La Soglia Oscura
Racconti

CARO BABBO E BASTA
di Daniela Micheli

Caro Babbo e basta.
Permettimi di chiamarti solamente così, perché Natale si chiama anche il mio vero babbo e se per caso alle poste fanno casino come sempre, metti il caso che invece di recapitarla a te finisce disgraziatamente nelle sue mani, se legge ciò che sto per domandarti, mi disfa al punto che non basteranno nemmeno le istruzioni dei Lego per ricostruirmi.
Per rendere non troppo marziana la richiesta che mi appresto ad esprimerti, come regalo per l’imminente festa, devo fare un po’ di premesse.
La prima: credo di averti scritto l’ultima volta una decina d’anni fa, ti domandai il bambolotto Kent, quello tutto muscoloso.
Mi arrivò la Barbie e non ho mai capito come hai fatto ad esserti sbagliato.
In ogni caso non ti ho più scritto, così impari.
La seconda: ti devo raccontare qualche cosa di me, perché essendo mancata dalla tua casella postale così a lungo, difficilmente ti ricorderai di quella bambina, con gli occhioni color muffa, le trecce lunghe fino al sedere e l’apparecchio per i denti.
Sì, sono io, anche se adesso agli occhi porto delle lenti a contatto colorate, che vario a seconda dell’occasione e i capelli sono corti come richiede la moda di adesso.
E per fortuna, dico io, perché con tutti i pasticci che ho fatto alla mia capigliatura, l’alopecia ha messo pianta quasi stabile sulla mia testa.
L’apparecchio poi, che ho tanto disprezzato, oggi mi ha regalato denti dei quali alcuni dentisti statunitensi hanno fatto il calco per proporlo alle dive di casa loro.
Del resto, da allora mi sono pure cresciute le tette; non proprio da sole, ma con l’aiuto di un chirurgo: è stato il regalo che Natale, babbo mio per davvero, mi ha fatto per il compimento del mio diciottesimo compleanno.
Sono un po’ cocciuta, oggi come un tempo, solo che allora i miei due bambolotti taglia terza misura li ho avuti.
Da quando sono diventata maggiorenne, da quando porto le lenti a contatto, da quando non ho più quell’aggeggio di ferro che mi faceva sputare ad ogni parola, da quando posso riempire degnamente il reggiseno, sono andata alla ricerca del Ken che mi hanno negato quand’ero piccolina.
Nel corso degli ultimi mesi, parecchi si sono imbattuti per la mia strada ma non uno, dico non uno, che rispondesse a ciò che io avrei voluto per tacitare i sensi di colpa e lasciarmi solamente dei sensi di polpa.

Il primo di quest’anno è stato Ernesto.
Io non ci credevo all’ Ernesto spara lesto; pensavo che questa frase nascesse da un esaltato che si divertiva a giocare alla guerra ed era talmente veloce che gli avversari avevano ancora la mano all’altezza del fianco quando lui li aveva già sparati, morti e pure stecchiti.
Un po’ del Clint lo aveva: quell’occhio azzurro che all’inizio mi pareva così affascinante, dopo un po’ di tempo frequentazione mi parve un po’ ceruleo, quasi da pesce lesso.
Lo so, il pesce inizia sempre a puzzare dalla testa quando è vecchio, poi ci aggiungiamo il suo vizietto che sempre più lesto sparava, ci ho messo ben poco tempo a lasciarlo, diciamo una stagione.
D’altra parte, in primavera, con il risveglio della natura, sono risorti anche i miei ormoni sopiti e traditi dalle pistolettate troppo veloci.
E ho conosciuto Gregorio…
Quando all’inizio della nostra storia mi raccontava delle sue discendenze papali, restavo incantata per ore ad ascoltarlo, in silenziosa e muta preghiera inginocchiata davanti a lui, tutta presa a dare il meglio di me e del lavoro del dentista nel fargli dimenticare gli insegnamenti famigliari.
Ahimè, quelli sono duri da sradicare: nemmeno la terza misura e il mio corpicino niente male riusciva ad indurlo in tentazione.
Sempre e solo inginocchiata mi voleva e io, alla fine dell’estate, mi sono un po’ stancata di pregare.

L’ultimo, con il quale la mia ricerca si è conclusa, è stato Ulisse.
Lo so che è un nome antico, ma l’Ulisse mio, di antico, non ha che i tratti caratteriali: bello come un dio greco, vagabondo al punto giusto ma che uomo, oh Babbino sapessi… questo è uomo tutto e dappertutto!
Ulisse è tutto ciò che io volevo, presente, costantemente al mio fianco ad incoraggiarmi, sempre pronto, propositivo nel farmi provare tutte le varianti e le equazioni anche a più numeri dell’amore e derivati. E’ un perfezionista nonché grandissimo atleta della ginnastica da camera e io, ogni giorno di più, imparo dal mio maestro.
Insomma, è perfetto.
Solo che è diventato talmente perfetto che io non ce la faccio più a stargli dietro, perché mattino, mezzogiorno e sera… e io poi devo andare a letto che son davvero morta, che nemmeno massaggi con oli essenziali decongestionanti fanno sì che lei sia disponibile senza lamentele anche per l’infornata notturna del mio panettiere.
Io lo amo il mio fornaio e anche lei lo ama moltissimo: piange sempre fino ad esaurimento delle lacrime.
E qui arrivo, infine, alla mia richiesta: so che esiste una pillola della felicità, che non so bene che effetti abbia perché ci manca solo che il mio Ulisse la provi e sono per davvero rovinata; ti chiedo di informarti, per piacere, se esiste anche quella per le femminucce che abbia effetti rinvigorenti, che non faccia sentirle la fatica e che le permetta di essere usata a ogni ora senza tanti effetti devastanti.
Sai, Babbo, non è bello girare con delle borse pienissime di salviette ammorbidenti alla camomilla, che fanno sì scomparire per un po’ il rossore, ma mica riescono a far sparire altro… lei continua imperterrita a sfarfallare e se non fosse perché è gonfia e rossa come una palla di Natale, non mi sarei mai e poi mai sognata di scriverti, tanto lo so che mi cestinerai.
Tu, per quest’anno, sarai sommerso da richieste di cilicio. Io ci provo lo stesso.
Amanda