La Soglia Oscura
Racconti

RITRATTO DI DONNA
di Giovanni Maria Pedrani

Julienne guardò con ribrezzo quel quadro.
Un ritratto di una donna d’altri tempi. Vestita come si sarebbe addobbata la principessa Sissi, aveva un vaporoso abito di chiffon color panna.
C’erano pizzi ovunque, anche sulle pareti e sulle tende.
E i gioielli! Quelle pietre cadevano dai lobi delle orecchie come il lampadario della nonna!
In una mano probabilmente reggeva un ventaglio, che veniva tenuto chiuso con l’altra, rigorosamente guantata. Ma il quadro era troppo rovinato per capirlo.
Era una vecchia opera del marito Philippe, e Julienne, abile restauratrice, si era decisa a rimettere in sesto quella crosta cadente.
Si erano conosciuti a una mostra.
Due mesi di frequentazioni assidue, di visite a musei, di scambi di idee. Si erano subito capiti.
Il matrimonio aveva colto di sorpresa un po’ tutti gli amici: Julienne, zitella impenitente, tutta libri e arte, e Philippe, un pittore scapestrato dal passato tanto burrascoso quanto misterioso. Che coppia!
Eppure quella convivenza anomala sembrava reggere.
Lui dipingeva e lei gli dava suggerimenti. Julienne era anche molto stimata come critica d’arte. La sua sensibilità era molto apprezzata da Philippe.
Qualsiasi altro artista avrebbe sentito quella presenza come intrusiva, e invece lui la ascoltava.
Ora Julienne voleva fare qualcosa di più.
Animata dalla fantasia, dalla creatività e da un pizzico di noia, desiderava aiutare il marito con tutta la sua esperienza. Così prese dalla cantina quel vecchio quadro di Philippe per restaurarlo. Al suo ritorno dalla mostra gli avrebbe fatto una bella sorpresa!
Lo sfondo era quasi raschiato. Il vestito confuso.
Solo il viso e in particolare gli occhi, quello sguardo che le sembrava famigliare, innocente e penetrante, erano sopravvissuti al logorio del tempo e all’incuria del marito.
Anche i gioielli si vedevano nitidamente. C’era stata una maniacale attenzione nel renderli aderenti a oggetti che esistevano solo nella fantasia dell’autore.
Le mani invece erano quasi del tutto assenti. I pittori, per rappresentarle, sono soliti spennellare delle linee confuse, perché sono molto difficili da disegnare. E cosi quelle avevano ceduto per prime.
Non sapeva da che parte incominciare.
Partì dal basso, dove il marito aveva apposto la sua firma. Era l’unico punto dove avrebbe potuto esercitarsi a capire la tela ed eventualmente indovinare il tratteggio.
A una pulizia sommaria, iniziarono a saltare via dei pezzi.
Quell’angolino poi non ne voleva sapere di assorbire il suo puntinato.
Ogni aggiunta si spandeva creando l’effetto opposto a quello che avrebbe voluto produrre.
Non era per il timore di danneggiare il quadro, il marito se l’era sicuramente già bello che dimenticato, era una questione di orgoglio!
All’accademia le avevano insegnato che in simili circostanze l’unica era dare ancora una “grattatina” superficiale, come la chiamava lei.
Fu sorpresa nel vedere che, pulendo la firma del marito, sembrava apparirne sotto un’altra, identica alla prima, ma di colore diverso.
Che senso aveva scrivere due volte il proprio nome prima in carminio e poi in terra di Siena?
Ma certo! Era evidente! Sotto quel dipinto ce n’era un altro, sempre del marito!
Fu presa da un’energia vitale, da un autentico desiderio di scoperta! Che sfida sarebbe stata per lei! Non restaurare una vecchia crosta dai contorni e dal senso incomprensibili, ma far rinascere una nuova pittura! E insieme alla fierezza della restauratrice c’era la curiosità della donna che avrebbe scoperto un nuovo aspetto del marito che amava.
Partì dal basso usando con cura un solvente.
Lo strato superficiale veniva via che era un piacere. C’era qualche difficolta dove la vernice coprente si ostinava a rimanere attaccata per le generose pressioni del pennello, ma per il resto era una passeggiata.
Il dipinto sovrastante, logorato dal tempo, era riuscito a proteggere così bene quello sottostante da sembrare persino più vecchio.
