IL TESCHIO NELLA BOTTIGLIA
di Anna Maria Grattarola
Una tiepida mattinata di giugno Marco decise di andare a fare una passeggiata in riva al mare. L’estate era arrivata e il giovane pensò con un po’ di nostalgia a quando era piccolo e non vedeva l’ora che arrivasse quel momento dell’anno perché sarebbe finita la scuola e avrebbe potuto andare al mare tutti i giorni.
C’erano stati molti cambiamenti da allora. Marco aveva ormai finito da diversi anni la scuola, adesso aveva ventitré anni ed era finalmente riuscito ad andare vivere da solo perché una ditta lo aveva assunto, lasciandolo però ben presto a casa per motivi economici.
Ora il ragazzo si trovava a dover fronteggiare tante spese – tra cui l’affitto – e non sapeva come fare. La prospettiva di tornare a vivere con la madre e il nuovo compagno non gli piaceva per niente, così si disse che avrebbe dovuto iniziare a cercare lavoro quanto prima.
Marco camminava scalzo sulla sabbia respirando l’aria fresca che sapeva di mare, mentre la pallida luce del sole scaldava le sue guance e accarezzava delicatamente i suoi capelli castani accendendone i riflessi color miele.
Non c’era nessuno sulla spiaggia tranne lui, così ne approfittò per sedersi a contemplare l’immensa distesa d’acqua ascoltando il rumore del mare e dei gabbiani. Ebbe l’impressione di trovarsi di fronte a una marina appena dipinta e pensò che lo spettacolo del mare a quell’ora della giornata era qualcosa a cui tornare con la memoria quando si sentiva triste.
A un certo punto si accorse che le onde avevano appena deposto a riva qualcosa che brillava. Incuriosito, si avvicinò e vide che si trattava di una bottiglia, ma era molto particolare, come non ne aveva mai viste prima. Aveva dei colori che oscillavano tra il blu profondo, un verde chiarissimo e il viola ametista. Il ragazzo raccolse la bottiglia e muovendola leggermente, si accorse che le bellissime sfumature si alternavano tra di loro quasi a comporre una danza di colori.
Marco decise di esaminare meglio quell’inatteso dono del mare, così si avviò verso casa e appena rientrato cercò di aprire la misteriosa bottiglia, ma dovette fare diversi tentativi prima di riuscirci. Quando finalmente riuscì a stapparla ci fu un boato e si ritrovò per terra per la forte pressione che ne era derivata, mentre una gran quantità di vapore color fucsia stava avvolgendo la stanza.
Un teschio era sospeso a mezz’aria in mezzo ai vapori e lo guardava con le sue orbite cave. Marco era senza parole e anche un po’ spaventato.
Il teschio tossicchiò e un dente gli cadde per terra. Dopo averlo sistemato disse a Marco:
«Grazie per avermi liberato. Il mio nome è Pietro e in vita sono stato un signore molto stimato in queste terre, ma un giorno fui assassinato a tradimento e un potente mago rinchiuse il mio teschio in questa bottiglia. Ho bisogno di un umano per ricongiungermi al mio scheletro e spezzare così la maledizione che mi tiene prigioniero da ormai due secoli. Se mi aiuterai ti donerò il tesoro conservato nel mio castello».
«Sarò felice di aiutarti!» esclamò Marco sorpreso.
«Allora stanotte andremo al cimitero e ti mostrerò la mia tomba» aggiunse Pietro.
Presto calò il buio e con esso arrivò anche un vento terribile e poi scoppiò un forte temporale. Marco e Pietro si misero dalla finestra a osservare le onde che si ingigantivano e si schiantavano sugli scogli con dei rumori terribili. C’era una tale violenza in quei tonfi da far credere che mare e terra avessero si fossero messe a lottare. Ogni tanto il cielo veniva scosso da impressionanti lampi e il tenebroso spettacolo del mare sconvolto e della minacciosa volta celeste era qualcosa che poteva creare sgomento nello spettatore.
Il cimitero si trovava dall’altra parte del paese, ma ci avrebbero messo poco tempo a raggiungerlo perché il paese era molto piccolo e poi in una notte come quella non avrebbero trovato nessun curioso in giro.
Marco si accorse che le case avevano le imposte rigidamente chiuse mentre qualche lampione sembrava sforzarsi di illuminare il loro cammino proiettando le sue luci fioche. La pioggia continuava a cadere scrosciante, il ragazzo si accorse che un lampione era guasto e stava irradiando luce in modo intermittente, il che rendeva il percorso da compiere ancora più sinistro.
Notò che le enormi nubi nere che prima incombevano sul mare ora si erano spostate proprio sopra le casette del paese e fu scosso dall’improvviso arrivo di un tuono più forte degli altri. Il pensiero di dover andare al cimitero in una notte come quella non lo rincuorava affatto, ma in fondo aveva appena trascorso la giornata con un teschio, di cosa poteva aver paura?
Marco e Pietro si trovarono ben presto davanti a un cancello arrugginito attorno al quale correvano delle basse mura di pietra.
«Ecco il cimitero» esclamò il ragazzo scavalcando facilmente il muro, mentre Pietro volò dall’altra parte e così in un attimo si trovarono tra le tombe.
I due iniziarono a guardarsi intorno e Marco proiettò la luce della sua torcia sulle bianche lapidi che ogni tanto venivano rischiarate anche da qualche fulmine. Dopo aver camminato un po’, Pietro si fermò davanti a un’antica cappella ricoperta d’edera ed esclamò:
«Ecco la cappella della mia famiglia!».
La serratura cedette senza difficoltà e i due furono dentro. Marco si guardò intorno, non era mai stato in una cappella così antica, notò che era completamente spoglia perché i ladri dovevano aver portato via tutto ciò che avevano trovato.
Marco e Pietro si diressero verso la cripta e si accorsero della presenza di diverse bare di pietra, Pietro si guardò attentamente intorno e poi disse:
«Ecco la mia bara, finalmente!».
Allora successe qualcosa, il coperchio di una delle bare iniziò a muoversi producendo un orrendo rumore e ne uscì lo scheletro, che si librò in aria, prese il teschio e se lo infilò in testa. Pietro, ora tutto intero, disse:
«Ora andiamo nel mio castello così potrò darti ciò che ti ho promesso».
Dopo esser usciti dal cimitero si misero a percorrere una strada di campagna e a un tratto apparve un piccolo castello di mattoni rossi quasi completamente diroccato. C’era un grande portone nero con delle borchie metalliche e un batacchio nero a forma di testa di leone. Solamente una piccola area del castello era rimasta in piedi, mentre gli altri resti e tra essi anche quelli di un torrione giacevano sparsi in mezzo al terreno.
I due costeggiarono la cinta muraria, anch’essa in rovina e si trovarono in uno spazio coperto di sterpaglie con alcune statue di marmo senza testa e un pozzo in un angolo. A quel punto Pietro disse:
«Se scaverai vicino al pozzo per un paio di metri troverai il tesoro. Prendilo, è tuo e torna a farmi visita quando vuoi!».
Così Marco non ebbe più problemi a pagare il suo affitto, anzi si comprò direttamente la casa in cui viveva e rimase per sempre amico con Pietro.


