Nervosismi POP e strategie della paura nei KKK – di Davide Rosso
Qui si vuole mettere in luce qualche aspetto di innovazione formale nei volumi della collana KKK: certo, sappiamo benissimo che chi scriveva, chi si celava dietro ai vari pseudonimi anglofoni, non aveva alcun interesse a tratteggiare o indagare le ossessioni o le paure della società italiana degli anni sessanta e settanta. Chi tra loro ha avuto una lunga carriera, ha tentato altrove di lasciare un segno del proprio ingegno (penso alla Toscano e Simonelli, poi affermati sceneggiatori cinematografici).
Certo, non possono non incuriosire alcuni volumi, alcune trame, alcune suggestioni, scritte in un clima pesante, in fondo reazionario che si respirava all’epoca. I KKK, a differenza dei Dracula, collana gemella e concorrente, chiuderanno i battenti molto prima, verso l’inizio degli anni ’70, quando la strategia della tensione e il crudo realismo della cronaca nera muovevano i primi passi. E dopo? Cosa rimane di quella stagione culturale ed editoriale unica per il Belpaese? Pochino. I KKK e i Dracula spariscono nelle gole del tempo. I vari autori dei volumi rinnegano o dimenticano i loro scritti. Gli editori muoiono. I lettori crescono o muoiono pure loro Le copie invendute finiscono nelle buste estate, al macero o nei cassetti di collezionisti lungimiranti. E ancora dopo? Immaginatevi un’Italia che usciva dalla lunga notte della Repubblica. Immaginatevi l’Italia dei socialisti, pronti a comprarsi tutti noi in cambio di pensioni a 40 anni, favoritismi, sprechi, tv private piene di culi e milioni e il sorriso del grande tentatore di Arcore che cominciava a costruire l’impero del bene. A chi poteva fregare, in questo mondo cafonal di evasori e festivalbar, di quei piccoli volumetti da edicola gotici o psicothriller? Nemmeno ai pornografi interessavano più: le donnine spogliate da Caroselli e Caria erano diventate poca roba in confronto delle vischiose profondità della Frajese, Cicciolina, Lahaye e porno Company.
Un’epoca era finita, purtroppo.
Ora però, con pazienza e buona volontà, Luigi Cozzi ha dedicato due lunghi volumi alle sorti editoriali dei KKK e dei Dracula.
Frugando nelle bancarelle delle pulci è possibile trovarne qualcuno.
Recuperare i KKK, leggere veramente e studiare queste novel, vuol dire approfondire un tratto della letteratura italiana su cui ancora cade il manto dell’oblio, per non dire della vergogna.
Se a scuola, in una Università qualsiasi, si tocca l’argomento “fantastico italiano” ci si sentirà dire che, nel Belpaese, il fuoco del gotico non ha mai attecchito veramente e solo gli scapigliati o i semi anonimi autori delle varie riviste feuilleton di fine Ottocento, inizio Novecento (penso alla “La Domenica del Corriere”), hanno preceduto le prove di genere dei vari Calvino, Landolfi e Buzzati. E se è vero che i raccontini contenuti nelle varie riviste di inizio secolo sono dei veri pulp, sfrenati e morbosi al punto giusto, meno vera è l’asserzione che vuole Calvino e Buzzati unici padri del fantastico made in italy. Calvino è un autore che dal neorealismo passa a una fabula cerebrale intellettuale stitica e autoreferenziale. Buzzati, velato e suggerente, è troppo compresso nel suo ruolo di scrittore borghese per uscire veramente dal suo piccolo mondo d’elite. L’esistenza editoriale dei KKK e dei Dracula, centinaia di romanzi in circa vent’anni, viene tralasciata dai più e quei pochi che li citano, probabilmente, non ne hanno mai letto uno.
Per risentirne parlare col dovuto senno si è dovuto attendere la puntuale antologia della Stampa Alternativa, “Cuore di Pulp”, curata dai soliti Cozzi e Tentori.
Ma vediamo ora alcuni KKK particolarmente interessanti, meno gotici e più psicologici, maggiormente aderenti al contesto e al periodo in cui sono stati scritti e venduti.
TERRORE A MEZZANOTTE di Laura Toscano.
Titolo modesto per un capolavoro pulp nostrano.