Un’altra mano! Da quella nebbia di colori confusi era apparsa un’altra mano! Si sarebbe detto un altro ritratto di donna! Solo che questa volta i colori erano più vivaci, più nitidi. Quella dama dell’altro secolo stava lentamente scomparendo per lasciare spazio a una giovane signora dagli abiti decisamente più moderni.
Aveva quasi finito di raschiare la parte sottostante. Non appena aveva capito che si trattava di un soggetto umano, si era ostinata a proseguire nella pulizia dove immaginava si trovasse il volto.
Fu in quel momento che suonarono alla porta.
«Philippe!» pensò.
Che peccato se avesse visto il suo lavoro solo a meta!
Si affrettò a coprire con un telo il quadro sul cavalletto.
«Michelle! Che piacere vederti!» salutò. «Entra! Pensavo fosse Philippe! »
«Non c’è, vero? Sempre a zonzo il tuo artista!» esclamò Michelle stizzita sventolando la sigaretta, mentre ispezionava con lo sguardo la casa.
«Vieni di là in soggiorno» l’accompagnò Julienne.
«Gli uomini! Ti fanno credere che ti amano alla follia, poi il giorno dopo ti dicono che hanno bisogno dei loro spazi! Ma io glieli darei i loro spazi! Sottoterra!» sentenziò. «E non cercare di convincermi che “gli artisti sono diversi”. Te lo dico io che mi sono sposata tre volte. Due volte con “artisti”: sono dei perfetti imbecilli!»
«Posso offrirti un caffè, Michelle?»
«No, grazie, tesoro! È da stamattina che ho un cerchio alla testa! Semmai una tisana, o uno di quegli intrugli cinesi o giapponesi, non mi ricordo la differenza.»
«Non hai provato a sentire il tuo medico?» domandò Julienne mentre si dirigeva in cucina.
«Il dottor Shimansky?» urlò per farsi sentire. «Oh cielo! Un perfetto imbecille, e non solo perché porta i pantaloni! Per il solo fatto di essere ebreo pensa di essere la reincarnazione di Freud!»
Julienne riempì il bollitore di acqua corrente.
«Ma veramente io pensavo a un medico vero… non a uno strizzacervelli.»
«Da qualche settimana vado da Karhindi, un curatore indiano. Un giorno ti devo portare da lui. Lo devi conoscere. Mi ha detto che in questo periodo la mia energia è negativa.»
Consumarono un tè caldo e parlarono a lungo. Dopotutto Julienne e Philippe erano sposati da pochi mesi e c’era sempre qualcosa di nuovo da dire o di cui spettegolare.
Per Julienne, poi, conoscere gli amici del marito era un modo per integrarsi più facilmente.
«Vieni di là con me nello studio di Philippe, ti faccio vedere una cosa!»
«Non avrai spostato i mobili anche lì, vero tesoro?»
«È una sorpresa! Guarda!» disse sollevando la tela che ricopriva il quadro. «È un dipinto di Philippe che sto restaurando. Pensa che era sotto a un altro!»
«Oh cielo!» esclamò esterrefatta Michelle.
«Non ti piace?»
«Ma questa e Dorothea!»
«La conosci? Pensa che per un momento ho creduto che fosse un personaggio di fantasia!»
«No, tesoro!» spiegò calma. «Questa temo proprio sia esistita davvero. Ma tuo marito non ti ha parlato di Dorothea?»
«No. Non mi ha detto nulla…»
«Beh, certo, forse non era il caso…»
«È forse una vecchia fiamma del mio Philippe?»
«Era sua moglie, mia cara… Era sua moglie!»
Julienne rimase senza fiato per un attimo.
«Non sapevo… forse…»
«Non so perché tuo marito non te ne abbia parlato. Gli uomini sono fatti cosi, pensano di fare del bene nascondendo le cose. Avrebbe dovuto dirtelo…»
«Ma che tipo…»
«Non ho avuto modo di conoscerla molto bene. Quando si sono sposati io ero in Germania. Poi sono tornata e li ho visti insieme solo per un mese circa.»
«Philippe sposato! Immaginavo che avesse avuto avventure passate, ma addirittura un matrimonio! Mi chiedo che tipo di donna… mi somiglia?»
«Ho sentito che doveva essere una persona molto speciale. Proveniente dal mondo dell’arte anche lei. Credo fosse musicista. Negli ultimi tempi però doveva essere molto cambiata, aveva frequenti mal di testa, a volte era nervosa. Qualcuno diceva fosse un po’ matta!»
«Non sai adesso che cosa stia facendo?»
«Julienne cara… Dorothea si è suicidata!»
