LA VOCE DEL POPOLO
di Cristina Regis
La voce del popolo.
Urla, grida, ignoranza.
Appesa al palo, Florenza era stordita dal rumore e da quell’odore di legna che ardeva. Sentiva caldo, una sensazione strana, di smarrimento… tanto caldo. Ricordava a malapena quelle mani, e quegli occhi colmi di odio ed eccitazione. Avevano abusato di lei, percuotendola ed insultandola; mentre la chiamavano strega, sfogavano la loro paura e come animali seguivano brutali istinti. Non le veniva in mente però un motivo valido per tale atroce punizione.
Sentì scandire le parole “bruciate la strega, bruciate la strega”, poi un crepitio famigliare. Il fuoco. Su di lei. Iniziò dai piedi, il dolore era intenso, ma non emise un suono e guardò bene negli occhi chi aveva appiccato il rogo; le fiamme le avvolsero il corpo, la pelle, la carne, dentro, e non riuscì a svenire. Lo accusò tutto, fino alla fine, memorizzò i volti nella folla intorno a lei, quelle patetiche sgualdrine con i loro porci, convinte di conquistare il paradiso con quattro moine al loro Dio, unite a uomini sporchi, senza un briciolo di cultura, sudici nell’anima. Lo fece fin quando gli occhi non si sciolsero e il corpo invaso dalle fiamme smise di vivere tra dolore e sofferenza. E odio. Un odio che palesò urlando prima di perire: “tornerò luridi bastardi”. Nel suo ultimo istante di vita, seppur stremata per la sofferenza, seppe! Lei aveva affrontato la morte e il suo rancore, quell’odio immenso divenne potere, un potere che avrebbe dato il giusto ringraziamento a chi le aveva fatto questo.
Calò il gelo intorno al rogo. Lo spettacolo era finito, e per quei servi della gleba, non rimaneva che ciò di cui potevano dirsi proprietari… del niente. Le donne si fecero il segno della croce. Gli uomini sussurravano, qualcuno sputava su quello che restava di quella donna martoriata e uccisa perché diversa. Lei voleva sapere, capire…doveva morire. “Gettate i resti ai cani”, urlò qualcuno. Ma non si vedevano in giro animali. Erano scappati tutti. Loro avevano sentito.
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La vita riprese normalmente. Gli uomini di giorno lavoravano, di notte dormivano o si accoppiavano con le loro donne. Le donne facevano il loro dovere e recitavano le loro preghiere. Fedeli a un dio di cui non conoscevano nulla. Perché sapere era peccato. Credere. Non conoscere. Affidarsi. Non capire.
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La sera era opportuno riposare, ma soprattutto stare in casa, lontani da spiriti, lontani dalla paura.
L’aria era gelida, ma non muoveva le foglie. Un ombra sfiorò quella misera baracca in legno. Da lassù troneggiava il castello del feudatario. Lui dormiva sonni felici, ignaro del pericolo incombente.
Lei era li. Era tornata. Non sentiva dolore. Riusciva a percepire ancora l’odore nauseante di carne che bruciava, velocemente, in un terrificante rogo che consumava il suo corpo. Avvertiva solo una sensazione crescente. Rabbia. Più essa cresceva, più aumentava il suo potere. Vagò per qualche minuto, per le strade di quel misero assemblamento di capanne, non toccava terra, ma dove passava l’erba s’inceneriva, ciò che sfiorava bruciava. Volse lo sguardo verso quello spiazzo che ben conosceva e comprese. Era li per far provare a loro il suo strazio.
……………
Sera dei bagni. L’uomo, sapeva che era compito suo immergersi per primo nel tinello. Lavarsi era peccato, ma dopo un certo periodo di tempo diventava necessario. Emise una sorta di grugnito e lentamente iniziò a togliere quei sudici cenci che aveva per abiti; non aveva voglia di toccare l’acqua. Florenza lo osservava: avrebbe potuto ucciderlo con un soffio, ma lo voleva vedere nudo e come quella volta, gustarsi quella miseria. Voleva che quel piccolo inutile verme, la guardasse negli occhi, anche se occhi non aveva più.
I gatti erano spariti, i cani ululavano, lontani.
Troppo infreddolito non realizzò quale fosse il pericolo, ma capì di non essere solo, non la vedeva dietro al vapore che aleggiava. Avevano bruciato gli ultimi ciocchi di legna in casa per fare quel merdoso bagno, pensò. L’acqua doveva essere calda per lui, e lo era. Provò una sorta di piacere nel sedersi, nonostante scomodità, e odori…chiuse un istante gli occhi ma d’improvviso … Non era possibile. Cos’era, chi…? No, non poteva essere quella puttana di una strega. Lei sogghignò. Il suo corpo era nelle condizioni in cui si trovava nell’esatto istante in cui aveva reso l’anima, cedendola al suo stesso rancore. La pelle a brandelli, gli occhi semi sciolti, i capelli bruciati; i vestiti quasi del tutto inceneriti misti a quella carne morta, lei era li: la vedeva e percepiva il fetore nauseabondo. Il terrore che provò lo fece sobbalzare rumorosamente. Sua moglie spaventata non fece in tempo ad avvicinarsi perché Florenza con un gesto la fece genuflettere. “Prega donna”… uscì dalla sua bocca come un rantolo quell’ordine. “Prega”.
Indicò all’uomo di tornare nel catino ed a nulla servì il suo balbettare. La poca acqua rimasta subito aumentò ed iniziò a bollire. Lui strillò. Una forza invisibile lo spingeva verso quella tortura; gli fece immergere lentamente il piede, poi la gamba. Era un dolore orribile e la nutriva. Sembrava un animale in trappola. Il supplizio era ben superiore a ciò che un plebeo ignorante come lui potesse sopportare, ma non riuscì nemmeno a svenire, non glielo concesse. Sentiva la pelle staccarsi mentre lentamente lo obbligava a immergersi. Attirati dalle urla gli altri villici accorsero, più per morbosa curiosità che per spirito di comprensione.
La scena era al contrario, nessuno sputava ora, non si alzavano al cielo imprecazioni. Le donne non guardavano con odio. Aleggiava solo il terrore.
L’uomo non aveva più voce e gli spasimi erano ormai insopportabili. Incrociarono lo sguardo ancora una volta. “muori bastardo”.
Alzò le braccia al cielo e si alzarono fiamme ovunque. Il villaggio era invaso dal fuoco. Fu una scena tanto rapida quanto intensa, e lei provò immenso piacere ad ogni strepito. Quando fu solo più cenere, chinò il capo e si sbriciolò al vento, libera.
Il castellano al mattino, passeggiando attonito fra i resti del villaggio, vide solo più ossa e resti di quella gente: era in balia allo smarrimento, ma ciò che gli tolse il fiato fu un falò acceso, con un palo in mezzo all’assemblamento . Il legno non si consumava.