suo romanzo aveva fatto si che dimenticassi la realtà? La vita era altro. Anche il sonno si rifiutava di strapparmi a quei pensieri finché una visione diversa di quella poesia illuminó il mio intelletto. Scivolai fuori dal letto ed a piedi nudi raggiunsi la libreria. Alcune lettere erano scritte in corsivo il resto in stampatello e proprio leggendo unicamente quelle il rebus veniva rivelato. Ora lo sapevo, forse avrei preferito la delusione perché quella non comporta scelta ma unicamente impotenza , ora invece la paura serrava la mia mente. Avrei accettato ora che conoscevo? La notte scivolò insonne mentre io mi dimenavo tanto con il corpo quanto con i desideri che si rincorrevano e respingevano in una lotta ancestrale tra ciò che ci insegnano essere il bene e ciò che ci influenzano a riconoscer come male. La paura dominava il mio cuore straziandolo come una tagliola, desiderare è facile, ma rischiare no non lo è, richiede coraggio forse anche incoscienza e tale stato appartiene credo solo all’adolescenza. Evadere da una vita sempre uguale probabilmente desideravo solo questo? No. Mi convinsi subito che così non era perché mai ne avevo sentito esigenza, unicamente ora avvertivo che quella relazione o meglio quel legame era indispensabile, nutrimento, vita. La mezzanotte era arrivata assieme ad un innaturale torpore, aprii la finestra e fissai la luna che pareva solo per me mostrarsi magica e piena. Respirai cercando nella notte il suo alito, avvertii, nelle carezze della vestaglia che lambiva la pelle, le sue dita. Sul collo i suoi denti. Eravamo entrambi presenti all’appuntamento.