La Soglia Oscura
Monografie,  Mitologia

GLI ANTICHI DEI DELLA GRECIA – ADES
di Daniele Bello

Accogli di buon animo questi riti,
Plutone, che hai le chiavi di tutta la terra,
che arricchisci la stirpe mortale con i frutti dell’anno;
tu che ottenesti come la terza parte la terra del tutto sovrana,
sede degli immortali, possente sostegno dei mortali;
tu che hai stabilito il trono sotto il luogo tenebroso
lontano, instancabile, senza vita, indistinto Ade
e cupo Acheronte, che contiene le radici della terra;
tu che in grazia della morte domini i mortali, o Eubulo
molto esperto, che una volta la figlia di Demetra purificatrice
avendo presa in sposa strappata dal prato attraverso il mare
con la quadriga portasti in un antro dell’Attica
nel demo di Eleusi, dove sono le porte dell’Ade.

Inni Orfici, XVIII, vv. 4-17
(traduzione di G. RICCIARDELLI)

1.
Attributi della divinità

Nella mitologia greca ADE, o ADES (in greco Ἅδης, -ου e Ἅιδης, -ου, in latino Hades, -ae), è il dio degli inferi e dell’oltretomba.

Egli era conosciuto anche come Axiokersos, in quanto coniuge – come vedremo – di Persefone (soprannominata infatti axiokersa), ma il suo epiteto più famoso era quello di Zeus Katakthonios, ossia “signore degli Inferi”.

Ben presto, con il termine Ade nella mitologia greca si intese denominare anche la dimora del dio dell’oltretomba (il vocabolo veniva quindi utilizzato al genitivo) ovvero, più in generale, il regno dei morti (in tal caso il termine era usato anche al nominativo).

Presso i Latini, egli fu conosciuto principalmente con l’attributo di PLUTONE; il regno degli inferi veniva invece denominato ORCO, DITE ovvero evocando il sinistro termine di TARTARO, appartenente alla tradizione ellenica; altro vocabolo utilizzato era quello di AVERNO, dal nome del lago dal quale si poteva accedere nel mondo dell’aldilà.

Ades era figlio di Crono e di Rea: in quanto tale egli venne divorato dal padre insieme ai suoi fratelli e sorelle, con la sola eccezione di Zeus (che fu salvato dalla madre). Quando l’ultimogenito di Crono costrinse il padre a risputare tutti i suoi figli, Ades prese le parte del fratello Zeus nella Titanomachia: riferisce APOLLODORO che in tale occasione i Ciclopi fabbricarono per lui la kunée, un copricapo magico in pelle d’animale che gli permetteva di diventare invisibile (fu lo stesso elmo che utilizzò in seguito PERSEO per affrontare e vincere la terribile MEDUSA).

Quando Crono ed i Titani furono sconfitti, essi vennero imprigionati nel Tartaro, sotto la custodia degli Ecatonkiri. Zeus, Ades e Poseidone si divisero il potere (timai): a Zeus toccò il regno del cielo, a Poseidone il regno del mare, mentre ad Ades venne assegnato il regno dell’oltretomba. Così il signore dei flutti e degli oceani rammenta tale divisione:

In tre parti è diviso il mondo e ognuno di noi ha il suo regno.
Nel tirare a sorte, a me è toccato di abitare per sempre
il mare spumoso; Ade ebbe l’oscurità nebbiosa.
Zeus ebbe il vasto cielo, nello spazio e tra le nuvole;
rimane in comune a tutti la terra e l’alto Olimpo.

Omero, Iliade, Libro XV, vv. 189-193

Anche se Ades veniva annoverato tra le divinità olimpiche (in quanto appartenente alla generazione che spodestò Crono dal regno), nella tradizione canonica il dio non ha una dimora nell’Olimpo: egli preferisce rimanere nel mondo dell’aldilà (in cui vive spesso ignaro di quanto accade nel mondo dei vivi1), che il dio abbandona con estrema riluttanza: le uniche due eccezioni si ricordano per il rapimento di Persefone (v. par. 2) e per ricevere alcune cure dopo essere stato ferito da una freccia di Eracle, come riferisce OMERO.

Ebbe a soffrire anche il gigantesco Ades per un dardo veloce,
quando lo stesso eroe, il figlio di Zeus Egioco,
lo ferì a Pilo in mezzo ai cadaveri, e lo lasciò in preda ai dolori.
Ed egli si recò alla casa di Zeus, sull’alto Olimpo,
sofferente in cuor suo, trafitto da dolori. La freccia infatti
stava infissa nella spalla massiccia e lo torturava.
Sopra la ferita spargeva medicamenti e lenitivi
Peone2 e lo guarì: non era certo un mortale.

