IL FERETRO ACCOMPAGNATO DAI BRACIERI ACCESI
di Rocco Giuseppe Tassone
Esiste un’antica usanza di portare un braciere sulla testa durante una processione funebre, registrata in alcuni comuni calabresi come Candidoni (RC), ma si hanno testimonianze anche a Galatro (RC), Santa Cristina d’Aspromonte (RC), Lazzaro (RC), senza escludere la possibilità che l’usanza fosse presente anche in altri comuni fino agli anni sessanta del secolo scorso.
Molte erano le gesta che accompagnavano il rito funebre, come la presenza dei sacerdoti che andavano a prendere il morto a casa e lo seguivano fino al cimitero o, se lontano dal paese, fino ad un punto stabilito, naturalmente con tutti i paramenti sacri e vesti e manto nero, mentre dal campanile il mortorio, che iniziava con la campana piccola o con la campana grande a secondo del sesso del defunto, veniva suonato per tutto il rito. Le donne con i capelli sciolti e rigorosamente vestite a nero piangevano ad alta voce ripetendo il nome del defunto e raccomandandolo ai parenti già morti per una buona accoglienza nell’aldilà. Spesso si sentiva chiamare il defunto con l’appellativo di “palumba mia”.
Quello che colpisce nell’usanza di portare in testa un braciere era che al suo interno la brace fosse accesa.
Erano generalmente 4 donne vestite a nero poste ai 4 lati del feretro portato a spalla o nel carro funebre ed in quest’ultimo caso 4 uomini reggevano i “cimboli” ovvero i cordoni che pendevano dal carro.
Interrogando sul significato del braciere a coloro che nel corso degli anni ricordano ancora il rito, il quale si faceva per tradizione tramandata, ma non ricevendo risposta in tal senso, possiamo solo ipotizzare azzardando qualche spiegazione:
1) come la brace diventa cenere nel braciere anche il morto diventerà cenere nella terra;
2) il fuoco della Risurrezione ovvero rinascita a nuova vita: dopo la morte terrena arriva la vita eterna celeste.
“Il fuoco è bello perché risplende e brilla insieme all’idea.” (Plotino, 1, 6, 9). Esso è presente in numerose analogie e simboli che vanno dalla mitologia ai concetti scientifici, filosofici e religiosi, occupando un posto fondamentale per la sua realtà che va dal concetto dinamico a quello del mistero, reale ed ineffabile allo stesso tempo. Il fuoco ha la caratteristica di essere amato e temuto al tempo stesso in quanto illumina e riscalda, (cu ndeppi focu campàu cu ndeppi pani morìu), ma è anche vita e morte allo stesso tempo, rendendo visibili le forme senza averne una, è la sua fiamma dalla terra si proietta verso il cielo. Nel fuoco è il principio della vita nel fuoco sarà la fine di ogni cosa! Archè ed ecpirosi si rincorreranno sino al giorno del giudizio di Dio.
La presenza del fuoco nell’Antico e nuovo Testamento è costante con una sicura valenza simbolica e pastorale: rivelazione divina all’uomo figlio prediletto ma anche ammonizione con una teoria catastrofica della fine del mondo con fuoco e non più con l’acqua. Il fuoco indica l’onnipotenza di Dio nella sua forza e nella sua bontà: la minaccia del giudizio, la concessione del perdono tramite la purificazione. Quindi il fuoco come elemento di distruzione e di giudizio ma anche manifestazione di Dio ( “Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco” Mt 3,11 e Lc 3,17) e rinnovamento dell’uomo.
Sappiamo invece, che era proibito accendere il fuoco come caminetto o braciere nei giorni di lutto: una sorta di autoafflizione, non si accendevano i fornelli, non si cucinava e provvedevano solitamente i parenti o gli amici al sostentamento della famiglia per almeno fino al settimo dalla morte (cunzulu).