La Soglia Oscura
Monografie

LA DEMOCRAZIA CONOSCE SOLO PROTAGONISTI
(Brevissima storia della letteratura italiana n. 10)
di Gianfranco Galliano

Foscolo, col primo instant book della letteratura italiana (collocato com’è negli stessi anni di vendita napoleonica del Veneto e di guerra contro gli austro-russi in cui l’artista lo andava scrivendo), si era preoccupato in molti modi di accentuare il realismo della vicenda con la scelta della tipologia epistolare, coi suoi asterischi invece dei nomi, coi personaggi storici e infine con un protagonista (per la verità parzialmente storico anch’esso) che doveva essere di una certa, benestante anche se non aristocratica, classe sociale (il padre infatti possiede una tenuta) anche perché sarebbe stato del tutto inverosimile che un contadino o un artigiano all’epoca conoscesse a fondo come lui arte, filosofia e politica: il fatto che oggi ce ne stupiremmo molto meno è indicativo di quanto la storia umana sia almeno parzialmente evolutiva e il pessimismo di Foscolo, altrettanto parzialmente, sbagliato.

Con Manzoni ci troviamo invece all’inizio di una democratizzazione dei personaggi che come vedremo non coinvolge soltanto i protagonisti della vicenda, ma qualunque figura entri minimamente nell’orbita del romanzo. Ma di questo parleremo dopo. Al momento è sufficiente osservare che il livello sociale dei due, Renzo filatore di seta e Lucia, filatrice di seta e domestica, non permetteva certo che essi potessero sbrogliarsela da soli nell’ingarbugliata matassa fatta di potere spagnolesco dell’epoca in cui li aveva ficcati Manzoni: per arrivare a un difficile – e mentitore – lieto fine, occorrevano personaggi di ben altro livello sociale, come il cardinale Borromeo e l’innominato, se si voleva mantenere un accettabile livello di verosimiglianza nella trama, già pregiudicato dall’idea balzana di far nascere un’infinita persecuzione da un incaponimento per una scommessa infantile, con uno spreco di energie da parte di don Rodrigo e soci degno di miglior (ma nel loro caso peggior) causa. L’incapacità di Manzoni nel trovare un plot più efficace viene però compensata da un’attenzione quasi maniacale, che obbedisce innanzitutto a un’ideologia strettamente cattolica, verso tutti i personaggi – comparse incluse, anzi soprattutto queste – che la sua penna gli faccia inventare o reinventare, allo stesso modo del Dio della religione cattolica che tratta ogni creatura come fosse speciale: in un certo senso, Dio è il fatto che nessuno di noi può abbandonare se stesso (tanto se si è Napoleone quanto un transfuga africano) o da se stesso tenersi a distanza e che ognuno, volente o nolente, non può fingere che le proprie ferite siano state inferte a un altro: per far l’esempio più celebre quelle di Cecilia, ormai cadavere, e di sua madre, una paginetta a partire da poche righe tratte dal De pestilentia del cardinale Borromeo. Le due figurine, pur restando comparse, sono però state trattate con un rispetto a tutto tondo di fronte al quale occorre – come minimo – togliersi il cappello e come massimo arrivare a un’empatia quasi spossessante. Tecnica letteraria e ideologia al servizio di una persuasiva idea, per niente consolatoria, di umanesimo non antropomorfo. Resti di un Manzoni intellettualmente più serio, lo scrittore dell’Adelchi, rispetto a quello consegnatoci da I promessi sposi.

Ne I Malavoglia come in quasi tutti i suoi racconti veristi, Verga parte da individui collocati al livello più basso della scala sociale, pescatori o contadini analfabeti, che a differenza di Renzo e Lucia, però, non potranno mai contare su alleati simili ai loro. Al contrario, lo scrittore siciliano mostra, con un atteggiamento a metà fra il sadico e il realista (= verista), fino a che punto di bassezza e crudeltà possa giungere la società siciliana nei confronti dei suoi stessi figli per sfruttarli come forse soltanto il colonialismo più estremo saprebbe fare. È il primo momento in cui il proletariato comincia a conoscere sé stesso, e quel che vede nello specchio del mare siciliano non gli piace. Rosso Malpelo è emblematico in questo senso: reso disperato dalla natura che gli colora i capelli di rosso, colore del diavolo e poi del socialismo, da sempre inviso al sottoproletariato italiano, lo è altresì dalla società, che lo pone al gradino infimo del mondo lavorativo – minatore – non senza prima avergli tolto l’affetto più caro, quello del padre, già scomparso in miniera. Da quella tragica morte senza cadavere Malpelo non sa far parte che per sé stesso, fino al momento in cui cerca di addestrare con tutta la crudeltà del caso Ranocchio (un bambino se è possibile ancora meno fortunato di lui, affetto da un handicap fisico, ma al quale non manca l’affetto familiare) a cavarsela in un mondo tanto duro. Questi, però, non riesce a sopravvivere e lo stesso Malpelo va a raggiungere brutalmente suo padre. Il nichilismo più nero, senza redenzione possibile, senza neppure quell’ambiguità quasi didascalica che lascia decidere al lettore il finale de “La Lupa” (ricordato nel migliore dei modi quanto a struttura – in maniera involontaria, s’intende – da Tuta blu di Paul Schraeder con uno spettacolare fermo immagine finale).

Ma la storia, persino quella della letteratura che com’è noto non esiste, a suo modo avanza. Dai due cadaveri dei piccoli minatori nasce, sempre ambientato in miniera (e non è un caso), uno dei più grandi racconti della letteratura mondiale del ‘900: “Ciàula scopre la luna”. Con un fiuto invidiabile per trasformare le proprie fonti in un capolavoro, Pirandello riprende il filo proprio da dove Verga si era interrotto trasformando un messaggio di disperazione in un lieto fine che provoca brividi al lettore come di rado anche la musica riesce a fare perché si tratta – quasi incredibilmente – di un lieto fine senza menzogna. Ciàula è un handicappato mentale (a differenza di Ranocchio) che teme il buio esterno alla miniera, non quello interno a essa, che conosce come le sue tasche. Allo stesso modo il bambino nel grembo materno, a proprio agio dentro di esso, teme il mondo privo di placenta. Ciàula rinasce quando si trova in un fuori illuminato dalla luna, che vede con la coscienza di vederla per la prima volta. E non è il caso di avere la paura dell’esterno, quindi, né alleati di alcun tipo per affrontarlo. Una rinascita persuasiva perché tutta materiale ma non senza profondità, immersa nei sensi e senza promesse da marinaio, quelle che i filosofi chiamano utopie.