BOCCACCIO E SHAKESPEARE MAGICI
(Brevissima storia della Letteratura Italiana n.2)
di Gianfranco Galliano
E’ possibile interpretare Boccaccio e Shakespeare come avrebbero fatto i loro contemporanei? La risposta è semplice: non lo è. Forse però è ipotizzabile scegliere una strada che dia, molto approssimata per difetto, un’interpretazione in qualche modo aderente almeno a una certa mentalità fra quelle reali alla loro epoca, o non troppo distanti da essa, e che faccia una buona volta giustizia di pellicole, per esempio, nelle quali Federico Barbarossa è semplicemente l’attore hollywoodiano del momento travestito da Federico Barbarossa, o in cui la giovane e bella – naturalmente – regina Isabella è un esempio archetipale di “donna libera” che sacrifica il potere sull’altare dell’amore, o infine i sempre stucchevoli documentari didattici che scambiano l’essere banalmente illustrativi con l’oggettività: tutte fesserie spacciate come cosiddetti “film storici”…
Dunque, bisogna scegliere un determinato punto di vista, una certa forma di fede compatibile con i secoli ai quali vogliamo riferirci: occorre sapersi accontentare di essa, che sia la religione come la gerarchia o la mentalità del mercante, e anche delle opere alle quali può essere applicata opportunamente: non a tutte, quindi (1). Per altre, occorrerà percorrere una diversa strada. Nel nostro caso, in mancanza della possibilità di rendere percepibili gli odori di un momento storico diverso dal presente (ai quali senza dubbio reagiremmo fuggendo in massa o defenestrando il malcapitato personaggio, fosse pure Cesare, convocato dal passato), abbiamo scelto di privilegiare la mentalità magica. Essa, non dimentichiamolo, ancora in pieno Settecento veniva combattuta dai filosofi illuministi, fin dal loro sorgere schierati innanzitutto contro la superstizione e per la tolleranza religiosa in genere. Tanta pervicacia dell’occultismo ne testimonia però anche la vitalità e la diffusione sociale non soltanto a livello di ceti meno elevati, sia economicamente che socialmente. Sì, ma di quale magia stiamo parlando? Per quelle che sono le mie modestissime conoscenze in merito, mi riferirò in modo forse un pochino arbitrario ma non senza ragioni al punto di vista di Julius Evola, ricordando a chi non lo sapesse che si tratta di un esoterista-filosofo totalmente compromesso con il fascismo, ma che tuttavia ha il merito di conoscere in profondità l’argomento di cui parla evitando fumisterie di (quasi) ogni genere nello sforzo di definire con il maggiore rigore possibile la magia e i suoi aspetti (2). Innanzitutto essa ha come obiettivo il “trattare con serietà e rigore le discipline esoteriche ed iniziatiche” privilegiandone “l’aspetto pratico e sperimentale” (3). Qui conviene fermarsi per una precisazione e un approfondimento. Precisazione: non proporremo nessuna lettura esoterico-profetica sul modello di quelle che alcuni hanno voluto dare, per esempio, di Dante e della Commedia; il motivo è semplice e si risolve con una battuta: volendo, è possibile interpretare esotericamente anche l’elenco del telefono, basta solo darsi un po’ da fare con l’immaginazione sul collegamento fra i numeri (che, come è ben noto, possiedono significati esoterici predefiniti: un classico è per esempio il 666 = la bestia dell’Apocalisse. Non vi dico cosa succede ancor oggi se qualcuno se lo trova incastonato nel proprio numero telefonico o nella targa della propria auto!).
