La Soglia Oscura
Racconti

IL MAGO
di Simon Smeraldo

Il mago Ottavio quella sera gongolava: una moltitudine di persone era presente in sala per assistere al suo spettacolo, in cui egli si riprometteva di far faville, di meravigliare a non finire, di surclassarsi, di apporre il suggello definitivo al termine “magia”. Dopo quella sera, lui non sarebbe più stato semplicemente “un” mago, ma IL mago.
Si accinse, luccicante nella sua tenuta di scena, avvolto nel mantello nero di seta che gli dava un’aria di impenetrabilità e di signorile mistero, a gratificare il pubblico della sua straordinaria presenza; si chiuse alle spalle la porta del camerino con sussiego, e iniziò circospetto a scendere l’angusta scala che portava al palcoscenico.
A volte si sta troppo attenti, si usa troppa cautela, ed è quando si teme l’incidente che esso prende forma: mise un piede in fallo, e ruzzolò giù da quelle scale come un barilotto pieno di aringhe affumicate.
Il buio gli avvolse la mente.
Ma fu un attimo. Aiutato dagli inservienti del teatro si rimise lesto in piedi, si calcò di nuovo in testa il cilindro che era schizzato via e recuperò il bastone con il manico di avorio cesellato.
Quando fece il suo ingresso sul palco sbigottì: nessun applauso, nessun incoraggiamento, nessuna euforica claque. Il silenzio era glaciale. Cercò di scrutare il pubblico nella semioscurità e si accorse, con un terrore indicibile, che tutti gli spettatori avevano la stessa faccia: quella di un uomo impassibile, privo di espressione, grigio, catalettico, cadaverico.
Ma, di nuovo, fu un attimo, poiché il rombo dell’ovazione proveniente dalla platea lo scosse da cima a fondo, restituendolo alla sicurezza di se stesso, al suo autocompiacimento, al suo trovarsi tanto bravo, tanto bello, tanto affascinante. Ora sì che si ragionava: e il pubblico era di nuovo eterogeneo, come doveva essere: uomini, donne, bambini, e tutti con una faccia diversa, com’era giusto e naturale che fosse, e tutti con l’espressione entusiasta e piena di aspettativa.
Però appena mise mano al primo trucco non si riconobbe più: si era dimenticato tutto. Un brusio generalizzato dalla platea manifestò il disagio del pubblico di fronte alla sua vistosa incertezza.
Ma ancora una volta fu un attimo, ed egli si riprese dicendo:
“Come vedono lor signori, ho esitato di proposito: non perché io non sappia più far di magia, ma perché voi siete più maghi di me. Sì: voi che ogni giorno vi alzate alle sette per andare al lavoro, e siete capaci di star seduti anche otto ore alla vostra scrivania, che fuori piova, tiri vento o faccia sole: e poi, tornando a casa, consumate la vostra cena in silenzio, davanti a un scatola colorata che vi dice di comprare questo o quello. E allora io vi domando, signori: chi più mago di voi, che riuscite a sopravvivere in queste penose condizioni? Perciò, gentili amici, questo non è uno spettacolo del grande mago Ottavio per il suo pubblico: chiamiamolo piuttosto uno scambio di informazioni tra maghi e maghetti”.
E così dicendo tracciò grandi segni nell’aria: apparvero, al suo ordine, esseri di una luminosità abbagliante, che parevano uomini e donne: e tutti fra il pubblico si meravigliarono, poiché ciascuno si riconobbe in una delle figure apparse sul palco: l’unica differenza stava solo nell’estrema luminosità di queste ultime rispetto al pubblico.
A un altro cenno dell’insuperabile Ottavio apparvero, come un filmato proiettato nell’aria, tante immagini di vita: belle e brutte, comuni ed insolite, e anche queste furono accompagnate da ancora più forti esclamazioni di sbalordimento del pubblico: essi si riconoscevano in quelle azioni e in quelle scene, che avevano punteggiato la loro esistenza nel bene nel male.
Esausto, il mago Ottavio si terse il sudore dalla fronte; sentiva che le forze lo lasciavano, ma voleva terminare in bellezza, come lui solo sapeva fare. Si concentrò, chiamò a raccolta tutte le sue energie, le sue vastissime capacità. Fu allora che vide: vide davanti a sé una scala intessuta di luce, che sembrava chiamarlo; mosso da una forza irresistibile si avviò, prese i primi scalini e scomparve in alto, mentre al pubblico, a cui non era visibile la scala, sembrava che camminasse sul nulla.
Applauso più fragoroso non fu mai sentito in uno spettacolo pubblico, da far venire giù il teatro.
E tutti, uomini e donne, avevano uno sguardo diverso sul volto, mentre, in silenzio, sfilavano fuori dal teatro per ritornare alle loro case, sapendo in cuor loro che domani sarebbe iniziata una nuova vita: come, non sapevano, ma erano fiduciosi.
Nel frattempo, dietro le quinte del teatro, gli inservienti invano tentavano di rianimare il mago Ottavio dopo la sua caduta dalle scale appena uscito dal camerino nel recarsi sul palco: aveva battuto la testa e perso conoscenza, senza più tornare in sé. Il medico dell’ambulanza chiamata d’urgenza non poté che constatarne il decesso per frattura della vertebra cervicale.