ESCAPE
di Annamaria Ferrarese
1.E-mail
Sandro era un tester di videogiochi, un lavoro che faceva con passione e dedizione… l’unico lavoro che gli evitava di stare a contatto con la gente. Non amava le persone e le persone non amavano lui.
Faceva una vita solitaria, il suo aspetto era trasandato, la sua fronte e le sue guance sfoggiavano in un’ostinata acne, nonostante i suoi ventotto anni.
Ma nel suo lavoro era un professionista, e accidenti se era bravo… non faceva altro che ripeterselo.
Quella mattina di settembre, si era alzato con un po’ di buon umore, fatto molto raro, e prima di mettersi a lavoro sul nuovo videogame diede un’occhiata alle mail, come ogni mattina.
«La solita spazzatura!» Esclamò.
Una mail della compagnia per cui lavora gli rammenta di consegnare, agli sviluppatori, l’esito dei suoi test, per verificare gli eventuali bug del gioco, entro la data stabilita o sarebbe stato sostituito senza preavviso.
«Bastardi!»
Il solito malumore stava rimontando velocemente, fino a quando, non vide una nuova mail con oggetto: “Tester Real Escape”.
Gli chiedevano se fosse stato interessato ad appurare i giochi di logica, che avrebbero permesso, ai partecipanti futuri, di scappare dalla casa.
Il sorriso riaffiorò sulle sue labbra. Era una cosa che non aveva mai fatto, se non virtualmente e la cosa lo intrigava. Rispose alla mail:
“Sono interessato alla vostra proposta. Potremmo sentirci per definire i dettagli.
Sandro Loy.”
Erano ormai le 10:30, doveva mettersi a lavoro sul nuovo videogame o avrebbe perso il compenso e non poteva permetterselo!
Non gli dispiaceva lavorare per interminabili ore, soprattutto quando la sua bravura gli permetteva di trovare errori, che avrebbe poi sbattuto in faccia agli sviluppatori.
Se fosse stato lui il creatore, nessun tester avrebbe mai trovato un “bug.”
Era notte inoltrata quando decise di staccare. Si sentiva affamato, durante il giorno aveva ingerito solo qualche avanzo da fast food che aveva in frigo, chissà da quanto.
Avrebbe ordinato una pizza e l’indomani altro fast food a domicilio.
Se sua madre fosse stata ancora viva sicuramente avrebbe mangiato in modo sano, ma ormai lei era morta e lui non aveva certo tempo di stare ai fornelli, probabilmente non sarebbe stato capace neppure di friggersi un uovo.
Sul cellulare, una notifica lo informava di una nuova mail.
Quasi si era dimenticato del nuovo lavoro che gli era stato offerto, l’aprì con curiosità ed entusiasmo.
“Compenso: Euro 950,00.
Test stabilito: Domenica 09 Settembre, anno corrente.
Orario stabilito: h 20,30.
Luogo: Dati mancanti.
Si attende immediata risposta.”
«Dopo domani…» Rifletté a voce alta.
Il compenso non era male per qualche ora di lavoro, sempre che i giochi di logica fossero stati alla sua altezza, altrimenti in una mezz’oretta avrebbe intascato soldi facili!
E-mail di risposta:
«Accetto la vostra proposta. Attendo info su luogo”
«Fatto!» Esclamò premendo sull’icona di invio.
Non era molto entusiasta di uscire dalla sua tana, ma le bollette andavano pagate.
Nuova notifica, nuova mail.
“345.903.7658”
«Che diavolo sarebbe questo? Un numero di telefono? E dovrei chiamarli io? Spilorci!
Ma lo fece.
Digitò il numero e rimase in ascolto, probabilmente non avrebbero risposto. Gettò lo sguardo sul vecchio pendolo che sua madre adorava: 23:06.
«Pronto.»
La voce che rispose era quella di un uomo, priva di tono.