Il ritratto di fronte a lei era quello di una morta.
Una persona aveva vissuto in quella stessa casa dove ora abitava lei. Una donna che suo marito Philippe aveva avuto accanto prima di lei!
Perché si era avvelenata?
Perché Philippe non aveva voluto dirle niente?
Perché aveva nascosto il suo ritratto sotto un altro?
Era solo il dolore ad aver coperto con la vernice quella zona oscura della sua vita o c’era qualcos’altro?
Restò sola in casa a completare l’opera di restauro.
Ora aveva un motivo in più per ripulire quel dipinto!
Stavano emergendo poco per volta altri particolari. La donna del ritratto, Dorothea, aveva un bicchiere in mano. Non si capiva se aveva appena completato l’atto del bere oppure doveva ancora iniziarlo.
Da principio pensava che l’incarnato pallido, cadaverico, di quel volto fosse dovuto al colore messo sopra, che non voleva andarsene via completamente. Ma poi si era accorta che Philippe aveva voluto realmente dipingerla con quella carnagione chiara, quasi azzurrina. Chissà se era veramente cosi, al naturale. L’avrebbe chiesto a Michelle la prima volta che si fossero riviste.
I tre quarti erano quasi completati. Mancava solo la parte più in alto a destra, che aveva trascurato perché pensava non vi fosse nulla di importante. Si concentrò lì.
In realtà quella zona celava una sagoma scura strana, confusa. Era un altro volto!
Per quanto pulisse quell’area con i suoi strumenti e con i solventi, non riusciva a vedere dei contorni nitidi, perché il pittore aveva voluto così.
Un’ombra si nascondeva alle spalle della donna ritratta, un viso sicuramente maschile. Per come era stato disegnato si voleva far capire che Dorothea in quel momento non sapeva di avere dietro di sé un uomo.
Ma era poi vero? La presenza era cosi eterea ed evanescente da apparire come uno spettro, più che una figura reale…
Si accanì sugli occhi.
Gli occhi, quegli occhi scuri cosi penetranti e pieni…
Erano gli occhi di suo marito Philippe!
Si ritrasse con orrore dal quadro, guardandolo terrorizzata da lontano. Una donna dall’aspetto languido e debilitato, con gli occhi socchiusi per proteggersi da una luce invisibile in quell’oscurità, reggeva con sole due dita un calice. Lo sfondo era la morte, che aveva gli occhi del marito!
L’aveva colta un’angoscia ingiustificata. Che motivo c’era di spaventarsi di fronte a un quadro?
Per tutta la sua vita artistica le opere che aveva visto le avevano suscitato tante emozioni. Ma era la prima volta che pativa un’ansia così profonda!
Si lasciò cadere sul divano stremata. Che cosa avrebbe potuto fare? Perché dipingere un quadro cosi angosciante? Perché Philippe avrebbe dovuto rappresentare se stesso in quel modo cosi incombente?
Non c’era alcun senso di dolore in quello sguardo! Poteva essere un marito che soffriva per la morte della moglie? O un uomo che invece vi aveva contribuito?
Fu assalita da un’idea: doveva cercare qualcosa! Delle notizie, delle informazioni qualsiasi! Forse sarebbe stato inadeguato chiamare qualche loro amico comune solo per delle inquietudini ingiustificate. Eppure conosceva così poco suo marito…
Si avviò nella loro stanza e inizio a cercare.
Cercare che cosa poi? Aprì cassetti, armadi. Rovistò persino in cucina e sopra i mobili più alti.
La cantina!
Era piena di cianfrusaglie ricoperte di polvere e ragnatele. Mobili d’altri tempi accatastati insieme a vecchi quadri scrostati, il più delle volte coperti da teli sudici e consunti. Alla sola luce di un lume stava rovistando nel passato del suo uomo!
Perché l’amore ti fa essere cosi cieco da non vedere la realtà? Perché ti costringe a usare la menzogna per cercare quello che il tuo cuore non vuole accettare o non osa chiedere alla persona amata?
Un baule attirò la sua attenzione.
Lo aprì e vi trovò tutta l’infanzia di Philippe.
Tutto quello che non le aveva mai raccontato, per timidezza o ritrosia. Libri, qualche pagella, diplomi, foto. Philippe piccolo… Vederlo bambino le aveva intenerito il cuore.
Da adulto era cambiato poco, e non solo fisicamente. Era rimasto un bimbo che aveva bisogno di affetto e di sicurezze. Si scoprì a volergli ancora più bene, ora che lo osservava con quei ridicoli calzoncini corti in un’immagine sbiadita.
