La Soglia Oscura
Folklore e Tradizione

SA REULA E IS ANIMEDDAS
di Annamaria Ferrarese

Ed eccoci alle porte della festa di Ognissanti, una festa che accompagna una delle più inquietanti leggende della mia terra e che vi racconterò con immenso piacere.
Dovete sapere che nella Notte delle Anime che cade tra il 31 ottobre e il 1° Novembre, quando il velo tra i vivi e i morti si fa più sottile, le anime dei defunti sfilano per espiare i propri peccati. Questa lugubre processione di anime penitenti è chiamata Sa Reula.
Per far in modo che le anime possano compiere la loro penitenza è importante che la processione inizi a mezzanotte e termini all’alba entro il terzo canto del gallo, così gli spiriti, vestititi con tuniche bianche, vanno e vengono per le vie del paese, tenendo tra le mani delle candele. Un personaggio particolare chiude sempre la fila e si tratta de “lu zoppu”, un anima che in vita aveva avuto gravi menomazioni e che la leggenda vede correr dietro le altre anime restando piuttosto indietro, rischiando sempre di non riuscire a fare la giusta penitenza, e per questo motivo era considerato lo spirito più cattivo e rabbioso del corteo.
Si racconta che chi si imbatteva sfortunatamente in questa processione, senza essere visto badate bene, e disgraziatamente vedeva tra le anime quella di un vivente suo conoscente, due potevano essere i significati per quella visione: Se la processione procedeva su per una salita, la persona, di cui l’anima vagava fuori dal corpo, sarebbe morta entro l’anno; se invece la processione procedeva lungo una discesa, gioia e buona sorte, direte voi, ma non è così infatti quella persona, momentaneamente disgiunta dalla sua anima, avrebbe patito una lunga malattia.
Ma cosa accadeva se lo sfortunato viandante si imbatteva nella Reula e veniva scorto dalle anime?
Diverse leggende sarde parlano di dure punizioni per i viandanti che interrompono i riti di espiazione delle anime (per esempio l’espiazione delle Panas, le donne morte di parto, di cui vi parlerò in un altro articolo), nel caso della Reula, l’incauta persona si sarebbe dovuta ritenere fortunata se le anime si fossero fermate solo ad un brutale pestaggio, tanto da riportare i lividi per parecchio tempo.
Ma vi erano alcuni modi per sfuggire alla rabbia dei defunti. Vediamole insieme: si doveva sperare di vedere, tra le altre, l’anima di un parente o conoscente che partecipava alla processione, dopodiché si aspettava che questa si avvicinasse e consigliasse al mal capitato di mettersi a bordo strada, sopravvento e a monte della processione, così da non sentire il tanfo dei morti, perché con ogni probabilità i conati provocati dal tanfo avrebbero disturbato e attirato le anime. Una volta raggiunto il ciglio della strada il disturbatore avrebbe dovuto farsi il segno della croce e recitare in continuazione e senza sbagliare, le “dodici frasi di San Martino”, vediamo insieme quali sono:
Uno, sopra Dio non c’è nessuno.
Due sono le tavole di Mosè
Tre il numero dei Magi (o le tre Marie: Madre di Gesù; Maria Maddalena; Maria di Cleofa).
Quattro sono gli evangelisti.
Cinque le piaghe del Signore.
Sei le strade del dolore ( o sei le candele che vengono utilizzate per la messa)
Sette i dolori di Maria ( che sono: Rivelazione, fuga in Egitto, Gesù dodicenne smarrito nel tempio, incontro con Gesù sulla via del calvario, crocifissione e morte, deposizione del corpo di Gesù tra le sue braccia, sepoltura) .
Otto sono i doni (Sapienza, intelletto, consigli, fortezza, scienza, pietà, timore di Dio).
Nove i cori degli angeli (o gli ordinamenti).
Dieci sono i comandamenti.
Undici le vergini ( uccise dagli Unni per ordine di Attila)
Dodici gli apostoli.
Tredici non è nella legge. Sette passi lontano da me, tre pietre di fuoco per non vederti in nessun luogo, tre pietre di fiume per non sentire il tuo nome, tre pietre di sale per non incontrarti;
E via, di nuovo tutte le dodici strofe da capo, fino a quando anche lo zoppo non fosse passato, allora a quel punto era meglio darsela a gambe. Come si può notare esiste anche una tredicesima frase, ma è più un incantesimo pagano che religioso, come a voler rafforzare le altre, sacre, con la magia.
Se invece tra le anime non ci sono né conoscenti, né amici, o semplicemente non vi venissero in soccorso, avreste un ultima chance. Una volta scoperto, le anime vi circonderebbero danzando in una folle coreografia. Non spaventatevi e partecipate al ballo dell’oblio e recitate i brebus (le parole tramandate):
Ballate, ballate voi, che questa festa è vostra! Quando verrà la nostra, canteremo e balleremo noi!
Queste parole susciteranno l’ilarità delle anime che pensano che sia giunta la vostra ora, solo per il fatto di averle interrotte, e a questo punto che dovete cogliere la palla al balzo, perché distratti dalle risa, avrete modo di scappare (forse).
Tempo fa, una nonnina carinissima, di un paesello dell’entroterra mi raccontò che poteva succedere che colui che s’imbatteva nella Reula, perdesse la parola per lo spavento e il trauma di aver visto le anime inquiete e vi è solo un modo per ridare la parola al disgraziato: con una magia ancestrale tramandata nel tempo.
Sarà necessario tagliare quattro ciocche di capelli allo sfortunato, in modo tale da segnare una croce. Quindi si taglieranno le ciocche dalla fronte, dalla nuca, dalla tempia destra e da quella sinistra. Fatto questo, occorrerà bruciarle e parte delle ceneri andranno sciolte in un bicchiere d’acqua che l’ammalato di “paura” dovrà bere tutto d’un fiato, tutto questo condito con la recitazione di parole antiche (brebus), che non ci è dato conoscere.