«Si, pronto, chiamo per il test del…» Non finì la sua frase, l’interlocutore lo interruppe.
«Conosce la tenuta Syorry?» Chiese la voce monotona.
«Sì, credo di sì. È una località di Terra del Capo, giusto?»
«Esatto! Ore 20:30 alla Villa. Sarà atteso.»
L’interlocutore non attese risposta, interrompendo la comunicazione.
Sandro rimase sgomento col telefono ancora sull’orecchio.
«Che stronzo!»
Domenica h 19:00
Il viaggio che lo attendeva sarebbe stato di circa un’ora e venti, ma almeno non lo avrebbe fatto coi mezzi pubblici. Aveva la vecchia Ford di sua madre, grazie a Dio.
La tenuta si trovava in mezzo alla campagna.
La strada sterrata finì prima di arrivare alle vecchie mura, in pietra, della recinzione che nascondevano la villa.
Sandro parcheggiò e scese. Doveva proseguire a piedi per circa trecento metri.
E la cosa accentuava il suo umore nero.
I cardi selvatici coloravano la sterpaglia, rinsecchita dal calore estivo, di rosa e viola. Nell’aria il frusciare degli eucalipti, si era alzato il maestrale.
La zona era desertica, gli escrementi di pecora, di un gregge che aveva pascolato li, iniziava ad emanare la sua “fragranza” particolare. Dall’incavo di un tronco, arrivava l’incessante e nervoso ronzio di un nido di vespe, forse sapevano che la loro vita volgeva al termine.
Posto ideale per un gioco di fuga da paura! Pensò.
Un punto a loro favore, ma non sarebbe bastato.
Camminava a passo svelto, sventolandosi di tanto in tanto con la mano, nugoli di moscerini che tagliava, passandoci attraverso.
Odiava la campagna!
Finalmente il cancello. La grossa inferriata era completamente arrugginita. Le erbacce intrinseche nel ferro e il grosso catenaccio che lo chiudevano, parevano lì da secoli.
Sandro si avvicinò alle sbarre per vedere oltre, ma non c’era anima viva.
L’aria era immobile, non si avvertiva più nessun rumore.
Persino il vento si era placato.
Il suono di un clacson in lontananza lo distolse dai suoi pensieri.
Controllò l’ora, le 20:30.
Quantomeno è in orario, pensò.
Osservava la piccola figura, distante, che si avvicinava.
Troppo minuta e troppo colorata per essere un uomo.
«Buona sera, spero di non essere in ritardo.» Disse la giovane ragazza sorridente, quando l’ebbe raggiunto.
«Solo un minuto, non c’è problema. Vogliamo iniziare? Avrei fretta, se non le dispiace.» Disse Sandro voltandole le spalle.
Il sorriso sulle labbra della ragazza si spense.
«Ma certo.» Rimase in attesa.
«Che fa? Non apre? Le ho appena detto che ho fretta.» Chiarì ancora una volta Sandro, voltandosi a guardarla.
La ragazza lo guardò stupita.
«Ma, mi scusi, non è lei che mi ha contattato per il test?»
Sandro si accigliò.
«Sei anche tu una tester game?»
«Sì. Anche tu?»
«Se avessi saputo di dover lavorare con un’altra, non avrei accettato!»
La ragazza si ammutolì.
Sandro iniziava a spazientirsi, guardava di continuo l’orologio.
«Forse, dovremmo fare un giro, probabilmente c’è un’altra entrata. Comunque io sono Alice, piacere.» Disse allungando una mano.
«Non credo, io vado di qua, tu prova dall’altra.» Disse il ragazzo lasciando Alice con la mano tesa.
L’idiozia del ragazzo, non la scompose, che si fotta! Non aveva bisogno di lui per fare il suo lavoro. Se aveva deciso per la scortesia, si sarebbe adeguata.
Poterono perlustrare solo la parte frontale della recinzione, i fichi d’india e i rovi, impedivano di girarci intorno.