Immaginate gli anni ’70 con i primi impianti stereofonici, le moquette che ricoprono e ovattano i pavimenti, immaginate il sesso libero e le comuni. A questo aggiungeteci una giovane ragazza della piccola borghesia americana che rientra a casa una sera dopo aver perso la verginità con un rozzo coetaneo del luogo. Bene. Immaginate la giovane soddisfatta che ritrova i suoi genitori macellati, con degli spilloni negli occhi. Passa del tempo e la ragazza intreccia una relazione sessuale col suo psichiatra. Sesso selvaggio e psicofarmaci, droghe e nuove esperienze sensoriali. Siamo nei ’70 appunto, il lungo week-end libero dell’America.
La bellezza di questo romanzo è qui.
Scritto a caldo sui fatti della family Manson che si riverberano anche sui rotocalchi italiani, Laura Toscano rilegge la paura della middle class americana ispirandosi a quelle famiglie disfunzionali che avranno parecchia fortuna nella cinematografia americana dei settanta (Hooper, Craven, Cronenberg), solo che la nostra scrittrice mette in scena un duo femminile di lost girls (coadiuvate da una gang lombrosiana), un duo vizioso e libertino pronto ad abolire qualunque tabù imposto dal perbenismo sociale. Nel finale poi si deraglia verso un noir pulp alla Spillane con tanto di detective privato, pula e caccia alla gang degenere.
IL CORPO E LA PALUDE di Renato Carocci.
Per chi scrive, il cinema di Jesus Franco e Jean Rollin è il top. Da questo assunto si spiega perché, sempre a detta di chi scrive, questo romanzo sia uno dei più belli della collana. Ricopio dalla quarta di copertina la trama dell’opera. “Ricky Helner un giovane “patito” della caccia, durante una battuta in palude, viene morso ad una mano da un pericoloso serpente. E proprio mentre le forze lo stanno abbandonando viene soccorso da una misteriosa ragazza. Poco dopo la giovane scompare da una casupola su palafitte ove l’uomo è stato accompagnato. Deciso a svelare l’identità della ragazza, Ricky ritorna ancora una volta nella palude. Ma un’amara sorpresa l’attende…”. Questa l’esilissima trama. Sembra di essere dalle parti de I desideri erotici di Cristine, o di Lips of Blood, film sospesi e lentissimi, narcotici, lontanissimi dalla velocità digitale del cinema di oggi, persi dentro loro stessi. Il corpo e la palude è pura poesia letteraria fatta di atmosfera e attese arcane che riempiono le pagine. Il senso di qualcosa di ineluttabile ci trascina dentro un racconto fatta di poche cose, quelle eterne di sempre, ovvero sesso, desiderio, paura, morte, amore folle. Come ultima lode sottolineo il fatto che Carocci scrisse questa meraviglia nel 1968, ben prima che Franco e Rollin sviluppassero quella lentezza totale che caratterizza i lavori più liberi.
NEL REGNO DI SATANA di Laura Toscano.
Nei KKK non aspettatevi troppe novità. Il plotone di scrittori che si avvicendano alla catena di montaggio è minore rispetto ai Dracula. Quindi riecco Laura Toscano, uno dei nomi di punta. Ancora atmosfere da contestazione giovanile, controcultura e comuni hippy. Lucrezia è una ragazza triste, borghesemente annoiata. Una sera è quasi sul punto di farla finita e buttarsi giù da un ponte. Arriva uno strano uomo, giovane e affascinante, che la convince a non ammazzarsi. La ragazza si innamora di lui, lo segue, si lascia credere morta e comincia una nuova esistenza nella casa dello sconosciuto, che si chiama Gerard e forse è un medico con una gamba deforme ricoperte di squame demoniache. Da qui parte una spirale di complotti e omicidi a sfondo satanico. Gerard vive in una casa con altri strani individui e una madre oppressiva. Laura Toscano ha gioco facile a dipingere un quadro degno di Ira Levin in un Rosemary Baby all’italiana. Il finale poi, ci spiazza di brutto. Bel libro. La Toscano e i KKK sono decisamente più psicologici dei Dracula, spesso si spingono maggiormente sui sentieri contorti delle menti più sadiche e deviate. Credo sia questo il loro specifico. La copertina poi è magnifica e rende benissimo le situazioni.
MINACCIA INVISIBILE di Renato Carocci.
