ESTATE ’69, OTTOBRE ’69 – MAGGIO e LUGLIO ‘70: PSICHEDELIA & KKK
di Davide Rosso
Il ’69 psichedelico della letteratura italiana è affidato esclusivamente alla penna fertilissima di Laura Toscano, la più grande scrittrice thriller che l’Italia abbia avuto.
Il 5 ottobre del 1969 esce il n. 124 della collana I capolavori della serie KKK classici dell’orrore, edita dalle Edizioni Periodici Italiani di Marco Vicario, collana per la quale, brevemente, ha collaborato un giovanissimo Dario Argento.
Il n. 124 si intitola Il terrore alle spalle e la scrittrice Laura Toscano si firma con uno dei suoi numerosi pseudonimi, Jannet Milles. La trama, originalissima per allora e per oggi, registra a caldo le impressioni dell’opinione pubblica italiana sui macabri fatti avvenuti ad Agosto a Bel Air in America. L’estate del ’69 è alle spalle ma ha lasciato i suoi frutti. Da noi, in luglio, Feltrinelli pubblicava un opuscolo sulla minaccia incombente di una svolta radicale e autoritaria a destra, di un colpo di stato all’italiana, accelerato dalla visita di Nixon in Italia, dall’esodo estivo, dal generale disinteresse. Una realtà italiana su cui pende l’ombra della Grecia dei Colonnelli e l’obsolescenza delle istituzioni. Tutto sembra pronto per fermare l’anarchia dell’autunno sindacale… Intanto dall’altra parte dell’Oceano, la figura di Charlie Manson si staglia lontana su un orizzonte di sangue, coagulandosi con un satanismo acido che, allora, negli USA, è all’apice. La Toscano immagina una Hollywood villaggio di bambole, presa da nuovi culti, una Mecca del cinema ricca e favolosa, persa tra feste di lusso, belle ville e orge con bellissime ragazze. Warren Carter, lo sceneggiatore protagonista del romanzo, partecipa ad uno di questi festini, assume una strana droga psichedelica che gli fa perdere la memoria. Il festino finirà in un massacro sanguinario simile a quello operato da Manson. Che la Toscano alluda a quell’episodio è chiaro fin dalle prime righe, quando, con uno stile chiarissimo e cinematografico, descrive il bel mondo del cinema, disinibito e amorale. La Toscano, è bene ricordarlo, scrive a caldo. Il massacro di Sharon Tate è avvenuto da meno di due mesi. Le notizie sono ancora confuse e la figura di Charlie non è ancora emersa pienamente. Per questo la scrittrice rimanda a due romanzi successivi lo sviluppo di queste suggestioni. Qui fa prendere al romanzo una piega psycothriller con una catena di delitti compiuti da un mostro di Beverly Hills, manichino di carne nelle mani di una chiesa di satana guidata da un personaggio strambo e luciferino di nome Bel Amoz La Rey, rivisitazione del vero Anton La Vey, capo della chiesa di satana americana che in quegli anni andava muovendo i suoi primi passi. La Toscano sembra affascinata (tanto che ci tornerà sopra in almeno altri due libri…) dal satanismo acido e lisergico americano. La chiesa di satana di La Vey/La Rey è un impasto di rituali delle SS, vecchie pellicole del muto tedesco e il grande carnival americano, con spogliarelliste e ballerine. La Toscano ci restituisce frammenti di una California letteraria rivista dall’Italia, una memorabilia di droghe, violenza e controllo delle menti. Warren Carter, il protagonista del romanzo, è davvero una bambola di carne, un omicida diretto da La Rey; Carter è un serial killer in provetta che ama introdursi nelle stanze di belle donne e trucidarle solo per soddisfare le nefandezze di una setta in cui bambine, vecchie incartapecorite e corpi schifosi si incontrano per fondersi in orge danzerecce che anticipano praticamente tutto il cinema satanico italiano degli anni ’70. La Toscano tiene più registri, sfruttando il taglio cronachistico dei delitti di Bel Air, re-immaginandoli in un contesto thrilling che anticipa la rivoluzione argentiana. È curioso però che questa California di culti carnevaleschi e hippy esploda nelle nostre edicole in quell’ottobre del 1969. L’Italia di allora è molto lontana dall’America di La Vey. E mentre Manson vaneggia col suo Helter Skelter razzista di neri contro bianchi, una folla muta accompagna le bare dei morti di Piazza Fontana. Dall’obitorio di Piazzale Gorini a quello della Piazza del Duomo, dove le telecamere della Rai cercheranno di illuminare la cerimonia funebre…