Omero, Iliade, Libro V, vv. 395-402

In generale, Ades è poco presente nella mitologia ellenica, essendo citato principalmente nei racconti legati alla discesa degli eroi nel regno dell’oltretomba (Teseo, Orfeo, Eracle e Polluce).

Per Ades si facevano sacrifici, ma unicamente nelle ore notturne (pecore o tori neri); coloro che offrivano il sacrificio voltavano il viso, poiché guardare negli occhi il dio degli inferi senza il suo permesso avrebbe condotto alla morte immediata. Secondo Euripide, Ades non riceveva libagioni rituali.

Dei pochi luoghi di culto dedicati al dio, il solo degno di nota è Samotracia; si pensa che esistessero dei rituali legati ad Ades nell’Elide e ad Eleusi (strettamente connesso con i misteri locali).

Ades veniva solitamente rappresentato come un uomo barbuto dal carattere tenebroso, maligno, fiero ed inesorabile: egli era raffigurato seduto su un trono e dotato di uno scettro3 (indossa molto spesso un elmo, oppure un velo che gli copre il volto e gli occhi), con accanto CERBERO, il cane a tre teste protettore degli Inferi; a volte si trovava anche un serpente ai suoi piedi.

Rappresentazioni del dio si hanno in moltissime ceramiche; in Ellade si ricordano anche un trono del Partenone attribuito a Fidia ed una base colonnare ad Efeso, nel Tempio di Artemide. Nel mondo romano i sarcofagi, soprattutto in età tardo antica, usavano rappresentare Ades e il ratto di Persefone (par. 2)

2.
Gli amori di Ades

Una delle leggende più famose legate agli amori di Ades vede il dio innamorato di Persefone, figlia di Zeus e Demetra, che il signore degli inferi rapì con l’accordo di Zeus mentre stava raccogliendo dei fiori in compagnia delle ninfe. Nell’occasione, Ade uscì dalla sua dimora alla guida del suo cocchio d’oro, trainato da una quadriga di cavalli neri.

Sua madre Demetra, disperata per la scomparsa della figlia, la cercò per nove giorni arrivando fino alle regioni più remote: il decimo giorno, con l’aiuto di Ecate e di Helios, ella venne a sapere chi fosse il rapitore di Persefone.

Adirata, Demetra abbandonò l’Olimpo e scatenò una tremenda carestia in tutta la terra, affinché questa non offrisse più i suoi frutti ai mortali e agli dei. Zeus tentò allora di riconciliare Ades e Demetra, affinché si evitasse la fine del genere umano: inviò quindi Hermes, il messaggero degli dei, nel regno dei morti, ordinando al dio di restituire Persefone alla madre.

Ades non si oppose all’ordine ma, poiché Persefone era digiuna dal rapimento, la invitò a mangiare prima di tornare dalla madre: le offrì così un melograno (frutto proveniente dagli Inferi) in dono. Il dio sapeva che, se si fosse cibata del cibo dei morti, la figlia di Demetra sarebbe stata per sempre prigioniera del regno dei morti.

Persefone mangiò sei chicchi di melograno e in questo modo si compì il tranello ordito da Ades: ASCALAFO, figlio di ACHERONTE e giardiniere dell’oltretomba, testimoniò che la figlia di Demetra aveva mangiato il frutto, legandola per sempre all’Ade.

Demetra, infuriata per aver perso per sempre la sua adorata Persefone, si vendicò schiacciando il demone sotto un masso (secondo altre versioni, egli venne trasformato in un allocco o in una civetta).

Zeus propose un nuovo accordo per cui, non avendo la fanciulla mangiato un frutto intero, ella sarebbe rimasta nell’oltretomba solamente per il numero di mesi equivalente al numero di semi da lei mangiati, potendo trascorrere con la madre il resto dell’anno.

Persefone avrebbe trascorso così sei mesi con il marito nell’Ade e sei mesi con la madre sulla terra. La proposta fu accettata da entrambi, e da quel momento la primavera e l’estate si associarono ai mesi che Persefone trascorreva in terra (dando gioia alla madre); mentre l’autunno e l’inverno coincidevano con i mesi che ella passava negli Inferi e durante i quali Demetra si struggeva per la figlia.

Secondo OVIDIO e STRABONE, Ades si innamorò anche della ninfa MENTA, figlia del fiume infernale COCITO, e la fece sua concubina.

Persefone, gelosa, si dispiacque dell’unione e si infuriò quando Menta proferì contro di lei minacce facendo sottili allusioni alle proprie arti erotiche. La figlia di Demetra, sdegnata, la fece a pezzi: Ades le consentì di trasformarsi in erba profumata (la menta, appunto) ma Demetra la condannò alla sterilità, impedendole di produrre frutti. Secondo altre versioni, fu Persefone stessa a trasformare la ninfa in una pianta.