Libro particolare, mescola il Corman dell’ Uomo con gli occhi a raggi X al Valdemar di Poe e al Leopardi delle Operette morali. Jennifer è una avvenente ragazza americana a Parigi nel 1968. L’inizio ricorda certe scene de I sognatori di Bertolucci. Ad un party Jennifer conosce uno strano giovane che sostiene di vedere altri colori oltre a quelli conosciuti. E’ l’inizio di un viaggio nel mondo poco rassicurante degli “ultracolori” e dei loro mortiferi misteri. La vicenda è scritta benissimo, con dialoghi spesso incalzanti o filosofici. Ad un certo punto, Jennifer trasmigra dal suo corpo e incontra i bagliori luminosi che le parlano. Ecco un estratto dalla dimensione elettrica:
“Voi non soffrite?
No, naturalmente.
Allora non potete essere felici.
Perché no? La nostra felicità consiste nel vagare dove vogliamo e quando vogliamo. Non abbiamo confini. (…) Non vi sono guardie quassù, non vi sono tribunali… (…)
La vostra elettricità finirà con lo sparire, no?
Si, probabilmente.
E questo non vi spaventa?
No.”
In fondo al volume spicca una paginetta di posta, dove non vengono riportate le missive dei lettori ma solo le risposte del curatore, che comunque lasciano intuire il tono delle domande. Ne riporto integralmente una parecchio interessante. Tenete conto che siamo nel 1968, nel pieno del potere democristiano: “ UN COMMESSO (Italia) Ringraziamo quel lettore che ha voluto inviarci una gradita lettera non firmata ed un opuscoletto per farci ravvedere (da che cosa poi?). Caro signore in incognito, i nostri volumi non hanno l’intenzione di far dannare nessuno e tanto meno quella di uccidere alcuno. Sono dei libri scritti per essere letti da gente sana, normale, senza complessi e una volta che li ha letti, rimane sana, normale. I fatti in essi narrati, non sono che il frutto della fantasia dei nostri scrittori. Non esageriamo vedendo il Male ove non c’è.”
Altra copertina splendida.
IL NUDO VOLTO DI SATANA di Maddalena Guy.
I KKK sono donne perlopiù.
La fantasia, il genio delle donne scrittrici (e oggi questo è un valore aggiunto, visto che, quotidianamente, qualche demente col pisello ammazza o sfigura una donna).
Cinesi satanici, sette, sotterranei alla Gustav Meyrink dove tutto è silenzioso, freddo e morto. Pile di mummie putrefatte nel sottosuolo (è il 1962 eppure pare di trovarsi dentro alla casa di Rob Zombie). E ancora un incipit noir con la S. Francisco preda di nuovi culti esoterici capaci di sostituire le derive gangsteristiche del proibizionismo.
La scrittura poi è perfetta, senza fronzoli o belletti.
E la Guy ci delizia con la focalizzazione interna multipla del Fearing del Grande Orologio, ovvero fa raccontare la vicenda dal punto di vista dei vari personaggi, così da arricchire le sfumature del plot satanico. Questa finezza semiotica ci permette di rilevare, una volta di più, qualora ce ne fosse bisogno, l’estrema professionalità e maestria di questi “negri” del calamaio. Donne in primis (nei KKK) e uomini, artisti poliedrici, capaci di scrivere qualunque genere (dal thriller all’horror, dal poliziesco hard boiler al racconto di guerra o d’amore) utilizzando ogni volta le tecniche narrative più appropriate.
Interessante anche, proprio negli ultimi anni di vita editoriale della collana, la comparsa di alcune trame, di alcune storie che sembrano anticipare la nascita del thrilling all’italiana, genere tra i più importanti e originali della nostra cinematografia negli anni ’70.
Mi sembra inutile stare qui a ripercorrere la storia del nostro thrilling su pellicola, vista l’abbondanza di volumi e di critici che si sono cimentati sull’argomento.
Mi sembra altrettanto inutile sottolineare l’importanza che il cinema di Argento ha avuto, soprattutto in termini di incassi.
Ciò che mi preme è segnalare, come ho già detto, è la presenza di alcune tematiche ascrivibili al giallo morboso italiano presenti in alcuni KKK.
Ne prendo tre.
