LE LANGUIDE CAREZZE DELL’ETEREA BIANCA MARIA
di Gabriele Luzzini
La Valle d’Aosta è caratterizzata da numerosi castelli, a volte posti molto vicini tra loro, con storie che si intrecciano indissolubilmente, creando anche qualche confusione a livello storico e nelle leggende dalle sfumature soprannaturali ad essi correlati.
Il castello di Vèrres, austero e inespugnabile sopra un promontorio roccioso, si trova su un lato della Dora Baltea mentre sull’altra sponda si trova il castello di Issogne, un palazzo rinascimentale situato nel centro.
Proprio per l’estrema vicinanza la vicenda di Bianca Maria Gaspardone (o Scapardone, come riportato in alcuni testi) si è mescolata, venendo attribuita a entrambi gli edifici mentre, in realtà, non ha nulla a che vedere con la struttura militare ma solo con la mondanità e la sontuosità dell’edificio cittadino.
Riguardo alla protagonista della nostra storia, sappiamo che nacque attorno al 1500 a Casale di Monferrato, figlia di Giacomo Gaspardone, un abbiente mercante e tesoriere del marchesato, e di una nobildonna di Alessandria, Margherita degli Inviziati.
Ancora adolescente si sposò nel 1514 a Milano con Ermes Visconti di Somma, di vent’anni più vecchio e figlio secondogenito dell’aristocratico Battista Visconti.
Il matrimonio con l’uomo, dotato di ingenti ricchezze ma molto più anziano della fanciulla, non fu molto fortunato e Bianca Maria rimase vedova nel 1519 poiché lui fu condannato a morte per cospirazione.
Ereditando il denaro e i possedimenti oltre ad essere giovane e molto bella, ebbe diversi pretendenti prima di giungere a seconde nozze nel 1522 col coetaneo Renato di Challant, già insignito del titolo nobiliare a seguito della morte dei genitori, diventando così la contessa di Challant.
La coppia si trasferì nel castello di Issogne, adatto alla sensibilità estetica della donna ma l’idillio duro solo alcuni mesi poiché di innestarono incomprensioni tra i due.
Renato era molto spesso lontano dal tetto coniugale per onorare i suoi vari impegni tra cui vari feudi da amministrare e gravosi impegni militari e diplomatici col re francese Francesco I.
Inevitabili dissapori condussero Bianca Maria a tornare nella natia Casale Monferrato e subito dopo a recarsi in Lombardia, nei luoghi che aveva imparato a conoscere bene durante il primo matrimonio con Ermes Visconti.
Iniziò a intrecciare numerose relazioni ed ebbe diversi amanti tra cui Ardizzino Valperga, conte di Masino, che fu la causa della sua fine.
Ma, procediamo con ordine…
La relazione con Ardizzino durò almeno un anno ma poi Bianca Maria ritornò a Casale, dove conobbe Roberto Sanseverino conte di Caiazzo e se ne invaghì. Interruppe la relazione col precedente amante e si trasferì a Milano.
La reazione di Ardizzino Valperga non si fece attendere ed ingiuriò pubblicamente il nome della donna, sottolineando il comportamento libertino e sentimentalmente disinvolto della stessa.
Bianca Maria chiese a Sanseverino di uccidere il precedente amante e far cessare le dicerie sul suo conto ma l’uomo si rifiutò.
Non si assopirono le inclinazioni vendicative e la fanciulla allacciò una relazione col giovane Pietro Cardona, figlio naturale del conte di Golisano, convincendolo a compiere lo scellerato atto.
Era l’autunno del 1526 e Ardizzino Valperga e suo fratello Carlo caddero vittima di un’imboscata ordita dal ragazzo con l’aiuto di alcuni complici.
Roberto Sanseverino, appena apprese della notizia dell’agguato, segnalò i suoi sospetti al connestabile della città Carlo di Borbone che ordinò l’arresto di Pietro Cardona oltre che di Bianca Maria Gaspardone.
Era una questione da trattare con ogni tipo di cautela, per via del titolo nobiliare della donna, ancora contessa di Challant (aveva mantenuto il titolo non essendosi mai separata dal secondo marito).
Poco prima di venire scarcerata per mancanza di prove, la donna scrisse una lettera al connestabile dichiarando la sua colpa.
Furono i rimorsi a spingerla in tal senso oppure fu costretta da chissà quali pressioni? Questo non lo sapremo mai, essendo peraltro andati smarriti gli atti processuali e avendo tratto le informazioni che finora avete letto da alcuni scritti del cronista Antonio Grumello e soprattutto da una novella di Matteo Bandello, che la conobbe di persona (prendendosi però numerose libertà letterarie come ad esempio l’attribuzione di inesistenti umili origini).