Anche Leuce, un’altra ninfa (figlia di Oceano, questa volta), fu amata e rapita da Ades; alla sua morte, ella venne trasformata in pioppo bianco presso la fontana della memoria, nei Campi Elisi (v. par. 4).

Appartiene invece ad una epoca forse più antica (ma rivitalizzata anche negli ultimi secoli dell’antichità classica) la leggenda secondo la quale la consorte del re dell’oltretomba sarebbe stata ECATE “Trivia”, figlia di Perse e di Asteria. Anche quando si consolidò la tradizione del matrimonio tra Ades e Persefone, secondo taluni il signore degli Inferi continuava a preferire la compagnia di Ecate.

3.
La catabasi degli eroi

Le descrizioni del regno degli Inferi nell’antichità classica sono in gran parte collegate alle leggende sulla catabasi, vale a dire la discesa nel regno dei morti compiuta da eroi e semidei prima del trapasso.

La prima impresa appartenente a questo filone letterario ad essere menzionata nella mitologia fu quella di TESEO, re di Atene, e del suo amico PIRITOO, re dei Lapiti.

Racconta APOLLODORO che, quando Piritoo si mise in testa di sposare una figlia di Zeus, Teseo fece un accordo con lui: il re dei Lapiti lo aiutò a rapire da Sparta Elena (che allora aveva dodici anni) e l’eroe ateniese in cambio scese nell’Ade a chiedere la mano di Persefone.

Quando Teseo scese nell’Ade insieme a Piritoo, subì un grande raggiro: con la scusa di offrir loro la sua ospitalità, Ades li fece sedere sul Trono dell’Oblio e subito il loro corpo restò incollato alla sedia, mentre tortuosi serpenti montavano la guardia.

A salvare Teseo da un terribile destino fu il suo amico ERACLE, figlio di Zeus ed Alcmena, chiamato a scendere nell’Ade su ordine di Euristeo per compiere l’ultima delle sue Dodici Fatiche: catturare Cerbero, lo spaventoso cane a tre teste (figlio di Tifone ed Echidna), posto a guardia dell’oltretomba:

fiera crudele e diversa,
con tre gole carinamente latra
sopra la gente che quivi è sommersa.

DANTE, Inferno, Canto VI, vv. 13-15

Eracle si preparò a questa prova con un pellegrinaggio presso ELEUSI, dove venne iniziato ai misteri per purificarsi; quindi, sotto la guida di Hermes, egli giunse al TENARO, la punta meridionale del Peloponneso, e si addentrò in una buia spelonca che conduceva ad una delle porte dell’Ade.

Eracle trovò Teseo e Piritoo: appena videro l’eroe, subito essi tesero le mani verso di lui, nella speranza che la sua forza potesse liberarli. Eracle riuscì a prendere Teseo per la mano e a farlo alzare in piedi; ma mentre tentava di rialzare anche Piritoo la terra tremò e l’eroe perse la presa.

Il figlio di Alcmena giunse quindi davanti al trono dei due sovrani dell’oltretomba; Ades, conoscendo personalmente il coraggio e l’ardore dell’eroe, acconsentì a consegnargli il cane Cerbero, a patto però che Eracle riuscisse a domarlo con le sole mani, senza fare uso di armi.

Il figlio di Alcmena si recò di nuovo presso il fiume Acheronte, dove dimorava il terribile cane a tre teste: dopo una strenua lotta, il mostruoso figlio di Tifone e Echidna fu costretto ad arrendersi quando Eracle riuscì a serrargli tra le potenti braccia la base dei tre colli. Cerbero tentò di colpirlo con la coda, ma alla fine dovette arrendersi e si lasciò incatenare; si dice che, da allora, Cerbero “ne porta ancor pelato il mento e ‘l gozzo” (DANTE, Inferno, Canto IX, v. 91).

Secondo alcuni mitografi, Eracle era già disceso una prima volta nell’Ade per riportare alla luce ALCESTI, la bella sposa di ADMETO, re di Fere. Secondo questa versione, egli scese nel regno dei morti e raccontò ad Ades e alla sua sposa Persefone la struggente storia della sventurata regina, che si era sacrificata per salvare la vita del marito; i due sovrani, commossi, avrebbero concesso all’eroe di ricondurre la donna nel mondo dei vivi.

Altro celebre catabasi fu quella di ORFEO, figlio di Calliope e di Eagro, che partecipò alla spedizione degli Argonauti. Come riferisce il poeta APOLLONIO RODIO, “narrano che egli ammaliasse col suono dei canti le dure rocce dei monti e le correnti dei fiumi”.