Approfondimento (necessario per il nostro discorso): “la magia si basa sull’esistenza di forze sottili, di carattere psichico e vitale, e sulla base di una tecnica che può agire su di esse e con esse con lo stesso carattere di necessità e di impersonalità, e con la stessa indipendenza da doti morali nell’oggetto e nel soggetto, che la tecnica delle forze materiali presenta”. Veniamo subito a un esempio concreto: nella celeberrima novella di Chichibio (Decameron, giornata VI, novella quarta) Boccaccio narra di un signore giustamente irato col proprio cuoco che prendendolo in giro gli ha fatto fare una pessima figura davanti ai suoi commensali; egli è desideroso di consumare la propria vendetta mettendo il servo davanti all’evidenza dei fatti ed è disposto per questo ad aspettare fino alla mattina successiva. In altre parole, Currado è sul punto di non contenere più un’energia negativa interna che, accumulatasi ulteriormente nel corso della notte, deve per forza trasformarsi in azione, ovvero nel malmenare il domestico. Quando però inaspettatamente Chichibio risolve la cosa con una battuta di spirito, l’energia del suo padrone esplode in una incontenibile risata e a quel punto egli non desidera più punirlo, ma non per ragioni morali, bensì perché la sua energia ormai si è esaurita fuoriuscendo e questo lo lascia svuotato. Dunque: le forze sottili (l’energia) vengono trasportate attraverso una tecnica (l’umorismo) da un esito (punire il cuoco) a un altro (ridere per quanto egli ha detto). La stessa cosa può vedersi anche dal punto di vista opposto: Iago, per esempio, con le sue allusioni, le sue reticenze e lo stratagemma del fazzoletto che fa trovare nelle mani del supposto amante di Desdemona, Cassio, non mette in atto nient’altro che opportune tecniche in grado di trasformare l’energia negativa del Moro (la gelosia) in qualcosa di attuale, da semplicemente potenziale che era. In questo caso, se vogliamo, il compito dell’alfiere è decisamente più semplice rispetto a quello del cuoco: infatti, mentre quest’ultimo deve mutare la rabbia nel suo contrario, impresa da “magia bianca” non certo di poco conto, il primo non deve fare altro che insistere su un sentimento (la gelosia) già ben radicato nel suo signore (4). Qualcosa di più complesso si può dire utilizzando come chiave interpretativa per lo stesso Shakespeare uno dei contributi di maggiore interesse pubblicati sulla rivista “Krur”, firmato da Evola con lo pseudonimo di Iagla: “Sulla ‘Legge degli Enti’”. In esso, la sua attenzione si concentra sui collegamenti fra gli individui, dall’eredità biologica alla “ ‘maledizione’ di una colpa” che “si può estendere attraverso le generazioni dello stesso sangue, sinché l’ ‘espiazione’ non sia completa – sino a che la reazione non si sia esaurita a mezzo di determinati avvenimenti”. […] Il principio di permutazione vuole, infine, che un’ ‘offesa’ fatta da, o a, un singolo membro, può essere riscattata da un altro membro che sostituisce il primo. L’uno può essere sacrificato per l’altro, l’uno risponde per l’altro, o l’uno vendica l’altro. L’effetto è lo stesso. […] L’azione dell’offensore ha creata una reazione, perché ha rotto un equilibrio. Finché la reazione non si esaurirà, il fattore di squilibrio si manterrà nella forza della catena: e attirerà contro di essa esattamente ciò che l’offensore deve subire come effetto creato dalla sua causa. La vendetta, invece, esaurisce la forza, riconduce allo stato d’equilibrio” energetico – come al solito, la morale non c’entra. “Ma vi è, oltre alla vendetta, un’altra possibilità: l’amore. Qui la dinamica occulta rivela una legge, che getta una luce allarmante sul significato e sul segreto di certi insegnamenti. L’amore, inteso come l’atto di simpatia profonda per cui si penetra nell’essere intimo di un’altra persona, crea un rapporto nel senso obbiettivo spiegato più su. Crea dunque una via per ogni forza in azione o in reazione. Ogni reazione non risolta la percorre. Chi sa resistere,” al desiderio di vendetta “amando, può dunque condurre lui stesso dove vuole le reazioni. Comprendete così che cosa