Sandro ripercorse la strada fatta, ma poi girò per raggiungere la macchina, si era stancato di aspettare.
«Ehi tu, aspetta! Il cancello ora è aperto!» Gli gridò Alice.
Sandro si fermò, non era convinto di proseguire, ma poi pensò di dare sfoggio della sua bravura a quel “topo da biblioteca”, e decise di raggiungerla.
Entrarono nel giardino incolto, passando dal pertugio che erano riusciti a creare spingendo il cancello arrugginito.
La luce del tramonto iniziava a spegnersi lentamente.
«Questo posto è da brividi!» Esclamò Alice.
«Ehi! C’è qualcuno?».
2. Inquietudine.
Attesero qualche secondo, tendendo l’orecchio ad un qualsiasi rumore.
Possibile che chi avesse aperto quella pesante catena, si fosse dileguato senza aspettarli?
Eppure così era.
«Incamminiamoci verso la villa, forse, ci attendono là.»
E mentre diceva queste parole, Alice si incamminò, senza neanche aspettare risposta dal ragazzo.
Questo lo infastidì. Come poteva ostentare tanta autonomia? Del resto era una femmina.
Non poteva restare indietro. E se per caso avessero scelto a chi dare il lavoro una volta arrivati lì? La raggiunse a grandi falcate.
Alice sorrise, sentendolo arrivare.
Le mura della villa apparivano sgretolate, l’edera quasi l’avvolgeva completamente, ciuffi di piante sbucavano qua e là, dalle crepe ancora libere dall’infestante rampicante.
Un maestoso Ficus, lasciato incolto, iniziava ad abbracciare con le sue radici aeree, parte della facciata e del portico.
«C’è qualcuno alla finestra!»
«Dove?» Chiese Alice, guardando verso il primo piano, ma non vide nessuno.
«Allora vi decidete a scendere? Non ho tempo da perdere io!»
Lo scricchiolio di rami spezzati, alle loro spalle li fece voltare.
L’uomo che si presentò non doveva avere più di 50 anni….
«Buonasera e benvenuti» Esordì.
«Buona sera.» Alice salutò cordiale, ma non si avvicinò a stringergli la mano. Quell’uomo la metteva a disagio.
«La puntualità non è il vostro forte, a quanto pare!» Si intromise Sandro, stizzoso.
«Mi dispiace, ma non decido io l’apertura del cancello. Vi stavo aspettando. Mosse alcuni passi verso di loro e aprì la cartelletta che teneva in mano.
«Questi sono i vostri assegni. Qui non c’è corrente elettrica, ma troverete delle lampade accese in ogni stanza della villa.»
Guardando dalle finestre, coperte da tende fatiscenti, si intravedeva il tremolio di luce arrivare dagli ambienti.
«Vorrei sapere come mai non sono stato avvisato che avrei lavorato in team con altri tester.»
«Ripeto non sono io che prendo certe decisioni.»
«Prima di decidere, vorrei parlare con l’organizzatore, presumo che sia già dentro.»
«Dentro? No, non c’è nessuno. E comunque la villa, come potete vedere, è molto grande, infatti è stato tutto organizzato per ospitare due gruppi di giocatori. Uno al piano superiore ed un altro in quello inferiore.»
«Io ho visto una donna alla finestra, vede proprio quella.» Insistette Sandro.
«Forse il gioco prevede degli attori?» Chiese Alice.
«Nessun attore glielo assicuro. Nella villa sarete soli. Ora entrate, si sta facendo tardi.»
«Io prendo il piano superiore.» Disse Alice.
«Non credo, lo prenderò io. Li su c’è qualcuno e lui sta mentendo.» E la scansò con una spallata.
Alice perse quasi l’equilibrio, se lo strano uomo non l’avesse sorretta.