IL VOLTO E LA MASCHERA di Enisian Ronald Silvas, nome pomposo dietro al quale si nasconde (probabilmente) tale Silvano Alessandrini. La trama può già fornirci alcuni indizi. La riporto integralmente: “1600. La tranquilla vita di provinciale di Saint Cloud, paesino della Francia, è sconvolta all’improvviso dalle criminose gesta di un maniaco sessuale il quale penetrando di notte nel locale cimitero, profana le tombe di alcune donne, per poi abusare dei loro corpi. Gli indizi purtroppo sono vaghi, le prove inesistenti. Tuttavia la Polizia, seguendo una tenue traccia che la conduce al vicino manicomio criminale, riuscirà a catturare il turpe individuo e ad assicurarlo alla giustizia.” Bene, questo il trailer del volume. Prima di vederne alcuni aspetti, vorrei permettermi di citare alcune considerazioni semiologiche fornite dagli studiosi Antonio Bruschini e Antonio Tentori nei loro studi sul thriller del Belpaese. I due critici evidenziano, dal cinema di Argento in avanti, alcune “regole” non scritte e non dette che ritornano di pellicola in pellicola, anche in quelle di coloro che cercheranno di imitare il successo del regista romano. Le elenco sinteticamente.
Elementi del thriller italiano:
- il particolare rivelatore
- personaggi ordinari in situazioni stra-ordinarie
- l’assassino guantato, inarrestabile, dappertutto, sadico
- ambientazione tipicamente italiana (città/provincia)
- la famiglia borghese/ il trauma infantile/ madre- padre – figlio
- le radici infantili (disegni, pupazzi, musichette)
- ritualità dell’omicidio, ovvero una particolare cura nella messa in scena delle varie morti violente
Sicuramente, chiunque di voi abbia visto anche solo un film thriller dei settanta/ottanta, ritroverà alcuni degli elementi sopra riportati. Bene. Queste caratteristiche elencate differenziano moltissimo i plot d. A.(dopo Argento), da quelli precedenti, soprattutto dai modelli dei crime tedeschi, tratti dalle opere del più ecumenico Edgar Wallace. Argento crea una vera rivoluzione, abbandonando progressivamente le tematiche gialle (leggi logica e razionalità) per calcare la mano sugli aspetti più forti, visivi e di tensione. Inoltre la figura dell’assassino mascherato, della mano guantata, del rasoio, diventeranno un leit-motiv per questo tipo di film. E i KKK? Il libro di Alessandrini, “Il Volto e la maschera” è appena precedente all’irruzione di Argento sugli schermi italici, eppure certe idee sembrano già nell’aria. Infatti il romanzo presenta un assassino mascherato che uccide all’arma bianca ed è spinto ad agire da un trauma che lo porta verso la necrofilia. Certo, l’immaginario di Alessandrini è molto gotico (e l’ambientazione è tutt’altro che metropolitana o contemporanea) e guarda al Freda di “L’orribile segreto del dottor Hichcok” o al Bava di “Sei donne per l’assassino”, ma alcune cose colpiscono. Ad esempio le lunghe sequenze descrittive dedicate ai momenti che precedono le incursioni del maniaco, simili a certe attese e sospensioni del thrilling cinematografico. Anche certi ambienti sono tipici, come la clinica per donne isteriche attorno a cui gravita la vicenda. Certo, su tutto, rimane il sapore necrofilo della vicenda, l’apparato funebre su cui Freda aveva costruito il suo film.
Già le cose cambiano con IL COLLEGE DELLA MORTE di Laura Toscano, libro uscito nell’Aprile del 1971. Anche qui riporto la sinossi completa dal volume: “Un uomo è scomparso lasciandosi alle spalle il mistero di due delitti terribili quanto insoluti. Dopo lunghe ricerche la moglie di lui, una ragazza giovane e bella ed apparentemente innamorata, riesce a rintracciarlo in un antico castello del Galles, trasformato in un college di lusso dove l’uomo si è rifugiato facendosi passare per l’insegnante di disegno. A sua volta la ragazza si fa assumere al collegio, ma già dal momento del suo arrivo comincia un carosello di violenze e delitti, apparentemente ingiustificati che portano tutti l’identica firma della follia. Le ragazze del college vengono uccise barbaramente da un misterioso assassino che si accanisce con furore sui loro corpi giovani ed affascinati. Come è possibile collegare i due delitti di Londra con quelli del college se non attraverso il filo sottile dell’esistenze dello stesso misterioso personaggio? E’ quello che tutti cercano di capire e di scoprire dietro la complicata impalcatura del racconto, finché all’ultimo istante la verità si rivelerà agghiacciante, riportando tutti gli avvenimenti ad una dimensione di orrore insospettabile…”.