La sua fama è legata soprattutto alla tragica vicenda d’amore che lo vide unito alla Driade EURIDICE, che era sua moglie: Aristeo, uno dei tanti figli di Apollo, amava perdutamente Euridice e, sebbene il suo amore non fosse corrisposto, continuava a rivolgerle le sue attenzioni fino a che un giorno ella, per sfuggirgli, mise il piede su un serpente, che la uccise con il suo morso. Orfeo, lacerato dal dolore, scese allora negli inferi con la sua inseparabile lira per riportarla in vita; egli riuscì ad irretire tutte le creature dell’oltretomba sino a quando non giunse di fronte ai due sovrani del regno dei morti.

“O divinità del mondo posto sotto terra, nel quale cadiamo tutti quanti siamo creati mortali; se è lecito e se, messe da parte le circonlocuzioni di un falso linguaggio, permettete di dire il vero, qui io non sono sceso per vedere l’oscuro Tartaro, né per incatenare le tre gole aggrovigliate di serpenti del mostro della stirpe di Medusa; causa del viaggio è la moglie, alla quale una vipera calpestata iniettò il veleno e le portò via i giovani anni… Io per questi luoghi pieni di paura, per questo immenso abisso e per i silenzi di questo vasto regno, vi prego ritessete i destini di Euridice spezzati prematuramente”.

OVIDIO, Metamorfosi, Libro X, vv. 17-24, 29-31
(traduzione in prosa di N. SCIVOLETTO)

Persefone, commossa dall’amore di Orfeo, gli concesse di riportare la moglie sulla terra. Fu posta però una condizione: il cantore avrebbe dovuto precedere Euridice per tutto il cammino fino alla porta dell’Ade senza voltarsi mai all’indietro.

“Erano giunti non lontano dalla superficie della terra; qui, temendo che gli sfuggisse e avido di vederla, lo sposo innamorato rivolse indietro gli occhi e subito quella ripiombò giù; tendendo le braccia e tentando di farsi prendere e di afferrare, l’infelice nulla strinse se non l’aria impalpabile. E ormai, morendo di nuovo, non si lamentò del suo sposo e gli rivolse il supremo addio”.

OVIDIO, Metamorfosi, Libro X, vv. 56-62
(traduzione in prosa di N. SCIVOLETTO)

Orfeo tornò sconsolato nel mondo dei vivi; il suo amore per Euridice lo portò a fuggire qualsiasi contatto con l’elemento femminile, che egli aborriva come la morte; di ciò si dolsero le Menadi, sacerdotesse del dio Dioniso, che lo uccisero facendolo a pezzi; Orfeo venne quindi sepolto nella regione della Pieria. La sua anima venne accolta nei Campi Elisi, dove egli poté finalmente ricongiungersi alla sua Euridice.

Un’altra leggendaria discesa nell’Ade vede protagonisti i due fratelli gemelli Castore e Polluce, noti in tutto il mondo antico come i Dioscuri; assieme, essi compirono grandi ed audaci imprese (come l’impresa degli Argonauti e la caccia al cinghiale calidonio), tali da meritarsi fama imperitura.

I Dioscuri ebbero un dissidio con i cugini e rivali IDAS e LINCEO, che degenerò in una sfida all’ultimo sangue; al termine dello scontro, dei quattro contendenti rimase in vita il solo Polluce che – in quanto figlio di Zeus – aveva ricevuto il dono dell’immortalità, mentre Castore venne chiamato a far parte del regno dei morti; non volendo negare al gemello la possibilità di vivere ancora, Polluce scongiurò Ades di concedere una qualche grazia per l’amato fratello, mostrandosi disposto anche a rinunciare alla propria vita.

Ades si commosse per l’amore che legava tra loro i due Dioscuri e decretò che entrambi meritassero clemenza; egli concesse pertanto ai fratelli di rimanere nel regno dei vivi a turno; per questo, per un giorno Polluce dimorava nella casa dei morti, mentre Castore conduceva la sua esistenza tra i vivi; il dì successivo, invece, i due gemelli si scambiavano i ruoli. Così i fratelli si avvicendarono per anni sino a quando non vennero assunti tra le divinità olimpiche.

I poemi epici contengono notizie riguardanti le visite nel regno dell’oltretomba da parte di due eroi del ciclo legato alla guerra di Troia. In particolare, OMERO ci racconta delle vicissitudini di Odisseo, figlio di Laerte, che durante le sue peregrinazioni per tornare in patria su consiglio della maga Circe giunse ai gelidi confini del mondo, nella patria dei Cimmeri avvolti dalla nebbia e dal buio eterno, per interrogare l’indovino Tiresia (ormai defunto, ma che aveva conservato il dono della profezia anche dopo il trapasso) sulla sua sorte e sul suo ritorno a casa.