«Lei è un uomo arrogante, signor Loy. Spero si possa godere il compenso.» Disse l’uomo con un inquietante ghigno sul volto.
Sandro lo guardò per un attimo, poi gli diede le spalle e salì le scale in pietra, che fiancheggiavano il muro della casa. Spinse la pesante porta, i cardini cigolarono, ed entrò.
Appena fu dentro la porta si chiuse da sola con un pesante tonfo.
«Ha fatto la scelta giusta, come sempre.» Disse l’uomo. sentendo la porta sbattere.
Il suo ghigno era diventato un largo sorriso, sui denti perfetti.
«Come sempre? Il signor Loy ha già lavorato per voi?» Chiese Alice, a disagio, per essere rimasta sola con lui.
«Non parlavo del signor Loy» Rispose, tornando immediatamente serio, «Lei se vuole può andare via, signorina.» «Come via? Mi avete presa in giro? Avreste potuto avvisami con una mail.» «Come ho già detto, non prendo io queste decisioni.» Continuava a guardarla serio, con uno sguardo profondo e cupo. «Va bene, ho capito!» La ragazza frugò nella borsa per restituirgli l’assegno.
«Può tenere il compenso, per il disturbo. Adesso vada via!» La voce dell’uomo stava iniziando ad alterarsi e lei iniziava ad averne paura.
Tolse la mano dalla borsa.
«Vada.»
Alice non salutò, voltò le spalle e quasi di corsa raggiunse il cancello. In fondo era contenta di tornarsene a casa.
Sandro trasalì sul forte rumore della porta, sbattuta con violenza. «Bel trucchetto, ma ci vorrà ben altro per spaventarmi.»
Si trovava in un ampio salone. Tutto era molto vivo, come se quell’ambiente fosse ancora vissuto. Le pareti erano per metà rivestite in legno e nella parte alta, soffitto compreso, completamente ricoperte da pesanti affreschi, raffiguranti caotiche scene allegoriche. Un imponente e massiccio tavolo in noce, finemente intagliato con tre sostegni a forma di vaso collegati al basamento più ampio del piano stesso, faceva da padrone al centro della sala. Tutto intorno graziosi salottini di diversi colori, posati sul pavimento in maiolica, terminavano quel pesante arredamento. Le finestre prive di tendaggi, apparivano stranamente nude, in quella cacofonia di forme e colori. La fiamma tremolante della lampada a olio, posata sul pavimento, dava all’ambiente un aspetto spettrale, ma l’arroganza del suo carattere non dava spazio a nessun altro sentimento. Sandro si guardava in giro, cercando indizi per uscire dalla villa prima di Alice, era assolutamente convinto di poterci riuscire. Inizialmente pareva non ci fossero altre porte, oltre a quella dal quale era entrato, poi finalmente notò una maniglia all’altezza del suo petto, proprio nella parete difronte. La porta risultava un tutt’uno con l’affresco e il legno, della parete stessa. Una porta segreta. Era del parere che in quella stanza non avrebbe trovato indizi, a meno che la nuova porta non fosse stata chiusa. Ebbe la strana sensazione di essere spiato, probabilmente il creatore aveva disposto telecamere in ogni stanza. Avanzò verso la porta “segreta”, che si aprì immediatamente. La nuova stanza era molto più piccola. Gli arredi erano polverosi, l’aria carica di un pungente odore di stantio. Anche lì, poggiata sul pavimento, c’era una lampada ad olio ad illuminare il polveroso pavimento. A differenza della prima stanza, la nuova era ricca di mobili. Cassettoni, cabinet e un bellissimo secretaire intagliato ed ornato con malachite e oro. Sul ripiano dello scrittoio una penna d’oca immersa nell’inchiostro, ormai secco, del calamaio, e della carta ingiallita, davano l’idea di un tempo, prigioniero del tempo. Sembrava che quella stanza fosse rimasta così da secoli e per secoli così sarebbe rimasta. È incredibile, questi mobili sembrano autentici. Fu il suo pensiero, e se ne convinse man mano che frugava nei tanti cassetti e cassettini, colmi di meraviglie appartenute ad un altro periodo storico. Anche quella stanza sembrava priva di indizi. «Desidera del tè?» Chiese una voce di una donna, alle sue spalle.