A mio avviso non è importante stabilire se Laura Toscano o gli scrittori dei KKK vedessero o meno certi film del periodo e tanto meno è interessante capire se certi produttori o registi abbiano “rubato” da questi volumetti o dai fumetti neri del periodo. Trovo maggiormente stimolante l’idea che certe cose fossero nell’aria e che, tra cinema, letteratura e fumetto di genere, ci fu una sorta di osmosi, di contaminazione, di sincretismo.
“Il college”, più che ad Argento, ad esempio, sembra guardare ai suoi epigoni, in particolare al Di Leo de “La bestia uccide a sangue freddo” o agli “Orrori del collegio femminile” di Serrador. Del nuovo thriller ha i punti 2, 3, 6 e 7. Ma ancora una volta sono i particolari degli omicidi, il modo in cui vengono descritti che sembrano davvero un equivalente letterario di quanto sta avvenendo sugli schermi. Trascrivo brevemente alcuni passi: “Lilith si voltò in tempo per vedere avanzare verso di sé una figura sinistra e terribile che brandiva un lungo, acuminato coltello. Spalancò gli occhi, bloccata da una rivelazione improvvisa, senza neppure la forza di urlare. Ormai sapeva la verità, ma era troppo tardi per mettere gli altri sulla strada giusta… troppo tardi soprattutto per lei…”. Oppure: “(Mary-Ann) fu sul punto di tornare verso la finestra per chiamare aiuto, ma l’ombra scattò in avanti all’improvviso, chiudendole la bocca con una gran mano gelida, impedendole di urlare.” Il plot è poi impreziosito da una fauna di personaggi lombrosiani, professori che trescano con le alunne (è di questi giorni l’ennesimo episodio di cronaca analogo) e sono fortemente indiziati, proprio come avverrà nel bel film di Dallamano “Cosa avete fatto a Solange?”. Nell’epilogo poi la vicenda si colorerà di toni ancora gotici, andando a pescare una citazione quasi letterale alla pazzia ereditaria del racconto degli Usher. “Il college” della Toscano è uno splendido pulp nostrano, capaci di miscelare con gusto le tematiche del nero con quelle più nervose e moderne del thriller. Certo, è una pecca l’ambientazione sempre straniera (questo naturalmente avviene anche nella collana dei Dracula), quasi sempre inglese o americana, mai italiana. Purtroppo, e con questo mi ricollego all’inizio, gli pseudonimi e le ambientazioni risentono di quella scarsa fiducia che i produttori, gli editori e gli scrittori stessi hanno sempre riposto nell’idea di un fantastico autoctono.
Rimane da segnalarvi un ultimo volume, JACK LO SVENTRATORE, opera di Simon O’Neil, ovvero Giorgio Simonelli, anche scrittore per i Dracula e poi sceneggiatore di Antonio Margheriti (suo è lo script del giallo/gotico “La morte negli occhi del gatto”). Anche qui troviamo un plot incentrato su un maniaco che vuole rinverdire i fasti dello sventratore ottocentesco. Siamo sempre a Londra, negli stessi quartieri, solo che adesso ci sono le automobili e la nebbia è sostituita dallo smog delle auto. Simonelli insiste molto sulle scene cruente, ben orchestrate e particolareggiate, con puntatine che, vista l’epoca, sarebbe giusto definire gore. Sesso e sangue si intrecciano con una sfacciataggine tale da farci dimenticare il cinema casto di Argento e le novelization su carta dei primi tre film commissionate a Nanni Balestrini. La prosa di Simonelli, il suo immaginario, sembrano puntare a una letteratura più feroce e moderna, fatta di frasi brevi e secche, vicina a quello che sarà “Un sogno di sangue” di Francesco Argento (alias Tiziano Sclavi), pubblicato da Campironi nel 1975 con distribuzione nelle edicole. Interessante anche l’idea di giocare la vicenda su pochi personaggi (praticamente tre), in modo simile a quanto fatto da Chabrol per il suo “Tagliagole”. Lo scioglimento dell’enigma è abbastanza inaspettato e apre a un finale sadico e politicamente scorretto, lontano da tanti epiloghi zuccherosi a cui la fiction televisiva ci ha abituato.
