La Soglia Oscura
Esoterismo e Magia,  Mitologia

PIZIA
di Sonia Mincuzzi

La posizione venne ricoperta da donne scelte nella città di Delfi, senza limiti di età, per circa 2000 anni, dal 1400 a.C. fino al 392 d.C. quando la pratica venne proibita dall’imperatore romano Teodosio I che, dopo aver reso il Cristianesimo religione di Stato nel 380, aveva soppresso i culti pagani attraverso i decreti teodosiani.
L’oracolo di Delfi è una delle istituzioni religiose del mondo classico meglio documentate, nonché probabilmente la più nota di questo tipo. Secondo Plutarco[2], nel periodo di maggior popolarità del santuario di Delfi, c’erano almeno tre donne che svolgevano contemporaneamente il ruolo di Pizia.
Tra gli scrittori che lo menzionano possiamo ricordare, in ordine alfabetico: Aristotele, Diodoro Siculo, Erodoto, Euripide, Giustino, Lucano, Ovidio, Pausania, Pindaro, Platone, Plutarco, Senofonte, Sofocle, Strabone e Tito Livio.
Il suo ruolo di tramite divino conferiva alla Pizia un prestigio e una posizione sociale inusualmente elevati in una cultura maschilista come quella greca. Gli obblighi che le venivano richiesti erano la purezza rituale e la continenza.
I supplici che si presentavano a Delfi per consultare l’oracolo, spesso dopo un lungo viaggio, erano selezionati dai sacerdoti che valutavano l’effettiva necessità della loro richiesta.
Prima della consultazione era costume sacrificare una capra, il cui corpo sarebbe stato lavato con l’acqua della sorgente del santuario e dai cui organi, in particolare dal fegato, i sacerdoti, nel ruolo di aruspici, avrebbero divinato la buona riuscita o meno dell’incontro con la veggente.
Era inoltre consuetudine versare una generosa offerta in denaro al santuario, la cui entità condizionava anche la priorità di ammissione al cospetto della Pizia.
Finalmente soddisfatti tutti i requisiti, il supplice veniva condotto nell’adyton (Άδυτον), la camera inaccessibile del tempio, che, nel caso particolare di Delfi, consisteva in una cella sotterranea dove egli avrebbe potuto consultare la Pizia e ottenere l’agognato vaticinio. All’interno vi era anche una fonte d’acqua, la Kassotis, alla quale si abbeveravano sia la Pizia, sia i sacerdoti e chi richiedeva gli oracoli. Il primo autore classico che narra dell’origine del santuario è Diodoro Siculo, scrittore del I secolo a. C., il quale riferisce[3] che un pastore, tale Kouretas, si accorse un giorno che una delle sue capre – caduta in una cavità rocciosa – belava in modo strano.
Il capraio, entrato nella grotta, si sentì pervadere dalla presenza divina e da quell’istante iniziò a ottenere visioni del passato e del futuro. Eccitato dalla scoperta, Kouretas avvertì gli abitanti del suo villaggio, molti dei quali si recarono più volte nella grotta fino a che uno di loro morì.
Da quel momento, l’accesso alla cavità fu permesso solo alle ragazze più giovani e successivamente, con la fondazione del santuario, regolato rigidamente da un gruppo di sacerdoti.
Diodoro afferma che in un primo tempo il ruolo di Pizia era riservato alle vergini, ma dopo che Echecrate di Tessaglia rapì e violentò la veggente di cui si era invaghito, fu decretato per legge che nessuna vergine avrebbe più vaticinato e il ruolo venne riservato alle donne d’età matura che avrebbero continuato a indossare le vesti da vergine in ricordo delle originarie sacerdotesse.
Come illustrato da Joseph Eddy Fontenrose e altri mitografi, il termine Pizia deriva da Pito (Πῦθώ), il nome del santuario nel principale mito di fondazione che vede Apollo uccidere il serpente oracolare Pitone posto a guardia del santuario di Delfi, dedicato a una divinità femminile[4], e costruire con la carcassa il nuovo oracolo a lui stesso intitolato.
Le fonti più antiche, come gli inni omerici ad Apollo (ma anche alcune raffigurazioni artistiche), citano anche un serpente femminile (drakaina), Delfina (Δελφινης), custode dell’oracolo e dal cui nome sarebbe derivato il toponimo Delfi/Delfo. L’aspetto e gli attributi di questo serpente si confondono, forse volutamente, con quelli dell’Echidna[5] e Károly Kerényi lo interpreta[6] come la sovrapposizione del mitema del racconto apollineo su quello precedente.
Nell’antica Grecia la Pizia (o Pitia; in greco antico: Πυθία, Pythía) era la sacerdotessa di Apollo che dava i responsi nel santuario di Delfi, situato presso l’omphalos (l’«ombelico del mondo»).