Ecco la descrizione del mondo degli inferi, come ci viene tramandata nel Libro X dell’Odissea di OMERO (traduzione in prosa di F. CODINO), con le parole della maga Circe al figlio di Laerte:

“Tu drizza l’albero, spiega la bianca vela e siedi al tuo posto: la nave te la porterà il soffio di Borea. Ma quando sarai passato attraverso l’Oceano, là dove c’è una costa bassa e ci sono i boschi di Persefone, alti pioppi e sterili salici, tu fai approdare la nave proprio in riva all’Oceano dai vortici profondi e vai nella casa di Ade.
Essa è squallida e muffosa: e là, dentro l’Acheronte, scorrono il Piriflegetonte e il Cocito, che è un ramo dell’acqua dello Stige. C’è qui una rupe e l’incontro, ai suoi piedi, dei due fiumi fragorosi.
Accostandoti là vicino, eroe, come ti dico, scava una fossa di un cubito circa da un lato e dall’altro e dentro versaci in giro una libagione a tutti i morti: prima una bevanda di latte e miele, poi il dolce vino, poi ancora acqua. E sopra spargi bianca farina d’orzo.
Poi prega con fervore le teste senza forza dei morti, promettendo loro di immolare al ritorno in Itaca nella tua casa una vacca sterile, la migliore che hai, e di colmare il rogo di ricche offerte. E per Tiresia, a parte, prometti di sacrificare a lui solo un montone tutto nero, il più bello dei vostri greggi.
E dopo che avrai supplicato con voti le turbe dei morti, sacrifica loro un montone e una pecora nera, rivolgendoli con la testa verso l’Erebo. Tu invece voltati dall’altra parte, in direzione delle correnti del grande fiume Oceano. E là verranno numerose le anime dei defunti. Allora ordina ai compagni, incitandoli, di scuoiare le bestie lì a terra sgozzate, di bruciarle per intero e di far voti agli dei, al forte Ades e alla terribile Persefone.
Tu traiti dal fianco la spada e stai lì, non permettere alla teste senza forza dei morti di accostarsi al sangue, prima di aver interrogato Tiresia. Allora verrà ben presto l’indovino, o condottiero di genti: e saprà dirti del tuo viaggio di ritorno, la sua lunghezza e durata, e come giungerai per mare in patria”.

Infine, nel VI Libro dell’Eneide VIRGILIO descrive la discesa nel regno dei morti del pio Enea, rampollo della famiglia reale troiana; l’eroe giunse nei Campi Elisi ed incontrò il padre Anchise, che gli profetizzò la gloria e gli onori della stirpe della sua discendenza: i Romani.

Il viaggio di Enea (descritto più dettagliatamente nel par. 4) viene ricordato anche dal poeta italiano DANTE ALIGHIERI, che così si rivolge a VIRGILIO, suo maestro e guida:

Poeta che mi guidi,
guarda la mia virtù s’ell’è possente,
rima ch’a l’alto passo tu mi fidi.

Tu dici che di Silvïo il parente [Enea],
corruttibile ancora, ad immortale
secolo andò, e fu sensibilmente.

Però, se l’avversario d’ogne male
cortese i fu, pensando l’alto effetto
ch’uscir dovea di lui, e ’l chi e ’l quale

non pare indegno ad omo d’intelletto;
ch’e’ fu de l’alma Roma e di suo impero
ne l’empireo ciel per padre eletto:

la quale e ’l quale, a voler dir lo vero,
fu stabilita per lo loco santo
u’ siede il successor del maggior Piero.

DANTE, Inferno, canto II, vv. 10-24

4.
Il regno dell’Oltretomba

Gli antichi Elleni non ci hanno lasciato una visione completa e coerente dell’aldilà, ma le testimonianze dei poeti e dei mitografi che ci sono pervenute sono ugualmente suggestive ed affascinanti.

Secondo OMERO, i defunti dimorano in una terra ai confini del mondo (nella terra dei Cimmeri), dove conducono una squallida non-vita: essi hanno memoria del passato, una certa conoscenza del futuro, ma sembrano ignorare il presente; di tanto in tanto riescono a riacquistare le facoltà che ebbero in vita, bevendo il sangue degli animali sacrificati.

La condizione dei trapassati (identica per tutti, a prescindere dai meriti e dai demeriti acquisiti nel corso della vita) è piuttosto triste e penosa, come si può cogliere dalle parole affrante dell’ombra di Achille:

– Oh, non consolarmi della morte, glorioso Odisseo;
preferirei da vivo e sulla terra essere servo di un altro,
stare presso un uomo privo di mezzi,
piuttosto che dominare su tutti i defunti.

