La Soglia Oscura
Racconti

VUDÙ ZOMBIE
di Matteo Scintu

Sotto il cielo dell’Africa all’ imbrunire si staglia un enorme sole calante, dietro uno sfondo di alberi giganti e un’ampia savana spietata… fin quando calò la notte.
In un’isolata tenda un fuoco scoppiettante scalda un calderone mentre una stregona continua a mescolare i vari ingredienti: capelli, sangue, unghie e denti.
«Manca qualcosa» annunciò, e si diresse verso una donna in ginocchio con i polsi legati da catene, ben salde su ganci affissi al muro.
«Hai visto fin troppe cose» la guardò sprezzante. Prese un coltello concavo e glielo conficcò in un occhio estraendolo. Le grida della vittima sacrificale squarciarono la notte, ma in giro non c’era nessuno che potesse udirle.
«Per dare vita alla morte bisogna dare alla morte una vita» recitava così l’incisione su una tavola di pietra polverosa. La stregona ripeteva a bassa voce queste parole quasi come fossero un mantra. «La pozione finalmente è conclusa» urlò, poi da quell’immondo grido fece un sorriso sbilenco. Sorrise sempre di più fin quando non si mise a ridere in modo macabro e rumoroso. Si creò un’atmosfera infernale tra le luci soffuse del fuoco, le risate, e il cadavere a pochi passi da lei.
La fiala ricolma da quell’insulso intruglio stava sopra un tavolo di pietra, tra galline sgozzate e interiora di struzzo. Delle dita ossute e cadaveriche si strinsero attorno alla boccetta. Il cadavere ancora appeso con le catene ai polsi e la testa chinata era nella stanza come se stesse supplicando pietà. La stregona le prese i capelli e le alzò la testa: «Bevi». Il liquido scese tutto fin quando non finì.
Un occhio si aprì, l’altro era vuoto. Il viso tumefatto e il sangue rappreso le diedero un’aria sporca. Aprì la bocca e alcuni denti mancavano (erano serviti per la pozione), farfugliò qualcosa di incomprensibile tra ansimi e rantoli.
Subito un collare di ferro a cui era legata una catena le cinse il collo, ed ebbe così i polsi liberi.
«Sarai la mia cagnolina, e questo sarà il tuo guinzaglio. Ora ti porterò un po’ in giro» disse entusiasta la stregona. «Che nome dovrò darti? Che tipo di creatura sei?» pensò. Continuò a riflettere e si rivolse a lei: «Che cosa sei?» ma non ebbe risposta. «Sei nata grazie al mio vudù, prima eri morta, certo, ti ho uccisa io tra atroci sofferenze» sogghignò. «Ti chiamerò Vudù Zombie, sei la prima cavia che userò per trasmettere il nuovo tipo di virus che ho creato: il Virus Zeta.»
Dopo un’ora di cammino arrivarono al villaggio. Vudù aveva la bava alla bocca, rantolava in quel silenzio surreale, era notte fonda.
«Vai, sei libera, spargiti e contamina tutti con il tuo Virus Zeta.» la liberò dalla catena e la vide incamminarsi strascicando le gambe verso una casa fatta di fango. Un lume si accese e delle grida svegliarono tutto il villaggio. Ebbe inizio l’epidemia.
Nella casa viveva una famiglia composta dai genitori e un figlio. Si svegliò prima la madre, gettò un urlo e gli altri due si destarono di soprassalto ancora frastornati. Vudù ne approfittò e riuscì a mordere l’uomo. Dopo qualche istante divenne subito come lei e cominciò a marcire lentamente, brandelli di pelle cadevano a poco a poco. Il piccolo (aveva nove anni), si mise a piangere terrorizzato nel vedere il padre prendere la madre ai capelli e mangiarle il viso. Anche lei si trasformò e raggiunse il figlio intrappolato in un angolo rannicchiato. Lo prese al collo e lo strinse talmente forte che gli occhi gli si iniettarono di sangue. Piangeva lacrime di sangue ora, mentre soffocava i bulbi oculari uscivano dalle orbite. Subito dopo divorò anche lui.
La stregona soddisfatta non faceva altro che sorridere. Nel sentire tutto quel trambusto e quelle grida fu come se ascoltasse le più dolci melodie. Vide Vudù uscire a seguito della famiglia in direzione della prossima capanna.
«Qui ha inizio la mia maledizione, voi che mi avete preso per pazza e allontanata da tutti. Ora capirete cosa sia la vera pazzia e il puro terrore.» enunciò la stregona e poi si ritirò.
L’ alba era giunta e il sole si alzava sempre di più. Era l’inizio di un nuovo giorno.