La Soglia Oscura
Misteri

VOIX
(Una scena tagliata)
di Davide Rosso

Sul fantasma del mostro di Firenze.

In molti si sono persi in quel labirinto di voci, testi, blog; quasi una particolare hauntologia dei nati negli anni ’70, la generazione a cui apparteniamo io e il mio amico Francis Trinipet. Mark Fisher ne parla con precisione, definendo l’hauntologia come qualcosa che ha a che fare con una generazione sommersa dalle tecnologie (youtube e prima dvd, vhs, video). La nostra memoria, i nostri ricordi non sono mai andati perduti. Fin da quando ero ragazzino ho preso a frequentare le prime videoteche della città, ho imparato a collegare i videoregistratori per duplicare i film che noleggiavo; rimanevo alzato fino a ore impensabili per registrare i passaggi dei film di Carpenter, Romero, Argento. Compravo in edicola delle riviste tascabili che mi informavano sulle nuove uscite in vhs. Riempivo la casa di nastri vergine e registrati, leggevo Ciak e Nosferatu, in attesa dell’amatissima rivista Amarcord, con gli articoli del mai troppo compianto Antonio Bruschini. La casa editrice Glittering (di Firenze) aveva già cominciato il suo superbo lavoro iconografico sulla cultura di genere degli anni ’60 e ’70. Da adolescente mi cibavo, da solo o con gli amici, di una cultura degli anni ’60 e ’70 che, nella piattezza culturale degli anni ’90, mi appariva ancora un autentico delirio di immaginazione selvaggia, uno shock proveniente da un altrove culturale, piuttosto che da un’era che cominciava già ad avere venti, trent’anni sulle spalle. Nelle nostre anime cresceva quella che Simon Reynold avrebbe chiamato (con una connotazione non propriamente positiva) “retromania”. Mark Fisher invece avrebbe ampliato e chiarito il concetto, rifacendosi a una terminologia che veniva addirittura da un saggio densissimo di Jacques Derrida sul marxismo. L’hauntology come concetto filosofico che lavora intorno a ciò che non è più, che non è ancora o non è mai stato: come la psicanalisi weird di Lacan o certa horror filosofia, questa nostalgia è una sorta di studio intorno agli spettri, a ciò che è passato, ma non ci si rassegna a lasciare. Una generazione di musicisti (indagati da Fisher), registi, scrittori, cresciuti consumando la cultura degli anni ’60 e ’70, affascinati dal crepitio analogico di un mondo scomparso e melanconico infestato di presenze da cui non sappiamo separarci (perché nel presente che viviamo non troviamo nulla che sia al medesimo livello). E dire che gli anni ’90 erano ancora un decennio densissimo. Noi adolescenti aprivamo gli occhi su un’Italia degna dei custodi della cripta della EC comics. “Progetto per occupare Saxa Rubra” (“La Repubblica”, 2 novembre 1993), “Tracce di golpe, gas nervino e legionari per occupare la Rai” (“la Repubblica”, 27 novembre 1993), “Saxa Rubra, l’ombra dei servizi” (“la Repubblica”, 26 novembre 1993), “Il Sisde dietro l’attacco alla Rai” (“l’Unità”, 26 novembre 1993). Il nostro delitto quotidiano. Bastava sfogliare le prime pagine dei quotidiani lasciati nei laboratori di chimica del mio Istituto professionale. Nuovi progetti golpisti. Giovanni Marra, Pier Luigi Vigna (reduce dalla grande caccia al mostro di Firenze), Donatella Di Rosa desnuda su qualche rotocalco. E ancora, Salvo Lima crivellato il 12 marzo 1992 a Palermo; il 23 maggio la strage di Capaci, il 19 luglio quella in via D’Amelio. Il 5 novembre, nel giardino dei Boboli a Firenze si scopriva una bomba da mortaio; una bomba scoppiava a Roma il 14 maggio 1993 in via Fauro, ai Parioli, destinata a Maurizio Costanzo. Il 26 e 27 maggio a Firenze le detonazioni in via dei Georgofili. Il 2 giugno altra deflagrazione a cento metri da Palazzo Chigi a Roma. Tra il 27 e il 28 luglio tre bombe tra Milano e Roma. La sera del 28 un black-out ingoiava Palazzo Chigi, costringendo all’oscurità il presidente del Consiglio Ciampi. Altre autobombe a Catania e un ordigno a Padova, al primo piano del palazzo di giustizia. Nel frattempo lo spettro di una Uno bianca si aggirava per la penisola, seminando morti e feriti peggio della Christine di King. Il 23 novembre 1993 un fantasma s’aggirava nello Shopville a Casalecchio di Reno, oggi Carrefour. Il 22 gennaio ’94, all’Hotel Ergife di Roma, Gianfranco Fini faceva il maquillage alla fiamma tricolore. Il 29 gennaio 1994 si sarebbe tenuto l’ultimo congresso socialista, il 18 la DC sarebbe scesa nella tomba, trascinando