terribile e serpentina sia il precetto: AMA IL TUO NEMICO: è il modo di proiettare su lui stesso la reazione che egli ha determinato. E’ una vendetta invisibile e inesorabile!” A ben vedere, questa è esattamente la storia di Romeo e Giulietta: la faida infinita delle famiglie Montecchi e Capuleti fra vendette e permutazioni (in base alle quali, come accade anche oggi nelle cosiddette vendette trasversali fra criminali, l’uno muore per l’altro, che so il nipote al posto dello zio) fa da sfondo all’amore di Romeo Montecchi per Rosalina Capuleti, che a causa di un voto di purezza e castità lo respinge. A un ballo in maschera, però, egli incontra Giulietta, della quale si innamora immediatamente e follemente (all’apparenza senza una spiegazione plausibile) e dalla quale è immediatamente e follemente riamato. Se l’amore di Romeo (positività) verso Rosalina è frustrato da lei sia in quanto donna (negatività) che in quanto Capuleti (negatività) ed egli nutre risentimento verso la ragazza in entrambe le sue caratterizzazioni (sessuale e sociale), trova però in Giulietta un nuovo amore stavolta corrisposto (positività). A questo punto lui la odia in quanto Capuleti (lo voglia o meno, ha imparato a odiare la sua famiglia all’interno della propria e in più nutre ostilità nei suoi confronti a causa di Rosalina che non gli si è concessa), ma la ama in quanto Giulietta: non si spiega altrimenti la ragione del suo “colpo di fulmine” (l’energia spinta al suo punto massimo, all’esplosione) che lo porta fino alla decisione del matrimonio immediato, se non con un eccesso paradisiaco e infernale al tempo stesso (“O amore rissoso! O odio amoroso!”), un matrimonio per l’appunto “del cielo e dell’inferno”, una vendetta erotica interpretata invece comunemente come l’archetipo dell’amore perfetto, ma contrastato dalla legge del clan familiare, o ancor più genericamente dalla società.
Mi rendo conto della paradossalità della mia breve indagine: allo scopo di svolgere un lavoro storico, e quindi scientifico per definizione, ho dovuto fare i conti con quanto esiste di meno storico e scientifico, almeno secondo la nostra epoca, e soprattutto utilizzarlo come strumento interpretativo. Ma la magia nei secoli scorsi è stata scienza e storia, quindi – lo si voglia o meno – non è possibile evitarne l’influenza sull’interpretazione stessa del passato. Tanto più se i razionalisti movimenti di sinistra l’hanno lasciata in mano a estremisti di destra.
NOTE
(1) Avevo avuto la tentazione di inserire il racconto di Sheherazade accanto alle opere di Boccaccio e Shakespeare, ma sinceramente collocazione geografica orientale ed epoca (all’incirca il X secolo) mi hanno consigliato di evitarlo: l’azzardo intellettuale che propongo in queste righe mi pare già più che sufficiente.
(2) Per chi volesse avvicinarsi, con giudizio, all’autore consiglio Maschera e volto dello spiritualismo moderno, che pure contiene l’enorme sciocchezza criminale della psicanalisi interpretata come scienza ebraica.
(3) Con tutta probabilità e come gli capita molto spesso, qui Evola fa riferimento all’Oriente, e a giusta ragione: basta leggere la prima parte del voluminoso libro di Mircea Eliade Lo Yoga Immortalità e libertà per rendersi conto del fatto che la pratica magica esiste, eccome, e dà risultati oggettivi: la parte veramente difficile sta nell’esercizio costante, nel quale si sostanzia il volerla
(4) “Come si fa a far sì che una persona si senta stupida? – Gli si fa vedere e rivedere se stesso ogni volta che ha parlato e agito da stupido e si è sentito stupido per un numero infinito di volte alimentato nella combinazione della morbida macchina calcolatrice regolata in modo da trovare sempre più schede perforate e in modo da aumentare sempre più immagini di stupidità” (W. S. Burroughs, Nova Express). Si sostituisca “stupidità” con “gelosia” (o qualsiasi altra caratteristica, emozione o sentimento si voglia esaltare) e il gioco è fatto. E inoltre, per usare un esempio classico: è sempre più facile distruggere un acquario (la forza negativa esercitata da Iago) che costruirlo (quella positiva di Chichibio).