La Soglia Oscura
Racconti

SOLSTIZIO D’INVERNO (AGORÀ)
di Giusy Rombi

Non era il suo sguardo che lei amava, neppure la movenza del suo corpo, che pure immaginava possente e fiero sotto la larga tunica.
Lei ogni giorno, di nascosto poiché era una donna e una schiava, si recava all’Agorà per ascoltare la sua voce.
Poteva anche essere cieca, pensava, purché gli Dei pietosi le lasciassero l’udito col quale coglieva la stillante sapienza delle parole del suo mentore.
Egli ogni giorno teneva le sue lezioni su una piazza secondaria, ripudiato e deriso dai suoi colleghi perché istruiva gratuitamente gli studenti più poveri.
Lei passava adiacente al convegno di ritorno dal mercato, dove comprava quotidiane sostanze per la sua padrona.

Oh quelle parole, quella voce!
Chi può dire quale valore immenso avevano per lei?
Si sentiva come una solerte ape operaia che aveva scoperto un fiore raro di profumo e bellezza, da cui attingere prezioso polline e squisito nettare.
Solo la notte, nel silenzio del suo umile giaciglio, traeva da quelle parole tanta consolazione da farla sentire una donna finalmente libera.
La sapienza che lui esponeva ogni giorno, con argomentazioni che spaziavano dall’archeofilosofia all’estetica più estrema, dalla cosmogonia antica alle visioni oniriche dei maestri eretici, le procurava un piacere intimo che mai aveva provato.
Si confidava a volte con le altre schiave della casa, ma queste la deridevano dicendo che il piacere più grande per una donna è quello di soddisfare il proprio uomo nell’amplesso amoroso.
Che fosse nelle loro affermazioni la verità? Perché nessuno la capiva?
Lei non era mai riuscita a raggiungere l’estasi durante un rapporto intimo, conosceva però la sensazione di smarrimento e godimento dei sensi, così come era descritta dalla poetessa Saffo che nella solitudine dell’Isola di Lesbo introduceva le fanciulle a lei affidate alla scoperta del piacere onanistico.
Eppure era convinta ormai che il suo piacere più intimo e segreto era dato dall’ascolto del suo maestro, che non l’avrebbe forse mai saputo, tristemente pensava…

Egli invece si era accorto della sua discreta presenza.
Quella donna lo inteneriva e provava per lei una strana attrazione, benché le sue convinzioni in materia di sentimenti, fossero lontane dalla mentalità comune.
Egli non credeva nell’amore tra un uomo e una donna, questo pensiero in lui evocava solo dolore, e la sua fede fermissima nella castità e nell’astinenza gli dava consolazione.
A volte però la solitudine gli lanciava addosso pesi insopportabili ed era in quei momenti di estremo silenzio e pena che sentiva dentro di sé le urla del suo cuore, così lontano dalla sua mente…

Un giorno lei non venne.
Quell’assenza lo turbò dapprima, poi lo condusse ad un’ansia che non aveva mai provato innanzi.
Dopo la lezione decise di cercarla. Conosceva la sua padrona e a lei si presentò meravigliandosi della sua stessa determinazione.
La schiava era ammalata e la sua padrona malvolentieri parlava di lei che in quelle condizioni era solo un inutile fardello.
Il maestro allora, animato da un sentimento di piètà e dolcezza, decise di riscattarla e tenerla con sé.
Non si poteva descrivere la straripante gioia di lei, gli occhi suoi erano raggianti come le stelle gemelle di Leda che aveva imparato a riconoscere grazie alle lezioni del suo maestro.

Ogni giorno dunque si recavano insieme all’Agorà ed insieme rientravano portando nel cuore, lei, il dolce miele delle sue parole, lui, l’incantevole serenità della sua presenza.
Vivevano come fratello e sorella, entrambi consapevoli e felici che la loro gioia più intima fosse l’unione platonica delle loro anime e delle loro menti.
Talvolta suggellavano questa meravigliosa intesa con un abbraccio silenzioso nel quale sentivano i loro pensieri fondersi con i lenti battiti dei loro cuori… e la quiete di quegli abbracci era preziosa più di ogni altra ricchezza materiale.
Così scivolavano leggeri nella vita dei giorni e delle notti, dei mesi e delle stagioni…
E la sera di un solstizio d’inverno, alla luce fioca di una lampada a olio, fecero una solenne promessa: consapevoli ormai che l’uno non poteva vivere senza l’altra, talmente le loro anime erano fuse in una sola, promisero che alla morte dall’uno, sarebbe seguita immediata la morte dell’altro.
Non temevano le ombre della morte, perché nel loro intimo sapevano che oltre la degradante materia di questo mondo, un altro esisteva, puro, dove le loro anime già vivevano unite.