Il 20 maggio 1970 esce nelle edicole TERRORE A MEZZANOTTE di Laura Toscano. Titolo modesto per un altro capolavoro acido. Ancora gli anni ’70 con i primi impianti stereofonici, le moquette che ricoprono e ovattano i pavimenti, il sesso libero e le comuni californiane lontane anni luce dalla compostezza settentrionale delle povere vittime di Piazza Fontana. L’America, per l’Italia di allora, è un altrove. Los Angeles è un altrove pieno di celebrità, nigthclubs, bar e corpi in putrefazione. Scorrendo il ricchissimo archivio fotografico del Los Angeles Police Department (LAPD) è possibile ricostruire la memoria noir della città, il suo lato scuro, specchio di gangs, sadiche atrocità, mercato nero, marijuana, main streeth, downtown e ancora una selva di cadaveri che affiorano dalle acque, da buche nei giardini, corpi femminili nudi e ancora burrosi stipati dentro valigie o appesi con delle corde negli armadi. Orrori in bianco e nero, cinismo, sorrisi tra i fotografi dell’obitorio, tra i detective sovrappeso col sigaro in bocca e un’ascia nelle mani. Corpi smembrati nei letti, crivellati dalle pallottole, adagiati sul freddo tavolo dell’obitorio in attesa dell’autopsia, culturisti da spiaggia, glamourland, colonie di nudisti e chiese di nuovi culti, templi del Golden Lotus per la realizzazione di sé, raggi cosmici e ancora le prove generali della psicopatia novecentesca con la bambola rotta della Dalia Nera Elizabeth Short nel 1947 e ancora in quell’eterno 1947 l’altra mutilata Jeanne French… La Toscano si lascia attraversare da queste pulsioni e immagina salgarianamente una giovane ragazza della piccola borghesia americana che rientra a casa una sera dopo aver perso la verginità con un rozzo coetaneo del luogo. La giovane ritrova i suoi genitori macellati, con degli spilloni negli occhi. Passa del tempo e la ragazza intreccia una relazione sessuale col suo psichiatra. Sesso selvaggio e psicofarmaci, droghe e nuove esperienze sensoriali. Siamo nei ’70 appunto, il lungo week-end libero di un’America pre-Watergate.
La bellezza di questo romanzo è qui.
Scritto a caldo sui fatti della family Manson che si riverberano anche sui rotocalchi italiani, Laura Toscano rilegge la paura della middle class americana ispirandosi a quelle famiglie disfunzionali che avranno parecchia fortuna nella cinematografia americana dei settanta (Hooper, Craven, Lieberman), solo che la nostra scrittrice mette in scena un duo femminile di lost girls (coadiuvate da una gang lombrosiana), un duo vizioso e libertino pronto ad abolire qualunque tabù imposto dal perbenismo sociale. Nel finale poi si deraglia verso un noir pulp alla Spillane, quasi nel voler sfaldare la trama thrilling e disfare la tela di Penelope…
5 luglio 1970, nelle edicole NEL REGNO DI SATANA di Laura Toscano, terzo tentativo di riformulare il satanismo acido di quei primi settanta e quasi scagliarlo sulle agitazioni crescenti di un’Italia moderna e destabilizzata, stritolata da segreti patti atlantici di cui allora nessuno sapeva nulla. La Toscano riprende le atmosfere da contestazione giovanile, controcultura e le comuni hippy dei precedenti. Lucrezia è una ragazza triste, borghesemente annoiata. Una sera è quasi sul punto di farla finita e buttarsi giù da un ponte. Arriva uno strano uomo, giovane e affascinante, che la convince a non ammazzarsi. La ragazza si innamora di lui, lo segue, si lascia credere morta e comincia una nuova esistenza nella casa dello sconosciuto, che si chiama Gerard e forse è un medico con una gamba deforme ricoperte di squame demoniache, sorta di ennesima reincarnazione di Charlie Manson, personaggio che somma dentro di sé bellezza e squallore deforme. Da qui parte una spirale di complotti e omicidi a sfondo satanico simili a quelli de Il terrore alle spalle. Gerard vive in una casa con altri strani individui e una madre oppressiva. Laura Toscano ha gioco facile a dipingere un quadro degno di Ira Levin in un Rosemary Baby all’italiana di cui nessuno, allora e oggi, si è accorto.