C’era anche tutta la sua famiglia.
Sapeva che Philippe doveva avere dei fratelli, ma non aveva mai avuto la possibilità di conoscerli. Era sempre stato molto vago su di loro.
Ora poteva finalmente vedere i loro volti: una bambina e due maschietti, accanto alla madre.
La madre!
Quegli occhi e quella pettinatura! Ma certo! Era proprio lei!
La donna del ritratto che aveva appena scrostato!
La figura con abiti d’altri tempi, scolorita e sbiadita, era sua madre! Ecco perché le sembrava così famigliare quello sguardo! Erano gli occhi di Philippe!
Per un attimo si sentì un nodo alla gola.
Aveva appena distrutto forse l’unico quadro che raffigurava la madre di suo marito, per lasciare il posto a un orrendo ricordo. La moglie morta!
Ritornò nello studio.
Si mise a guardare con occhi diversi quel dipinto. Lo fissava assorta inclinando la testa per capirne i colpi di luce.
Era un vero mistero!
Non sapeva se distruggere quel quadro o ricoprirlo di vernice per poter riutilizzare la tela.
Aveva sbagliato a restaurarlo. Come si era pentita di quel gesto impulsivo ma sincero!
Quanto era lontano l’entusiasmo iniziale…
Prese il solvente e iniziò a versarlo sul panno.
Rimase qualche secondo incerta con la mano alzata sulla tela, prima di decidersi a premerla sul quadro per cancellare definitivamente quell’incubo.
Il bicchiere si dileguò.
Il viso di Dorothea iniziò a sciogliersi.
Prima la bocca che si allungò in una smorfia innaturale. Poi gli occhi che sembrarono aprirsi per rivelare una pupilla sgranata e terrorizzata.
Nulla.
Ormai stava scomparendo tutto.
Anche l’ombra del marito si mescolò con gli altri colori cancellandosi per sempre.
Ma mentre il quadro si stava dissolvendo, un’altra ombra sembrò apparire dal profondo di quella tela!
Sotto quel ritratto ce n’era un altro!
Ma come poteva essere? Si allontanò dal cavalletto per cercare di capire meglio.
Era inequivocabile! Sotto ci doveva essere qualcos’altro!
I contorni velati erano comunque ben visibili, nella trasparenza di quello che aveva appena cancellato.
Non cercò in se stessa motivazioni per farlo. Procedeva come un automa, ormai. In quell’infinita e ingiustificata spinta alla scoperta che c’è in noi, stava restaurando il nuovo ritratto!
Era sorprendente la semplicità con cui si lasciava ritoccare. La vernice sovrastante veniva via rapidamente, mentre quella sotto resisteva come se fosse stata posata solo il giorno prima.
Aveva dimenticato la delicatezza che le avevano insegnato a scuola.
Le avevano detto che una brava restauratrice doveva essere leggera come una ballerina, discreta e umile come una domestica, perché quello che si stava servendo era l’arte universale, e bisognava soprattutto conservare il rispetto che si ha per un oggetto sacro.
Ma la sua mano era nervosa, il suo cuore confuso e la testa piena di così tanti pensieri!
Ci vollero pochi minuti per completare l’opera e capire che cosa rappresentava quel dipinto.
Era un ritratto di donna, certo.
Quella donna era lei!
Aveva indosso lo stesso vestito che stava portando in quel momento!
E anche lo sguardo doveva avere l’espressione terrorizzata che stava assumendo lei nel guardare il suo ritratto…
Ma certo! Il quadro rappresentava la sua figura come sarebbe stata vista dal quadro stesso.
Proseguì nel pulire.
L’ultimo tocco invisibile era alle sue spalle.
Un brivido le corse lungo la schiena.
Nel dipinto dietro di lei c’era ancora come sfondo suo marito.
Gli stessi occhi penetranti e pieni!
Solo allora notò sul vestito, all’altezza del cuore, una macchia rossa che sembrava allargarsi mentre si prodigava a pulirla con il panno.
Un barlume di consapevole terrore la invase!
Si girò di scatto con orrore!
Philippe era lì! Con i suoi occhi scuri e un sorriso beffardo, e le stava affondando un pugnale nel cuore!

Tratto dalla raccolta di racconti noir
“Il sonno di Cesare”

(ISBN 9788888996448)
di Giovanni Maria Pedrani
Per gentile concessione de Il Ciliegio Edizioni

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