Omero, Odissea, Libro XI, vv. 488-491

ESIODO nella sua Teogonia ci parla del Tartaro, la cui descrizione è una delle più fosche e temibili di tutto l’universo ellenico; esso infatti è

tanto nel profondo della terra, quanto il cielo è lontano dalla terra,
(tanto il Tartaro oscuro è lontano dalla terra): un’incudine di bronzo,
cadendo dal cielo per nove giorni e nove notti, giungerebbe
sulla terra il decimo giorno; ugualmente il Tartaro oscuro
dista dalla terra: un’incudine di bronzo, cadendo dalla terra
per nove giorni e nove notti, giungerebbe nel Tartaro il decimo giorno.

ESIODO, Teogonia, vv. 720-725

Intorno ad esso vi corre un recinto di bronzo e la notte vi si stende tre volte attorno; di sopra sorgono le radici della terra e del mare infecondo. E’ lì che i Titani

In questa caligine oscura,
in un’oscura regione all’estremo dell’ampia terra,
stanno rinchiusi i Titani,
per il volere di Zeus adunatore di nubi.
Essi non possono uscire perché Poseidone vi pose
intorno una muraglia e delle porte di bronzo.
Quivi hanno dimora Gige, Cotto e Obriareo
magnanimo, custodi fedeli di Zeus egioco.

ESIODO, Teogonia, vv. 728-735

Luogo penoso ed oscuro, che persino gli dei hanno in odio, nel Tartaro vi sono le sorgenti e i confini dell’universo; né un anno sarebbe abbastanza per giungere al fondo. Ivi s’innalza la casa terribile della Notte oscura, avvolta da nuvole livide.

Nei pressi, sono soliti incontrarsi la Notte e il Giorno, che si alternano nel passare attraverso un portale di bronzo, l’uno per scendere dentro, l’altra per percorrere la terra e l’ampio dorso del mare. Qui hanno dimora anche Ypnos (il Sonno), la terribile e funesta Thanatos (la dea della Morte) e Stige, nell’illustre casa di rocce coperta, che s’appoggia su colonne d’argento elevata nel cielo. Di fronte alla morte alberga la dimora degli inferi, dove siede il possente Ades con la sua sposa Persefone.

Qui vi sono le radici ed i confini
della buia terra e del Tartaro oscuro,
del mare infecondo e del cielo stellato:
luoghi oscuri e penosi, che anche gli Dei hanno in odio.
Qui vi sono le porte di marmo e la soglia di bronzo,
immutabile, piantata sopra lunghe radici, cresciuta
spontaneamente; dinanzi ad essa, lontano da tutti gli Dei,
al di là del Caos tenebroso, hanno dimora i Titani.

ESIODO, Teogonia, vv. 808-814

La più famosa descrizione del mondo dell’Oltretomba appartiene però al poeta latino VIRGILIO, che nel Libro VI dell’Eneide racconta la catabasi di Enea.

L’eroe troiano, nel corso del suo peregrinare alla ricerca di una nuova patria, giunse a Cuma, nella penisola italica; da qui egli si recò nel tempio di Apollo (nei pressi del lago di Averno), di cui era sacerdotessa la SIBILLA CUMANA, celebre veggente del mondo antico: ispirata dal dio, ella vaticinava oracoli in una caverna (nota appunto come “Antro della Sibilla”) che trascriveva poi in esametri su foglie che venivano mischiate dal vento.

Enea chiese alla Sibilla di poter fare ingresso nel regno dei morti e rivedere l’amato genitore Anchise, da poco scomparso.

DEIFOBE, figlia di Glauco (questo il nome della sacerdotessa) acconsentì ad accompagnarlo a condizione che Enea trovasse un ramo d’oro (forse, un ramo di vischio) nel bosco limitrofo, consacrato a Persefone; l’eroe troiano con l’aiuto della madre Afrodite riuscì a procurarsi il ramoscello e, fatti i dovuti sacrifici rituali, iniziò la discesa nell’Ade.

La Sibilla si inoltrò all’interno della sua caverna, seguita da Enea, sino a quando essi non giunsero davanti al vestibolo del regno dei morti, dove hanno la loro dimora il Lutto e gli Affanni; qui stanno anche le Malattie, la Vecchiaia, la Paura, la Fame, la turpe Miseria, la Morte, il Dolore, il Sonno e i malvagi Piaceri dell’animo; sull’opposta soglia alberga la Guerra portatrice di morte, i letti di ferro delle Erinni e la pazza Discordia con i capelli di vipere cinti con bende sanguinanti.

In mezzo un ombroso immenso olmo stende i rami e le sue vecchie braccia, ove si annidano i Sogni fallaci. Numerose altre figure mostruose hanno inoltre dimora sulle porte: i Centauri e le Scille biformi, Briàreo dalle cento braccia, l’idra di Lerna, la Chimera, le Gorgoni, Gerione e le Arpie.