La storia terrena si conclude il 20 ottobre 1526 presso Porta Giovia del castello milanese, con la decapitazione della sventurata sopra un rivellino (un avancorpo posto appunto a protezione della porta).
Questa introduzione abbastanza dettagliata è necessaria per contestualizzare il presunto fenomeno paranormale che pare abbia coinvolto il castello di Issogne e non, come indicato da coloro che non si sono documentati sufficientemente, il castello di Vèrres.
Infatti, è nel palazzo rinascimentale e in particolar modo lungo il sontuoso loggione dell’ala ovest che alcuni testimoni sostengono di aver visto passeggiare Bianca Maria, con abiti del XVI secolo e in qualche caso addirittura portando la testa mozzata sotto al braccio, come previsto dalla miglior tradizione folkloristica.
Le apparizioni avverrebbero nelle notti di luna piena, come se il satellite al suo massimo splendore potesse influenzare un’attività paranormale (cosa di per sé non sorprendente, considerando l’azione sulle maree o sulla psiche umana).
In altre versioni, la fanciulla evanescente compare nei pressi della magnifica fontana del melograno, posta al centro del cortile ed elemento caratterizzante del complesso architettonico.
Personalmente, credo che la suggestione in questo caso abbia svolto un ruolo determinante, attribuendo la spettrale visione alle ombre prodotte da vetuste architetture.
Sicuramente più insolito e degno di un’analisi più approfondita quel che viene riferito da altri visitatori del castello, i quali sostengono di essersi trovati coi bottoni dei pantaloni slacciati e di aver avvertito come delle carezze o dei baci incorporei, associati a inspiegabili correnti d’aria. Forse Bianca Maria è alla ricerca di nuovi amanti?
Anche in questo caso, la spiegazione più semplice potrebbe essere l’influenza del luogo, uno spiffero non individuato e qualche trascuratezza nell’abbigliamento (non vi è mai capitato di non chiudere perfettamente la cerniera?).
Di solito uno spettro tende a infestare il luogo della sua morte in quanto è un residuo psichico dell’evento traumatico e quindi qual è il senso della presenza ad Issogne? Forse il luogo rappresenta una parentesi serena in una breve vita che in realtà è stata travagliata e complicata?
Anche nei pressi del Castello Sforzesco, nell’area dove un tempo sorgeva la porta Giovia, il 20 ottobre è possibile imbattersi in un’inquieta presenza. Sembrerebbe essere ancora Bianca Maria Gaspardone, il giorno della sua esecuzione.
La visione, in questo caso, farebbe rabbrividire anche gli animi più temprati: dopo aver bevuto del sangue da un grosso calice, la sua testa rotola a terra, per poi svanire improvvisamente.
La storia di Maria Bianca Gaspardone, oltre al già citato Matteo Bandello, è stata proposta nei secoli successivi da numerosi autori quali Fr. Belleforest (Vie desordonnée de la comtesse de Celant – 1564), J. Marston (The insatiate countess – 1613), L. Vallardi (La contessa di Cellant – 1858) ma soprattutto da Giacomo Giacosa che col dramma La signora di Challant (1891) restituisce alla figura della contessa una grande dignità e statura storica.
Ma un mistero non può che concludersi con con un altro mistero…
Matteo Bandello, nella sua novella scrive: «E chi bramasse di veder il volto suo ritratto dal vivo, vada nella chiesa del Monistero Maggiore, e là dentro la vedrà dipinta».
Quale significato potrebbe avere questa frase? Semplicemente che la dama è stata ritratta nella chiesa di San Maurizio (il ‘Monistero Maggiore’) da Bernardino Luini e secondo la tradizione l’affresco è il «Sacrificio di Santa Caterina d’Alessandria» della Cappella Besozzi.
Ma l’opera è stata realizzata a partire dal 1530, quindi qualche anno dopo la morte della contessa di Challant e Bandello, che peraltro a quel tempo aveva già lasciato Milano, scrive chiaramente ‘il volto suo ritratto dal vivo’.
Pertanto, è necessario orientarci su affreschi o dipinti precedenti il 1526, anno della sua morte.
Basandoci quindi su alcune considerazioni e valutazioni effettuate da storici dell’Arte, è possibile che sia una dama inginocchiata nel riquadro sotto la lunetta di Ippolita nella cappella Bentivoglio, probabilmente Santa Lucia.
E infatti, non è da dimenticare che Luini conobbe Bianca Maria nei salotti di Ippolita Sforza Bentivoglio.
Ma quale dei due dipinti raffiguri la contessa resta appunto un mistero.