Un altro KKK psychothriller è ROSSE SOTTO LA LUNA di Giorgio Ricci, che non è come dire Giovanni Pascoli. Però. Rosse, come gli altri volumi, si presenta a noi ormai sgualcito dalle letture e dal cattivo stato di conservazione. Le sue pagine sanno di sporco e muffa, come una sala indefinibile d’una volta, quando accanto a te poteva sedersi un tizio pelatino con le mani affondate nell’impermeabile. La trama è indifferente: siamo a una letteratura quasi casuale, incosciente del proprio andamento automatico, improvvisato su un canovaccio che conoscono anche i sassi: il sadico pervertito, i poliziotti da barzelletta, i sir inglesi dalla facciata vittoriana e irreprensibile e dietro trombatori a catena di minorenni, un detective sagace che risolve il tutto con uno stratagemma da prima elementare. Però. Gianni Ricci, che non è come dire Luigi Pirandello, ci restituisce un prodotto nostalgico, d’un onirismo decadente condito di delirio sadiano che sa di bettole, vicoli sordidi e dadaismo involontario.
Un KKK del 1970 di Jannet Mills, MACABRUS, ma qui è un’altra storia, oltre lo psycho-thriller. Jannet vuol dire Laura Toscano, una nostra signora della letteratura italiana, che meriterebbe uno studio approfondito. MACABRUS ha una copertina verticalmente divisa in due zone di senso: una occupata da una donnina pin up accovacciata, con le lunghe gambe tornite a solleticarci fin quasi il naso, l’altra, limitata da una nube rossa, sotto l’egida di un boia scarlatto armato d’ascia. C’è un boia scarlatto nel romanzo? No, ovvio. Cornovaglia, brughiera desolata, mugghiare di mare. Reginald è un ricchissimo nobile scozzese e, con la moglie Clarice, vive nel suo gotico castello. Lui è un aristocratico roso dalla noia; alle spalle, prime esperienze sessuali da voyeur, zoofilia con la cagnetta bretone, infine la discesa nell’impotenza. Clarice, coltivata in un’asfittica austerità puritana, lontana dalle presenze ossessive del sesso zozzone, brucia le sue voglie nel ricordo del cugino perverso e della sorella ninfomane; nel profondo, le rimane un senso di schifo e sublimazione autoerotica. Con loro vive un monaco folle, Primus, rintanato in un laboratorio alchemico/fantascientifico costruito nella pancia del castello; Primus è un magnetista, un emanatore di fluidi psichici che tengono in scacco la coppia di sangue blu. Primus è quasi sul punto di scoprire la vita eterna, intanto, sadicamente, si trastulla frustando Clarice, mentre la nobildonna si masturba. Poi tutto crolla: arrivano dei teppisti prezzolati da Reginald il cornuto. E’ la sua banale forma di vendetta per il sadismo del frate. Segue tortura a morte del mistico con qualche strumento medievale da margheriti movie. Infine Reginald elimina la teppa (che per tutto il tempo si è fatta beffe della sua impotenza, regalando una gang-bang alla moglie), Clarice e dà fuoco al castle. Siamo appena a pag. 30! Dopo passano gli anni, Reginald si rifà una vita (nuova moglie, due belle figliolette minorenni), và a vivere a Londra. Tutto sembra procedere per il meglio, quando le sue figlie immacolate si comportano come le petites di un Pierre Louys scaduto nel vino più sozzo. Entrano in scena nuovi personaggi spenti, grigi, senza rilievo e per questo fantastici. La girandola continua con un nuovo monaco/scienziato, tale prof. Erebus, che pare essere la reincarnazione di Primus, invece è solo un simpatico necrofilo che inietta delle fialette a delle ragazzine per farle cadere in una trance simile alla morte e poi, dopo la sepoltura, riesumarle e zomparle alla meglio. La scrittura della Toscano è un moloch di complessi, sensi di colpa, frustrazioni, cattivo gusto, pornografia, lezzi schifosi, surrealismo e scrittura automatica, nel senso di una scrittura infittita di tutta la documentazione gotica del decennio precedente, rielaborata con una esasperazione stilistica che mescola ogni cosa e la riduce a un universo auto-referenziale, senza tempo, ciclico, eterno da porno fumetto da edicola. Un libro del genere, mastodontico nelle sue 120 pagine, sarebbe piaciuto a un Breton diciottenne o a un neurotico come me.