Notturno congelato 1 – di V. Malevolti
La prima volta che ho fatto l’amore la mia mente è fuggita, lasciando nel mio corpo un vuoto siderale. Avevo paura. Fottuto terrore.
No, non della fisicità dell’atto, ma che lui entrando, squarciando la mia piccola fessura facesse fuoriuscire i miei pensieri, finora nascosti nel guscio di carne e sangue del mio corpo. Il mio essere esteriore reagiva ad un inverno di casa da studente fredda e gelata neve fuori della finestra a dare un senso di purezza ed isolamento. Fu tutto veloce e cattivo. Un materasso vecchio sul pavimento. Le tue mani che strappavano i miei capelli. Il tuo essere in me…tutto così diverso dai miei sogni di principessa. Fine di tutto. Silenzio, vuoto siderale. Ti amo. Anche io. Io. Io avevo solo voglia di vomitare. Nuda, piumone e anfibi uniche cose sulla mia pelle. Sola nella neve. Copiose gocce di sangue della verginità strappata. Rosso su bianco. Profano su sacro. Le mie mani nella fessura violata. Rosso su bianco. Raccolsi il sangue con la punta delle dita, esse lo fecero scivolare in gola. E nero e acido ne uscì copioso un liquido. Sangue, vomito, lacrime. Lui era un bravo ragazzo, senza vizi con la testa sulle spalle. Il suo mondo interno era e forse lo è ancora un copione da film. Io ero e forse lo sono ancora una brava ragazza. Senza vizi con la testa sulle spalle. Il mio mondo non ha e non aveva tempo. Una notte infinita, di carillon, bambole senza testa, sogni distorti, nero e viola, angeli che sussurrano alle mie orecchie. E lui in sette minuti spezzò le gambe alle ballerine, strappò le ali agli angeli, rimise le teste alle bambole che mi guardarono con occhi accusatori. Le candele in casa continuavano a bruciare d’oppio e lavanda. Volevo gridare ma la mia bocca si apriva emettendo un suono fievole. Vomito, lacrime, sangue. Il mio guscio si ruppe. Le ballerine non vorticavano + sul lago dei cigni. Piangevo guardando il carillon del piccolo cucciolo di cigno che girava nel lago accanto a mamma cigno. La morte del cigno su piccole note. L’unico legame con mia madre lontana. Mi sentivo così triste, mi sentivo così vuota. Avevo bisogno di riempire la mia notte. Eri un bravo ragazzo. Io ero pazza. Pazza e basta. Forse non esisteva niente del mondo che mi circondava. Forse ero nel vuoto e tutto intorno a me era un’invenzione della mia mente. Lui non capì mai queste mie paranoie, queste mie paure incontrollate, questo mio essere così diversa. Forse morii assiderata in quella neve, suicida per aver regalato me stessa. Non esiste paradiso, non esiste inferno. Aleggio spirito di carne nella realtà.