Enea e la Sibilla si mossero quindi verso il fiume ACHERONTE.

Di là parte la strada che conduce alle onde
del Tartareo Acheronte. Il suo gorgo è un’immensa
voragine, che bolle fangosa e si riversa
nel Cocito.

Virgilio, Eneide, Libro VI, vv. 295-298
(traduzione di C. VIVALDI)

Sulle rive del fiume, si affolla la turba delle anime che non hanno ricevuto i riti della sepoltura e che sono costrette a vagare per un secolo prima di essere ammesse nell’oltretomba.

A consentire l’ingresso nel regno dell’Ade è il nocchiero dei morti, CARONTE, un vecchio dalla barba bianca e dagli occhi color brace, che traghetta le anime al di là del fiume. Questi consentì a far passare Enea e la Sibilla solo quando vide il ramo d’oro colto dall’eroe: infine, li condusse incolumi al di là del fiume, sul fango informe della palude stigia.

I due mortali incontrarono quindi Cerbero, il cane a tre teste custode dell’Ade: la Sibilla riuscì ad ammansirlo gettandogli una focaccia soporifera.

Lasciate le rive della palude. Enea e la Sibilla si inoltrarono nel regno “da cui non si può tornare”, scorgendo le anime degli infanti morti prematuramente; davanti a loro si ergeva MINOSSE, giudice dell’oltretomba (la tradizione ellenica gli affianca anche EACO e RADAMANTO).

Sta Minos ne l’entrata, e l’urna avanti
tien de’ lor nomi, e le lor vite esamina,
e le lor colpe; e quale è questa o quella,
tal le dà sito, e le rauna e parte.

Virgilio, Eneide, Libro VI, vv. 432-433
(traduzione di A. CARO)

Nei pressi si trovavano i Campi del Pianto, dove dimorano coloro i quali morirono consunti da una passione amorosa, e i Campi degli Eroi, dove albergavano quanti erano valorosamente caduti in guerra.

Di lì, Enea poté solamente scorgere il Tartaro, il tristo luogo (circondato dal fiume FLEGETONTE) dove scontano la loro pena gli empi, ovvero – parafrasando le parole del poeta VIRGILIO – coloro che odiarono i fratelli mentre durava la vita o percossero il padre o ordirono qualche frode a un protetto o coloro che da soli guardarono ammassate ricchezze e non le divisero coi loro parenti (questa è la folla più grande), quelli che furono uccisi per adulterio o seguirono empie armi o non esitarono a tradire il giuramento fatto ai padroni: rinchiusi qui aspettano la pena i malvagi.

Alcuni dei supplizi del Tartaro sono talmente noti nella tradizione classica che non possono non essere menzionati.

Il più celebre è quello di TANTALO, figlio di Zeus, severamente punito per avere osato servire agli dei la carne del proprio figlio Pelope. Come ricorda OMERO:

Vidi Tantalo, che soffriva tristi pene. Stava in piedi
in uno specchio d’acqua che gli arrivava al mento:
lui era assetato, ma non poteva prenderla e bere:
ogni volta che il vecchio si piegava per bere,
l’acqua spariva, inghiottita dalla terra nera
che si mostrava ai suoi piedi: qualche demone la prosciugava.
Alberi dagli alti rami facevano pendere frutti sulla sua testa:
peri, melograni e meli dai lucidi frutti,
fichi e fertili ulivi; ogni volta che il vecchio
tendeva le braccia per raggiungerli,
il vento scagliava i rami in alto, verso le nuvole ombrose.

Omero, Odissea, Libro XI, vv. 582-592

Per aver osato imprigionare la dea della morte, Thanatos, sconta la sua pena anche SISIFO, figlio di Eolo.

Vidi Sisifo che soffriva pene atroci
spingendo un masso immenso con entrambe le mani.
Questi, piantando mani e piedi, spingeva la pietra
verso la cima di un colle; ma quando stava per giungere
in cima, allora una forza divina lo travolgeva,
respingeva di nuovo verso la pianura il macigno spietato.
Allora lui spingeva di nuovo: il sudore gli colava
dalle membra, dal suo capo si levava la polvere.