con sé i corpi mummificati dei suoi esponenti. Andreotti, geniale figura del gotico italiano, sarebbe sopravvissuto all’apocalisse. Ombra dello scorpione. Poi i pentiti avrebbero iniziato a parlare e anche il divo Giulio sarebbe stato trascinato in una lunghissima cronologia giudiziaria, imputato per Mafia e l’uccisione del Cavallo pazzo Pecorelli. Lo spettro Enimont, Gladio e i venti di Tangentopoli avrebbero portato ad altro, alla Lega di Umberto Bossi e all’alba di una nuova era. Lo spazio politico italiano somigliava ai cimiteri desertificati dipinti sulle copertine di tanti Oltretomba e Terror. Poi l’11 settembre, lo scivolamento in un post-Millennium fatto di antipolitica e globalizzazione. È cominciato un nuovo mondo, quello che secondo Miguel Gotor segna il trionfo definitivo di Amazon e delle tecno-corporation di Facebook, Google, Apple, potenze sovra nazionali governate da intelligenza artificiale e algoritmi segreti. Oggi, lo leggo da un bellissimo articolo di Stefano Cingolani del Foglio quotidiano, questi primi trent’anni di globalizzazione ci lasciano in un presente indefinito e incerto, in cui la Cina ha saputo, da paese comunista, applicare in modo spregiudicato le leggi del capitalismo mondiale, usando la globalizzazione, assorbendo tecniche e modelli occidentali, rielaborati in un progetto egemonico e culturale che la contrappone all’America. Cingolani vede tramontare il secolo americano, anche se non vede necessariamente nel secolo asiatico il futuro, lasciando presagire un mondo differente, polifonico e pluralista, in cui il nuovo petrolio saranno i dati, l’intelligenza artificiale, i computer quantistici e nuovi modelli di consumo online. Non mi sono allontanato da Fisher e dall’hauntologia, dalla visione di un futuro incerto, in cui non sappiamo ritrovarci, a cui non sappiamo dare delle coordinate precise. Ecco il sovrapporsi di altre immagini del passato, quel ricorrere ai piaceri dell’immaginazione che consistono nella rimembranza del passato, così come stigmatizza Leopardi in un passo (del 22 ottobre del 1828) dello Zibaldone. “Quasi tutti i piaceri dell’immaginazione e del sentimento consistono in rimembranze”, mitopoietica, memoria, speranze e illusioni del mondo mitico della giovinezza, degli anni in cui in nostri genitori erano giovani e vivevano in un presente che abbiamo edulcorato e semplificato nella triade capitalismo, borghesia, rivoluzione. L’hauntologia è costruita intorno a questo senso di perdita, alla consapevolezza della scomparsa di un mondo da cui non riusciamo a staccarci, anche perché non ne vediamo un altro (o non siamo capaci di vederlo) altrettanto allettante. Cosa ci azzecca con tutto questo il Mostro di Firenze? Basta cercare su internet e vedere quanti blog, forum sono dedicati a una vicenda che affonda ormai nelle sabbie del tempo. Libri, saggi nuovi quasi ogni anno, come pochi altri argomenti della nostra storia recente. Oggi, nel mondo dei social, l’epoca del mostro, la società che faceva da sfondo a quei delitti, ci appare lontana 1000 anni, spogliata, resa un guscio vuoto da una miriade di voci, ipotesi, interpretazioni. Eppure, come un esperimento psicanalitico, un fanatismo, una rovina, il mondo del mostro continua a ossessionare chi come me quel mondo ha fatto in tempo a conoscerlo. Oggi il MDF è una sala da ballo infestata, una vicenda labirinto popolata di spettri, gente morta (male) in una provincia italiana che si carica di ombre soprannaturali, talvolta sovrapposte a quelle traballanti di certi cinemini periferici, ormai chiusi, trasformati in altro, lasciati in disuso ai margini di una nuova azienda del divertimento colonizzata dal settarismo di Netflix. In questi riverberi e dissolvenze, tra i crepitii spettrali del web, il mostro è divenuto un grammofono sognante, una voce senza corpo che suona nell’etere, evocando un attimo prima di dissolversi ciò che rimane di noi, della nostra depressione, dell’incapacità di adattarci al ritmo alienante dell’azienda totale.

(Queste prime pagine costituiscono una variante rispetto a quelle finite nel saggio di true crime “Voix”, mio viatico nel labirinto incerto che collega la realtà italiana degli ultimi 50 anni con le forze oscure e mortifere di certo immaginario di massa. Per chi fosse interessato rimando alla versione completa e cartacea di questo lavoro.)

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Voix