La Soglia Oscura
Racconti

Sogno – di Alfa e Omega

Sono seduta a ginocchia conserte in una stanza, mi ritrovo lì così di punto in bianco. Non ne capisco il perché, ma sento tutti i sensi inibiti, i contorni delle immagini sono tutti sfocati e nemmeno a sforzarmi, riesco a vedere ciò che ho davanti in modo nitido.

Sembra di osservare la realtà attraverso un filtro, sembra di essere ubriachi, ma non esattamente ubriachi perché quando lo si è, la realtà è distorta in modo particolare, la propria voce si sente in lontananza, ma in questo momento non sento né girare la testa né la mia voce in lontananza.

Rinuncio a focalizzare il tutto e cerco semplicemente di capire dove mi trovo. La stanza è semibuia, le imposte sono chiuse, ma lo squallore di quello che in realtà doveva essere un salotto si percepisce dal solo odore di stantio e ammuffito. Non c’è luce o per lo meno non ne vedo la fonte in quanto posso distinguere mobili vecchi e la tappezzeria di colori spenti. Così, a primo impatto mi sembra la casa di qualche anziana signora che vive solo, in compagnia dei propri gatti e dei propri pensieri. Un attimo, un gatto c’è davvero. È nero e gira per la stanza. Mi inquieta il suo modo di fare, troppo sicuro di sé, quasi sprezzante della mia presenza, o forse sprezzante della mia confusione che sicuramente percepisce anche lui. Ma dove sono? Chiudo gli occhi un istante e inizio a riflettere, quando…una voce, nella mia testa, mi tranquillizza. È una voce maschile, profonda intrisa di una saggezza che va al di là di ogni cosa tangibile. Rimango con gli occhi chiusi e mi appare davanti al viso quello stesso salotto in cui siedo,solo che è diverso, ci sono altre due persone, per la precisione un uomo sui quarant’anni, dai tratti indiani, con uno sguardo triste. Tiene in braccio un bambino che non deve avere più di cinque anni, anche lui dai dalla carnagione scura e dai tratti tipici orientali. Il suo sguardo…ha qualcosa di strano…non si addice a un bambino di cinque anni, ma a un uomo di cinquanta, o forse più.

Non mi soffermo troppo a guardarlo perché quella voce interrompe le mie considerazioni e mi dice chi sono quei due strani individui. No non è vero non me lo dice. Le immagini scorrono talmente veloci nella mia mente che non riesco più a capire cosa mi succede. Un vortice di immagini, noi seduti in cerchio, il bambino che gioca con il gatto, il gatto svogliato, quasi ostile appoggia una zampa sulla testa del bambino che infastidito lo scaccia violentemente. Ma perché? Il gatto non l’ha graffiato, perché un gesto così brusco? Di nuovo il volto di quello che presumo fosse il padre del bambino. Guardo i suoi occhi, sono tristi, ma pieni di amore, un amore che va al di là di ogni comprensione umana. In quel momento la voce mi dice che l’uomo avrebbe dovuto uccidere il bambino. Che quel bambino non sarebbe dovuto mai nascere. Che è un pericolo per tutto il mondo. Non capisco, non capisco cosa tutto questo centri con me, non capisco la mia presenza in quel posto, non so come ci sono arrivata. Mi interrompe di nuovo. Quel bambino è l’origine di tutti i mali, alcuni lo chiamano Anticristo(…), ma non ha importanza perché comunque lo chiamino lui sarà la fonte di tutti i mali.

Ascoltami, vedi quest’uomo? Non è suo padre. Lui avrebbe dovuto ucciderlo, ma non ce l’ha fatta. Non ne è stato ammaliato, non c’erano forze di bene o male che troneggiavano su di lui per fargli fare la cosa giusta o sbagliata. È stata una sua scelta. La scelta di non uccidere una creatura ancora così piccola e ancora inconsapevole del proprio destino. Perché sì, il bambino che vedi non ha ancora in sé il male. Ma le scelte che compirà saranno la distruzione di tutto. Non posso ancora crederci, non è reale tutto ciò. Per di più le mie percezioni sono più che mai confuse, immagini su immagini ruotano tra di loro. Il bambino che gioca, l’uomo che gli sorride, che lo accarezza, che lo abbraccia. Poi c’è di nuovo quel gatto. Questa volta mi guarda fisso negli occhi e la voce riprende. È lui a parlare. Guarda bene, con più calma. Cerca di capire che non esiste un Dio o una volontà superiore. Siamo solo noi e le nostre scelte, che intrecciate a quelle degli altri creano il cammino di tutti noi. È il caso. Non c’è nulla oltre a noi.

Le immagini scompaiono, sono di nuovo seduta in quella stessa stanza. Non riesco ad aprire gli occhi, non voglio. Mi sembra di essere immersa in una nuvola di fumo. La testa mi gira, faccio fatica a tenerla su, quando sento una mano di donna che mi tocca. Capisco che è una donna perché ha un tocco delicato, elegante, morbido. Il fumo nella mia testa aumenta rivedo di nuovo la stanza, ma questa volta è vuota. Sono inebriata di quella sensazione. Una strana eccitazione mi pervade e prendo quella mano e me la infilo tra le gambe. Ha le dita e le unghie lunghe. Qualcosa di familiare, ma non mi ci soffermo. Comincia ad accarezzarmi e sento l’eccitazione alle stelle. Non capisco cosa centri tutto ciò, che senso abbia la mia presenza in quel posto, quella voce, quella donna. Inizia a masturbarmi. Sento caldo, sento le sue unghie, mi metto in ginocchio. Vorrei urlare, vorrei raggiungere l’orgasmo, ma sembra che quelle dita facciano apposta a fermarsi nel momento in cui potrei scoppiare. Mi parla. Mi dice che anche lei che non esiste un destino, non esiste un disegno divino per le cose, esistiamo solo noi. Soli cosi come siamo. Nessuno potrà mai tirarci fuori dalla nostra solitudine. Il bene e il male esistono solo grazie alle nostre azioni. In fin dei conti siamo noi il vero Dio.

Un momento…non posso crederci. Quelle mani quelle unghie quella voce… è mia madre che mi sta parlando e mi sta masturbando. Non mi interessa, voglio solo il piacere finale, voglio solo che tutto finisca. Quella nebbia sta per risucchiarmi. Mi metto a gattonare per la stanza in cerchio, ma la sento lo stesso che mi massaggia il clitoride. Tutto mi si fa più chiaro. Oddio che sto facendo? Il ribrezzo, il disagio e lo schifo della situazione mi soffocano. Ma che cazzo sto facendo?! Basta. Ferma. Stop.

Non posso crederci, sono in un bagno di sudore. Sento il clitoride in fiamme. Sono nel mio letto, a casa mia. Sono le sei e mezzo di sera. Non posso credere a quello che ho sognato. Mi infilo una mano nelle mutandine e sento di essere bagnata. Mi sale un conato di nausea. Dio…mia madre…