La Soglia Oscura
Misteri

IL MOSTRO DI FIRENZE E IL DELITTO DEL 1968
di Alessio Pizzichi

Districarsi tra le varie vicende che hanno caratterizzato la storia del Mostro di Firenze è come cercare di comporre un puzzle di cui non si riesce a trovare mai l’incastro finale. Quando si trova un elemento che potrebbe innestarsi con l’altro, rimane sempre qualcosa di incompiuto da un’altra parte.
Uno dei punti più dibattuti è sicuramente quello del delitto di Signa del 1968, considerato da alcuni come primo delitto del Mostro, e da altri come delitto passionale che non ha niente a che vedere con il Mostro se non per uno scambio successivo dell’arma del delitto. Proviamo a ricostruire un po’ gli eventi.

21 Agosto 1968. Nelle vicinanze del cimitero di Signa sono appartati in macchina Barbara Locci e il suo amante Antonio Lo Bianco, che dopo aver passato la serata al cinema hanno deciso di fermarsi in un luogo abbastanza isolato per avere un po’ di intimità. Intimità che però viene presto interrotta quando un soggetto si avvicina di sorpresa all’auto e spara 8 colpi di pistola, precisamente una Calibro 22 Long Rifle Winchester serie H (esattamente la stessa pistola del Mostro). Fatalità sul sedile posteriore dormiva Natalino, figlio di Barbara Locci, 6 anni, che viene risparmiato dall’assassino.
Intorno alle due del mattino, circa due ore dopo il duplice omicidio, Francesco De Felice sente suonare alla porta della sua abitazione, sita in Sant’Angelo a Lecore, ad un paio di chilometri di distanza dal luogo del delitto. Si affaccia alla finestra e vede un bambino piccolo che gli dice :
“Aprimi la porta perché ho sonno, ed ho il babbo ammalato a letto. Dopo mi accompagni a casa perché c’è la mi’ mamma e lo zio che sono morti in macchina”
De Felice avverte i carabinieri i quali ritrovano la macchina in questione con le due vittime all’interno.

Le successive indagini portano alla figura di Stefano Mele, compagno di Barbara Locci e padre di Natalino. Inizialmente Mele nega tutto ma il 23 Agosto, dopo un lungo interrogatorio, arriva a confessare il fatto, nonostante faccia una ricostruzione non molto convincente. Successivamente ritratta e accusa nell’ordine Salvatore Vinci prima e dopo ritratta di nuovo accusando Francesco Vinci (entrambi appartenenti al “giro” dei sardi).
Viene interrogato anche il piccolo Natalino, il quale sostiene per diversi giorni di essere stato svegliato dagli spari mentre dormiva sul sedile posteriore, ma di non aver visto l’assassino e di essere arrivato a piedi alla casa del De Felice.
Successivamente, dopo altri interrogatori dichiara di aver visto il padre quella notte, il quale lo avrebbe accompagnato sulle spalle fino alla casa in questione.
Stefano Mele conferma questa versione, venendo così condannato a 14 anni di carcere.

Il collegamento tra i delitti del Mostro e questa storia avverrà soltanto nel 1982, probabilmente dopo una segnalazione anonima, nel pieno delle indagini e nel periodo di attività dell’assassino.
A questo punto si comincia a battere la cosiddetta “pista sarda”, portando l’attenzione su diversi componenti della famiglia Vinci, su tutti Francesco Vinci, che venne prima incarcerato e successivamente scagionato quando il vero Mostro colpisce nel 1983, periodo in cui Vinci era in carcere.
La pista viene battuta assiduamente ma non verrà trovato niente di rilevante tra i vari indagati e così nel 1989 viene chiusa.

A questo punto la storia si spacca in due: da una parte chi sostiene che il primo delitto sia effettivamente stato commesso da Stefano Mele o qualcuno facente parte dell’ambiente dei sardi, e che successivamente la pistola sia finita in altre mani per casualità o sia stata “venduta” ad un soggetto che sarebbe poi diventato il mostro.
Dall’altra parte c’è chi ipotizza che in realtà i sardi non c’entrano niente con il primo delitto, la pistola era già in mano al Mostro e quello rappresenta il suo primo assassinio.

A questo punto mi permetto di fare delle considerazioni. E’ vero che per i fatti di Signa del 1968 abbiamo un reo confesso (Stefano Mele) ma è altrettanto vero che il soggetto in questione non convince per niente con le sue dichiarazioni.
All’inizio nega tutto, poi accusa Salvatore e Francesco Vinci, poi si riaccusa di nuovo e infine nel 1982 (quando il caso torna alla ribalta) accusa nuovamente Francesco Vinci.
A minare ulteriormente le sue deposizioni si aggiunge il fatto che Mele era un oligofrenico riconosciuto, accreditato come parzialmente incapace di intendere e di volere.
A questo punto mi chiedo: è possibile che il Mostro sia riuscito a farla franca già dal 1968? L’ipotesi non è così azzardata se pensiamo alle condizioni particolari e all’ambiente di cui facevano parte le vittime e gli indagati, fatto di tradimenti, gelosie, torti subiti e ricevuti.
Barbara Locci era soprannominata “ape regina” a causa dei molti amanti che era solita frequentare, con il benestare di Stefano Mele, molto accondiscendente nei confronti della compagna. Tra i suoi amanti erano presenti anche Salvatore e Francesco Vinci, quest’ultimo molto geloso ma come abbiamo visto il Mostro ha colpito proprio quando lui era in prigione, quindi mi sentirei di escluderlo.
Provo a proporre una possibile chiave di lettura, che è soltanto un’idea e come tale potrebbe essere completamente sbagliata, prendetela quindi con le pinze.
E’ possibile che tra i numerosi amanti della Locci ci sia potuto essere qualcuno che è stato rifiutato? Magari sapendo che era solita frequentare molti uomini si sia a sua volta proposto, prendendosi un “due di picche”? E dopo questo evento potrebbe aver continuato a vederla in atteggiamenti intimi con altri uomini, magari questo può aver aumentato il suo senso di frustrazione e averlo portato a pensare “perchè io no?”
In questa ricostruzione il soggetto in questione è sicuramente “disturbato” dal punto di vista mentale e non è certo questo episodio che lo fa diventare un assassino, probabilmente ha altri traumi emotivi alle spalle e la sua patologia sarebbe comunque scoppiata da un momento all’altro.
La questione che mi pongo è quella che oltre a concentrarci sugli amanti, potremmo vedere la cosa anche dal lato opposto, quella magari di spasimanti che sono stati respinti.

Questa è soltanto una delle tante teorie che si possono esporre in proposito.
Dimostrazione del fatto che questa vicenda, a distanza di oltre trent’anni, ha ancora molto da dire.