La Soglia Oscura
Racconti

LO SPECCHIO CAPOVOLTO
Di Viviana De Cecco

Laura, paralizzata dalla paura e dallo stupore, fissò con espressione quasi ipnotizzata il volto dello sconosciuto che era apparso come un oscuro riflesso nello specchio della sua camera. L’idea che un uomo si fosse introdotto nella penombra del casolare per farle del male o rapinarla, la bloccò per un lunghissimo istante. Colta dal panico, non riuscì a ricordare se avesse chiuso la porta-finestra della camera.
La stanza si trovava al pianterreno e si affacciava sul retro del giardino. La casa di campagna, che aveva preso in affitto per una breve vacanza solitaria, era avvolta dal silenzio e dal lamento intermittente di una civetta. Ipotizzò che quell’uomo avesse scavalcato il cancello d’ingresso. Era stata un’imprudenza andarsene in giro da sola, ma aveva sentito la necessità di allontanarsi da Tommy, l’uomo che l’aveva lasciata un mese prima senza alcuna spiegazione. Voleva dimenticare la rabbia che aveva provato, concedendosi una fuga in una zona isolata e pacifica. O almeno, era quello che aveva creduto fino a qualche secondo prima.
E mentre l’estraneo continuava a osservarla intensamente, Laura cercò d’imprimersi nella mente i dettagli del suo viso. Nonostante il terrore le impedisse di muovere un solo muscolo, non riusciva a staccare gli occhi da quella figura che si stagliava alle sue spalle. Era alto, biondo, con le iridi scure come la notte e un sopracciglio su cui si notava la cicatrice di un taglio profondo.
«Sei tornata?» le disse lui, all’improvviso.
Laura provò una sensazione strana. Percepì un insolito freddo, come se una corrente d’aria stesse attraversando il corridoio e fosse giunta a colpirla. La sua voce era un sussurro che si mescolò al rantolo incerto di un tuono. Fuori, il cielo minacciava pioggia e i filari dei vigneti le apparvero come una barriera che le avrebbe impedito di fuggire da lì.
«Non sono mai stata qui,» rispose lei automaticamente.
«Ne sei sicura?» insistette l’altro.
Lei pensò che quella situazione fosse diventata assurda. Da quando in qua, un ladro o un delinquente cercavano di fare conversazione con la propria vittima? In quel momento, decise che avrebbe dovuto girarsi per guardarlo dritto in faccia.
Prese il coraggio a due mani e si voltò. Ma l’intruso era scomparso. Laura spostò lo sguardo verso la porta-finestra. Era chiusa.
Per il resto, non c’era alcun indizio che qualcuno avesse violato la proprietà. Attraverso la finestra riusciva a vedere il cancello sprangato e la strada deserta. Il suo corpo fu scosso da un brivido e la tensione le stringeva lo stomaco in una morsa. Guardò di nuovo lo specchio. Era un oggetto antico, con la pesante cornice dorata che era rimasto appeso alla parete sin da quando i proprietari avevano lasciato la cascina. Doveva trattarsi di un ricordo di famiglia che nessuno si era ancora preoccupato di recuperare.
Laura, rimasta in piedi con il pettine tra le mani, sentì che pian piano la tensione si allentava. Si convinse che lo stress delle ultime settimane l’avesse resa più vulnerabile del solito e che la sua immaginazione le stesse giocando brutti scherzi.
Si scrollò di dosso quella sensazione di gelo e paura, tentando di recuperare il suo sangue freddo.
Quella sera era stata invitata a cena dall’anziana vicina di casa, che desiderava distrarla dalla sua solitudine, e non aveva certo intenzione di apparirle in preda a un esaurimento nervoso. Mantenendo la calma, finì di pettinarsi e si sdraiò sul letto per riposare qualche ora.