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Un’altra festa antica e ancora viva in molti paeselli della Sardegna è “Is Animeddas” che, nelle grandi città, ha assorbito nome e costumi della festa americana di “Halloween”.
Vediamone insieme i dettagli:
Il culto e il rispetto per le anime, sono antichi e ancora presenti in tutto il mondo. Qui da noi si pensa che le animas bonas e le animas malas (le anime buone e le anime cattive), non abbandonino la terra dopo la morte, ma che vaghino nell’etere in attesa di espiare i propri peccati e passare oltre. Loro abitano questa dimensione parallela (come fosse il “purgatorio”) e si ritrovano a condurre una vita simile a quella che conducevano quando possedevano ancora un corpo. Abitano le proprie case, percorrono le vie che percorrevano in vita e per questo motivo, in alcune ore di alcuni giorni, queste anime hanno la possibilità di attraversare il velo che li separa dal nostro mondo dandogli la facoltà di interferire con i vivi.
Durante il periodo di fine ottobre il velo che separa i due mondi diventa sempre più sottile ed alcune persone, con particolari doti, riescono a vedere le anime che compiono quello che facevano in vita. La notte tra il 31 ottobre e il 1° di novembre il velo si squarcia e le anime si riversano nel nostro mondo. Alcune di queste anime si rendono conto del proprio trapasso e possono esprimere il loro rammarico o la loro gelosia per le persone ancora vive ed è per questo che in questa notte, quando i familiari apparecchiano la tavola per i cari defunti, nascondono coltelli e forchette, che i morti potrebbero usare per ferire o uccidere una persona alla quale erano molto legati in vita, se volete conoscere altri dettagli su questo argomento, vi invito a leggere l’eloquente articolo di Viviana De Cecco su “Apparecchiare la tavola per i defunti”.
Ma veniamo alla festa vera e propria: Taaaanto tempo fa, la sera del 31 ottobre tutti i bambini della Sardegna si vestivano di stracci e si sporcavano il viso di carbone, poi andavano di porta in porta cantilenando: Seu bennius po is Animeddas (siamo venuti per le anime). A questo punto ricevevano frutta secca e fresca come dono per le anime, e si, niente caramelle e cioccolati a quei tempi, ma i bimbi erano felici lo stesso e forse anche di più.