La Soglia Oscura
Folklore e Tradizione

APPARECCHIARE LA TAVOLA PER I DEFUNTI
NELLA NOTTE DI OGNISSANTI
(Tradizioni di Sardegna)
di Viviana De Cecco

In Sardegna è sempre stata radicata l’idea che nella notte di Ognissanti il labile confine tra vivi e morti diventi più fragile, lasciando spazio al desiderio che i cari ormai scomparsi trovino il modo di tornare per qualche ora su questa terra. E per ristorarli dall’oscuro cammino che devono affrontare, molte famiglie apparecchiano la tavola come se fosse uno dei più felici giorni di festa.
Chi non ricorda le tavole imbandite dell’infanzia, in cui le risate di tutta la famiglia riunita davanti alle prelibatezze preparate dalle nonne o dalle mamme, risuonano allegre e cariche di speranze per il futuro? E chi, nel cercare queste immagini nella memoria, non prova una terribile nostalgia per i propri cari ormai perduti?
A volte capita che, sedendosi a tavola per un pranzo domenicale o una cena di compleanno, ci si volti a guardare le sedie tristemente vuote o accostate al tavolo, dove un tempo prendevano posto le persone amate che ormai hanno preso dimora in un luogo a noi ancora precluso.
Niente è più doloroso di un pasto consumato in solitudine o con la nostalgia di quelle risate che non si levano più gioiose nell’aria di festa.
Ed ecco perché in diversi paesi della Sardegna (ma a volte ne ho sentito parlare anche dai parenti salernitani), si tramanda da secoli l’usanza di preparare per i morti un ricco banchetto di mandorle, nocciole, frutta secca, mele, spaghetti con pecorino e soprattutto i tipici dolci sardi (pabassinas o papassini, pirichittus, dolcetti al formaggio e pardulas). Insomma, ognuno è libero di scegliere un po’ quel che vuole, assecondando anche i gusti del caro defunto che, in vita, potrebbe esser stato goloso di qualche cibo in particolare.
Un’anziana zia di mia madre aveva l’abitudine di cominciare a cucinare addirittura due giorni prima, per non farsi trovare impreparata. Il primo novembre, con una solerte puntualità, tirava fuori dalla credenza il miglior servizio di piatti che possedeva e, sopra una candida tovaglia ricamata, apparecchiava la tavola per i vivi e per il figlio morto di febbre a soli tre anni negli anni Cinquanta.
Al centro del ripiano, inoltre, è d’uso accendere un lumicino, per indicare la via alle anime smarrite, in modo che nel loro vagabondare, possano ritrovare la strada verso la casa in cui hanno vissuto e in cui potrebbero finalmente riabbracciare madri, padri, figli, sorelle o fratelli, per un ultimo addio o un saluto veloce prima di tornare nell’al di là. E poiché questo vagabondare è piuttosto faticoso, al loro arrivo si crede sia giusto offrire in dono tutto il cibo che potrebbe saziare la loro fame.
Ma c’è anche un lato più oscuro della tradizione. Sulla tavola dei morti non ci devono essere posate. Forchette, coltelli, cucchiai e quant’altro servirebbero per evitare di mangiare con le mani dev’essere bandito, perché a volte un defunto potrebbe aver lasciato un conto in sospeso con qualche mortale e allora… Meglio evitare di fornire strumenti di vendetta. La notte di Halloween, del resto, porta con sé non solo i ricordi, ma anche la sete di sangue. Come nella miglior tradizione americana, anche in Sardegna ci si difende dall’assalto di chi potrebbe varcare la soglia oscura per una ragione che niente ha a che fare con i ricordi o l’amore.
Ad ogni modo, non ha alcuna importanza crederci o meno. In fondo, ogni tradizione che riguarda i defunti è un modo per esorcizzare la paura della morte o per non dimenticare mai chi vorremmo di nuovo accanto a noi.