****

Verso le diciannove, recuperata la giusta serenità per affrontare una serata in compagnia, si preparò con cura e uscì in fretta. La signora Virginia la accolse con un caloroso sorriso. A dispetto dei suo settant’anni, era una donna simpatica e vivace.
«Buonasera, cara. Come procede la vacanza?» le chiese subito in tono gentile.
«Abbastanza bene, grazie. Avevo bisogno di una pausa.»
L’anziana Virginia si accorse che Laura era turbata. Lei si sforzò di fare conversazione come se avesse già dimenticato l’inquietante episodio che le era capitato, ma non riusciva a dominare l’ansia.
«Credevo non ci fosse posto più rilassante della nostra campagna,» continuò l’altra, facendola accomodare al tavolo della sua spaziosa sala da pranzo.
«Non troppo, direi.»
«In che senso?» Virginia la guardò perplessa.
«Oh, niente,» si affrettò a dire Laura. Ma sulla parete di fronte, dov’era stato appeso un elegante specchio rettangolare, si vide impallidire.
«Ti senti bene, cara?» Virginia si rese conto che Laura non riusciva a staccare gli occhi dallo specchio.
«Sto bene, è un po’ strano mangiare e vedersi riflessi.»
«Lo so. L’arredamento è antico. Un tempo gli specchi erano dappertutto. Non ti piacciono molto, vero?»
«Direi di no.»
«Per fortuna sono talmente grandi che sarebbe difficile romperli, altrimenti ci toccherebbero sette anni di sfortuna!» replicò scherzosa Virginia. A settant’anni era ancora arguta e simpatica.
«Già. Le superstizioni e le credenze popolari.»
«Ce ne sono diverse sugli specchi. Una mi ha sempre spaventato molto.»
«Quale?»
«In alcune culture antiche, nella casa di una persona che sta morendo o è appena morta, si dovrebbero capovolgere tutti gli specchi in modo che la sua anima non ne resti imprigionata per sempre all’interno. In altre, si crede che gli specchi vengano usati per comunicare con i defunti…»
Laura si irrigidì.
«Lei crede in queste cose?» domandò con un filo di voce.
«Non si può mai sapere se siano vere.»
A quella spiegazione fu assalita da una sensazione angosciante.
Laura non era superstiziosa, non credeva ai fantasmi, né agli eventi sovrannaturali, ma preferì cambiare subito argomento, e chiese a Virginia di raccontarle del marito, ormai scomparso, di sua figlia e della vita di campagna.
Le parlò anche dei tempi in cui la madre di Laura abitava nella zona, rivelandole un dettaglio che lei stessa ignorava. Sua madre aveva frequentato a lungo la famiglia Benedetti, proprietaria della cascina che aveva preso in affitto. Laura ne restò sorpresa.
Era stata proprio sua madre a consigliarle il paese dov’era cresciuta e da cui si era trasferita dopo il matrimonio, ma non avrebbe mai creduto che frequentasse esattamente quella casa. Era stato il caso a portarla lì? O qualcosa che ancora le sfuggiva?
In un lampo, un ricordo affiorò nella sua memoria.
Era un’estate di tanti anni prima. Aveva più o meno undici anni. Giocava lungo i filari in compagnia di un altro bambino, il figlio di quella coppia che abitava nella cascina. Erano diventati compagni di avventure estive e tra loro si era instaurata una complice e affettuosa amicizia. Una volta cresciuta, gli impegni e il suo lavoro di segretaria in uno studio commerciale le avevano impedito di tornare.
«È un peccato che anche i Benedetti se ne siano andati. Ormai, dei vecchi abitanti siamo rimasti in pochi.»
«Come mai hanno deciso di lasciare la casa per affittarla a degli estranei? È così bello qui…» domandò incuriosita Laura. In effetti, se l’era chiesto fin da quando aveva risposto all’annuncio pubblicato in un sito specializzato.
«Si sono trasferiti dopo la disgrazia.»
«La disgrazia?»
«Tre anni fa. Andrea, il primogenito, è morto a soli venticinque anni. Aveva più o meno la tua età. Era un bravo ragazzo. È stato un duro colpo per i genitori e la sorella minore.»
Laura era sconvolta. «E come è morto?»
«Un incidente. È caduto da una scala.»
Virginia non scese nei particolari, ma l’atmosfera si velò di tristezza. Finirono di cenare, mentre Laura cominciava a tormentarsi con un pensiero inquietante.