Sandro si girò di scatto. Era sicuro di aver visto qualcuno alla finestra e questo ne era la prova, ma nella stanza non c’era nessuno a parte lui. Anzi no, qualcosa era cambiato: Sul piccolo tavolino posto tra due poltroncine stile barocco era comparsa una tazza da tè.
«Come diavolo è possibile!» Esclamò ad alta voce, mentre si avvicinava cauto per osservarla da vicino.
«Non c’era prima, ne sono sicuro!»
Eppure era piena di polvere come il resto delle cose.
«Chi c’è qui?» Domandò, ma l’unica risposta fu una leggera eco della sua domanda.
Raccolse la lampada dal pavimento e la sollevò per guardare meglio intorno. Tutto era immobile, nessun rumore. L’unica cosa che stonava erano le sue impronte sulla polvere del pavimento.
Già le impronte. Ma c’erano solo le sue.
Come avevano potuto anche solo accendere la lampada senza lasciare impronte? E da dove proveniva quella voce? Avrebbe giurato che la donna si trovasse proprio dietro le sue spalle.
Dove era finito? Iniziava a sospettare che non si trattasse di svolgere un semplice test su un gioco di Escape, anche perché non vi era nessun indizio, nessun enigma, né sciarade o combinazioni. Niente!
Decise di cercare la scala interna che portava al piano inferiore. Voleva accertarsi che anche Alice non avesse trovato nulla, o forse non voleva restare da solo. La sua arrogante sicurezza lo stava abbandonando lentamente.
Si fece coraggio ed aprì la porta che conduceva al nuovo ambiente, spoglio di mobili. Gli unici arredi erano dei tendaggi in seta damascata, bordeaux e avorio, e dei ritratti di persone sconosciute, con vistosi abiti settecenteschi.
Ma il ritratto che più attirò la sua attenzione, fu quello di una donna che teneva tra le braccia un neonato. Gli occhi scuri dipinti, lo fissavano, seguendolo nella stanza.
Un brivido lungo la schiena gli fece prendere coraggio ed impugnare la maniglia della nuova porta.
Si ritrovò nell’ampio pianerottolo, il pavimento era in marmo bianco, così come la balaustra fatta, di un susseguirsi, di colonne che si rincorrevano giù per la scalinata.
Finalmente.
Discese velocemente le scale, un senso di inquietudine iniziava a farsi strada sempre più prepotente.
«Alice!» Chiamò.
Il suono di un carillon stonato si azionò e subito dopo qualcuno rispose da una stanza indefinita.
«Sono qui, Sandro. Raggiungimi.»
La voce di Alice lo tranquillizzò…
3. Presenze.
Sandro si ritrovò in una immensa sala, il suono stonato del carillon cessò all’improvviso ed iniziò un brusio di voci sommesse ed una musica di violini si diffuse nell’ambiente, come se fosse giunto nella sala durante una festa passata. Vedeva delle ombre volteggiare intorno a lui, ma solo con la coda dell’occhio, quando si girava per metterle a fuoco, queste svanivano.
«Aiutooo! Alice dove sei!» Il panico iniziava a farsi strada tarlandogli la mente.
Il carillon si riaccese.
«Sono qui, vieni da me…» La voce di Alice era leggermente più acuta.
«Cristo santo, ma cosa sta succedendo?»
Seguì il suono del carillon, attraversò una nuova stanza. Anche lì un vociare sommesso lo attendeva. Distingueva alcune voci più chiare di altre.
«Non dovevi entrareee….»
«Sarai uno di noiiii….»