Omero, Odissea, Libro XI, vv. 593-600

Scontano le loro pene anche le Danaidi, le cinquanta figlie di Danao che per avere ucciso i loro mariti durante la prima notte di nozze sono condannate a riempire un pozzo senza fondo per l’eternità; il gigante Tizio (che tentò di violentare Leto, madre di Apollo ed Artemide), il cui fegato è continuamente divorato da due avvoltoi; e poi ancora Issione, che tentò di sedurre la dea Hera, legato ad una ruota che gira senza sosta; l’empio Flegias, che tento di incendiare il tempio di Apollo; Piritoo, che sconta sul Trono dell’Oblio il sacrilegio di aver tentato di rapire la regina dell’Ade, Persefone; Salmoneo, che volle considerarsi pari ad un dio (pretendendo sacrifici e la costruzione di un tempio in suo onore) e giunse ad imitare Zeus, procedendo per le vie della città su un carro trainato da quattro cavalli, tenendo in mano una fiaccola e imitando con la sua voce il rombo del tuono.

Ad Enea non venne concesso di poter entrare nel Tartaro, ma gli venne accordato di entrare nei Campi Elisi, dove scorrono il fiume Lete e le sorgenti dell’Eridano (antico nome del Po).

Qui se ne stan le fortunate genti,
parte in su’ prati e parte in su l’arena
scorrendo, lotteggiando, e vari giuochi
di piacevol contesa esercitando;
parte in musiche, in feste, in balli, in suoni
se ne van diportando, ed han con essi
il tracio Orfeo, ch’in lungo abito e sacro
or con le dita, ed or col plettro eburno,
sette nervi diversi insieme uniti,
tragge del muto legno umani accenti.

Virgilio, Eneide, Libro VI, vv. 637-647
(traduzione di A. CARO)

Enea poté incontrare il padre Anchise, che gli mostrò l’Eliso e le anime di coloro i quali, bevuta l’acqua del fiume Lete (che provoca l’oblio), si incarneranno in nuovi corpi e vivranno un’altra vita: tra queste, Enea riuscì a scorgere quelle dei suoi discendenti, che daranno origine alla stirpe dei Romani.

Enea e Deifobe giunsero quindi alle porte del Sonno, da cui escono i sogni; di esse una si dice sia fatta di corno, attraverso la quale escono i sogni veritieri; l’altra è rilucente e fatta di candido avorio, ma attraverso di essa passano i sogni fallaci. Anchise accompagnò il figlio insieme alla Sibilla e li fece uscire dalla porta d’avorio; Enea riprese quindi il suo viaggio, che l’avrebbe poi condotto sulle rive del Lazio a fondare una nuova patria per i Troiani.

1 Ades ascolta tuttavia tutte le maledizioni scagliate dai mortali, poiché una delle sue prerogative è quella di inviare le Erinni a tormentare quanti si sono resi colpevoli dei delitti più efferati, come l’uccisione di un consanguineo.
2 Nella tradizione omerica Peone era il medico degli dei, anch’egli di discendenza divina.
3 Secondo i mitografi, lo scettro aveva il potere di aprire un passaggio tra il mondo dei vivi e quello dei morti.

Fonti:

https://www.theoi.com/Khthonios/Haides.html
o Homer, The Iliad – Greek Epic C8th B.C.
o Hesiod, Theogony – Greek Epic C8th-7th B.C.
o The Homeric Hymns – Greek Epic C8th-4th B.C.
o Pindar, Odes – Greek Lyric C5th B.C.
o Aeschylus, Fragments – Greek Tragedy C5th B.C.
o Plato, Gorgias – Greek Philosophy C4th B.C.
o Apollodorus, The Library – Greek Mythography C2nd A.D.
o Diodorus Siculus, The Library of History – Greek History C1st B.C.
o Strabo, Geography – Greek Geography C1st B.C. – C1st A.D.
o Pausanias, Guide to Greece – Greek Geography C2nd A.D.
o Plutarch, Lives – Greek Historian C1st-2nd A.D.
o Antoninus Liberalis, Metamorphoses – Greek Mythography C2nd A.D.
o The Orphic Hymns – Greek Hymns C3rd B.C. to C2nd A.D.
o Aelian, Historical Miscellany – Greek Rhetoric C2nd-3rd A.D.
o Hyginus, Fabulae – Latin Mythography C2nd A.D.
o Hyginus, Astronomica – Latin Mythography C2nd A.D.
o Ovid, Metamorphoses – Latin Epic C1st BC – C1st A.D.
o Ovid, Fasti – Latin Epic C1st BC – C1st A.D.
o Ovid, Heroides – Latin Poetry C1st B.C. – C1st A.D.
o Cicero, De Natura Deorum – Latin Philosophy C1st B.C.
o Seneca, Hercules Furens – Latin Tragedy C1st A.D.
o Seneca, Phaedra – Latin Tragedy C1st A.D.
o Seneca, Troades – Latin Tragedy C1st A.D.
o Statius, Thebaid – Latin Epic C1st A.D.
o Oppian, Halieutica – Greek Poetry C3rd A.D.
o Suidas – Byzantine Lexicographer C10th A.D.