****

Quando rientrò alla cascina, fu assalita da uno strano presentimento. Entrò in camera con il cuore che batteva all’impazzata.
Fu allora che lo vide. Il volto riflesso nello specchio. A prima vista, era un uomo giovane, sui venticinque anni.
«Andrea Benedetti…» lo chiamò lei, in un sussurro.
«Finalmente hai capito.»
«Non posso crederci. Tu…»
Andrea annuì. «Sì, sono morto. Sono passati tre lunghi anni e da allora sono rimasto qui. Accadde tutto così in fretta che non me ne accorsi nemmeno. Stavo dipingendo le pareti di questa stanza per mia sorella Giada. Avrei voluto farle un regalo per il suo sedicesimo compleanno, ma la scala che avevo preso dalla soffitta aveva un piolo difettoso. Caddi nel vuoto, battendo violentemente la testa sul pavimento. L’ultima cosa che vidi, fu il mio riflesso in questo specchio. Furono i miei genitori a trovarmi, quando ormai era troppo tardi.»
Laura ripensò alle parole di Virginia. Allora, era tutto vero. Se Andrea non fosse morto da solo, lo specchio capovolto avrebbe potuto salvare la sua anima e permettergli di oltrepassare il confine di un’altra dimensione. Era una verità sconvolgente, che Laura faticava ad accettare.
«Perché io sono l’unica ad averti visto?»
«Tu hai un dono, Laura. Mi dispiace di avertelo fatto scoprire in questo modo. Sei in grado di vedere le anime perdute. Lo so, sarà difficile accettarlo, ma non credo sia così terribile. Forse, se non puoi aiutare me, sarai in grado di farlo con qualcun altro. Ora dovrai convivere con la tua eredità. Non so chi te l’abbia trasmessa, ma ricordo che fin da piccola sei sempre stata una bambina più sensibile rispetto alle altre.»
Andrea aveva ragione. Laura ricordava di essersi spesso sentita diversa dalle sue coetanee, ma non era mai stata capace di spiegarlo razionalmente.
Un giorno, forse, avrebbe scoperto in che modo le fosse stato trasmesso quel potere e quale compito il destino avesse scelto per lei. Nonostante lo shock di quella rivelazione, Laura avrebbe voluto trovare un rimedio, ma Andrea la convinse che non esisteva una soluzione. Una volta che lo specchio non era stato capovolto, l’anima veniva condannata a un eterno vagare.
«Purtroppo è impossibile anche per te. La mia anima è destinata a rimanere in questa casa, ma se vorrai tornare, ne sarò felice. Ricordi quando giocavamo in giardino? Avevamo undici anni ed eravamo una bella coppia!» Attraverso lo specchio, Andrea si portò una mano verso il sopracciglio. Quella era la ferita che si era procurato una sera d’estate, sfidandola in una corsa a perdifiato sui sentieri sterrati e inciampando sul terreno accidentato.
«Eravamo due bambini imprudenti, ma ci siamo divertiti!» gli disse Laura commossa. Andrea rise, con una punta di nostalgia per la vita che non aveva abbandonato di sua spontanea volontà. Era un’anima solitaria, smarrita in quel luogo dove nessuno era in grado di stargli accanto. Avrebbe trascorso l’eternità in bilico tra questo mondo e l’aldilà.
«Tornerò,» gli promise Laura, con la voce rotta dall’emozione. «Grazie a te, ho scoperto un dono che non avrei mai immaginato di possedere.»
Andrea le sorrise dolcemente attraverso la superficie levigata dello specchio.
Un raggio di luna colpì inaspettatamente il riflesso del suo volto e i suoi occhi neri si accesero di una nuova luce.
Laura aveva rischiarato per un attimo il buio della sua esistenza ultraterrena e Andrea gliene sarebbe stato per sempre grato. Non appena una nuvola di pioggia coprì la luna, il riflesso scomparve e Laura si ritrovò sola.
La mattina successiva, Virginia la salutò dal giardino che confinava con quello della cascina. Laura le andò incontro e le rivelò che stava per partire. La settimana di vacanza era finita e lei avrebbe dovuto riprendere la sua vita normale, nonostante quel termine per lei avesse cambiato significato.
«Ti lascio in pace, allora. Avrai diverse cose con cui fare i conti. I bagagli sono una vera seccatura», le disse Virginia, stringendole affettuosamente la mano intorno al braccio. Laura sorrise, pensando al dono segreto con cui aveva appena iniziato a fare i conti.
«Tornerai presto, vero? A volte, in questo posto ci si sente soli.»
«Me l’hanno già chiesto,» rispose lei, evitando di rivelare chi. «Tornerò. Questa è stata una vacanza che non dimenticherò mai.»
Virginia sembrò soddisfatta. Laura osservò la cascina che si stagliava sullo sfondo grigiastro del cielo invernale.
Sì, quello non era un addio. Il suo sarebbe stato solamente un arrivederci. Un vecchio amico d’infanzia, riflesso in uno specchio dorato, l’avrebbe aspettata per sempre. E lei non aveva intenzione di deluderlo.