«Resterai con noi per sempreee…»
«Chi c’è qui! Chi siete?» Sandro piangeva…
«Lasciatemi in paceeeeeeeeee!!!»
Disperato si sforzò di seguire il suono del carillon.
Imboccò una nuova porta, il vociare cessò di colpo, così pure tutta la musica.
Alice era lì, di spalle, davanti a lui. La camera era piena di vecchi giocattoli, velati di polvere, sparsi ovunque.
Sotto una delle finestre adorne di pesanti drappeggi soffocanti c’era una grande poltrona.
Al centro una fatiscente culla attirava l’attenzione della ragazza davanti a lui, china su di essa ridacchiava sommessamente.
«Alice, finalmente!» Esclamò sollevato.
La ragazza non si voltò, continuando a ridere, mentre guardava nella culla.
Qualcosa non andava, prese coraggio e si avvicinò a lei, piano. Allungò una mano e gliela posò su una spalla e diede un’occhiata dentro la culla. Al suo interno, tra pizzi e merletti, si trovava una raffinata bambola di porcellana che lo guardava con occhi vitrei.
«Alice, ma che hai da ridere?» Domandò piano.
Alice si voltò a guardarlo con un sorriso ebete sulle labbra, e lo sguardo velato di bianco. Continuava a girare la testa in modo innaturale, mentre il resto del corpo restava rivolto alla culla.
«Dio mio…».
La pelle della ragazza iniziò a spaccarsi con sordi schiocchi, come fosse di porcellana, fino a sbriciolarsi davanti ai suoi occhi.
«Alice!».
Non poteva sapere che Alice non era mai entrata in quella villa, lei era al sicuro, lo era sempre stata.
Davanti al mucchio di cocci ai suoi piedi tremava e piangeva. Cercava di restare aggrappato alla ragione fino a quando il suo sguardo non andò verso la culla, ora la bambola era seduta, teneva tra le mani la sua testina riccioluta e lo guardava con aria birichina.
Vacillò ma non cadde, ripercorse la strada fatta. Riattraversò la grande sala da ballo, proiettandosi sulla scalinata, mentre mani invisibili lo afferravano e lo graffiavano. Riuscì a districarsene e a salire la scala con la forza della disperazione.
Varcò la porta della stanza coi ritratti. Ogni singolo viso ora sfoggiava un ghigno affilato e uno sguardo demoniaco.
Sbandando, frastornato dalle risa che uscivano da quei nefasti ritratti, raggiunse la camera con lo scrittoio. Qualcuno aveva usato la penna e l’inchiostro, adesso sul foglio ingiallito, spiccava una sola parola “fame”.
Ritrovò la stanza senza tende, dove tutto era iniziato, ma la porta dal quale era entrato, non c’era più.
In quel momento la ragione andò in frantumi, aprendo le porte alla follia.
Le urla disumane di Sandro riempirono le stanze della villa, si scagliò sui vetri pestando i pugni con violenza inaudita, ma questi rimbalzavano come se fossero stati di gomma e intanto il vociare della sala da ballo lo stava raggiungendo.
Dal giardino, l’uomo che li aveva accolti, lo guardava ridendo compiaciuto.
Le urla del ragazzo si spensero dopo un acuto strozzato, poi fu il silenzio.
L’uomo sorridente, si avvicinò alle mura della villa e vi si appoggiò contro con il corpo, il muro lo inglobò, in parte, dentro di sé.
Ancora una volta era riuscito a nutrirla ed ora lei lo ricambiava offrendogli una parte dell’essenza vitale strappata all’arrogante ragazzo.
L’uomo che si staccò dal muro adesso era diventato un giovane ragazzo. Sorrise accarezzando la parete, imboccò il viale verso il cancello, lo varcò. Il cancello si richiuse e la catena serpeggiò fino ad unirsi col pesante lucchetto.
Presto si sarebbe aperto ad un nuovo, saporito, ospite.